domenica 26 marzo 2023

MANIFESTAZIONI IN FRANCIA CONTRO MACRON. BERTINOTT F., Cosa sta succedendo in Francia, Macron e l’attuazione di un golpe bianco, IL RIFORMISTA, 26.03.2023

 La Francia è investita dal nono sciopero nazionale in pochi mesi. La Francia vive. Il conflitto sociale, addirittura proprio il conflitto di lavoro, quello dato ormai generalmente come impraticabile nel nostro tempo e in questo ultimo capitalismo, ha invaso i luoghi di lavoro, le strade e le piazze nel cuore dell’Europa. A Parigi e in tutte le grandi città francesi milioni di cittadini scrivono, insieme, una mozione di sfiducia contro il sistema. Il fatto dovrebbe interessare tutti i paesi dell’Europa e noi per primi. Una classica questione sindacale, lo scontro sull’età pensionabile, diventa, con il divampare dalla lotta, una questione politica: la messa in discussione del governo di Macron che ne vuole il prolungamento. Il prolungamento e l’estensione del conflitto, la sua radicalizzazione, insieme al rifiuto arrogante del governo di prendere in considerazione le ragioni dei lavoratori e del movimento, apre una vera e propria questione democratica.




La domanda che si pone è chi e come deve governare il paese, perché quello in atto è diventato intollerabile. Uno dei maggiori studiosi francesi, Dominique Rousseau, professore alla Sorbonne, ha scritto su le Monde: «Siamo di fronte a una crisi di regime, perché è il principio stesso della rappresentanza del popolo attraverso gli eletti, quello ereditato dal 1789, e sul quale poggiano le nostre istituzioni, che è messo in causa». Non poteva, la crisi della democrazia, essere denunciata più drasticamente. Ma la denuncia poggia su basi solide che riguardano concretamente gli atti di un governo che ha scelto l’autoritarismo e la natura della contesa sul versante generale della democrazia rappresentativa. Lo scontro tra i manifestanti e il governo ha messo in luce che quest’ultimo, sulla sua controriforma delle pensioni, non dispone della maggioranza parlamentare. Invece di prenderne atto, il governo realizza un golpe bianco ricorrendo al famigerato 49.3, che consente al Presidente di varare una legge senza passare per il voto del Parlamento. Inaudito. Sempre Rousseau scrive: «Il 49.3 è la traduzione istituzionale della formula “Non è la strada che governa” ma, da più anni ormai c’è una domanda dei cittadini di essere più associati alle decisioni. Questo genera qualcosa che va al di là della crisi politica».

conflitto sociale ha aperto una crisi istituzionale rivelando la crisi della democrazia rappresentativa e chiedendo il cambio, la nascita di una democrazia partecipata nella quale il conflitto sociale reciti la parte del protagonista. Macron e il suo governo sono sotto accusa ora anche sul terreno della democrazia. Ma la contestazione di massa nasce e vive nel sociale, lì si radica e diventa un movimento. Della rivolta avevamo già parlato, riflettendo sui gilets jaunes. Qui sembra proporsi una miscela sulla quale ancor di più, e più approfonditamente, bisognerebbe interrogarsi a partire dall’inchiesta e dai materiali depositati dal movimento. Sembra profilarsi un possibile incontro tra il riot e lo sciopero. Forse una nuova e necessaria frontiera della lotta di classe si sta aprendo; siamo solo agli annunci di una possibilità, certo, ma questi non dovrebbero andare perduti.

Ci parlano di una rabbia profonda che alberga nel popolo, nei popoli e che in Francia è esplosa contra l’ingiustizia che ha preso la forma dell’attacco alle pensioni. Uno slogan molto popolare denunciava così la volontà del governo Macron, le premier ministre des riches: “i vecchi in galera, i giovani in miseria”, la rabbia popolare. La rabbia contro l’ingiustizia sociale, la rabbia contro il furto di democrazia. Il movimento sa di avere ragione socialmente e di essere maggioranza nel paese, persino i sondaggi dicono che il 60 per cento del paese è contro la legge di Macron e più del 60 per cento è contro il suo ricorso al 49.3. È la natura del conflitto che chiama in causa una questione generale e che pretende una risposta molto impegnativa alla domanda su cosa è diventata la società in cui viviamo. Qui c’è tutta la divaricazione, la rottura tra il popolo e le élites e questa lotta è proprio la lotta del popolo contro le élites. Il conflitto è diventato di fondo. Queste ultime, chiuse nel loro mondo, hanno fatto del vincolo esterno la loro religione e pretendono di imporne i dettami: competitività, pareggio di bilancio, lavoro pura variabile dipendente dell’economia di mercato che loro vorrebbero oggettive quando, invece, sono l’alfa e l’omega della contesa politica.

Di fronte a una grande manifestazione a Parigi, Mélenchon ha gridato che Macron «vuole trasformare tutta la nostra esistenza in merce come ha fatto con la salute e come sta facendo con la scuola». Le élites, economiche, politiche, culturali, pur con diverse gradazioni, accedono a questo pensiero che vorrebbero unico. Il popolo con questa lotta dice che no, il popolo parte da un opposto vissuto che può diventare una critica di massa all’economia di questo capitalismo, è il vissuto dei bisogni per soddisfare i quali bisogna abbattere il muro che vi si frappone, il muro delle compatibilità o, almeno, aprire una breccia in quel muro. Mi pare una promessa straordinaria quella di questo movimento che vuole rimettere in discussione il rapporto tra il lavoro e la vita a cominciare della messa in discussione del rapporto fra il tempo di lavoro e il tempo di vita. Sembra un ritorno alla sorgente per pensare a un futuro diverso, per altro pensabile solo nella lotta.

Nessun commento:

Posta un commento