domenica 30 novembre 2014

RAPPORTO SULLO STATO DEI DIRITTI IN ITALIA. V. SCALIA, Un rapporto sullo stato dei diritti, IL MANIFESTO, 28 novembre 2014

A par­tire dalla caduta del muro di Ber­lino, il dibat­tito alla natura, alla pro­te­zione e all’implementazione dei diritti umani, è tor­nato ad essere rile­vante tra gli addetti ai lavori. Da un lato, la fine dell’esperienza sovie­tica ha com­por­tato il tra­monto dell’universale asso­luto, per cui la sin­tesi dei tre prin­cipi di libertà, ugua­glianza e fra­ter­nità ten­tata all’ombra del Crem­lino si è rove­sciata nel suo oppo­sto. Dall’altro lato, il neo­li­be­ri­smo e la glo­ba­liz­za­zione hanno inferto colpi letali all’impalcatura social­de­mo­cra­tica eretta dopo la crisi del 1929. 


I diritti sociali sono stati espunti dalla scena pub­blica, quelli poli­tici sono stati decli­nati in ter­mini par­ti­co­la­ri­stici, cali­brati su misura di nazio­na­li­smi rie­su­mati e rico­struiti fret­to­lo­sa­mente, quelli civili sono stati subor­di­nati alle emer­genze di turno, come ci dicono Guan­ta­namo e Abu Ghraib. Eppure, da altre parti, in par­ti­co­lare in Sud Ame­rica, si cer­cano di spe­ri­men­tare nuove sin­tesi tra i tre prin­cipi della rivo­lu­zione fran­cese. Nel nostro Paese, rimane in vigore una Costi­tu­zione che, nell’articolo 3, rico­no­sce l’uguaglianza dei cit­ta­dini. Cosa suc­cede a que­sto arti­colo? Quanto, e come, viene appli­cato? A que­ste domande, tenta di rispon­dere un libro a più voci, Arti­colo 3. Primo Rap­porto sullo Stato dei Diritti In Ita­lia, curato da Ste­fano Ana­sta­sia, Valen­tina Cal­de­rone, Lorenzo Fanoli (Ediesse, pp. 306, euro 16).
Muo­vendo dal pre­sup­po­sto che il sistema dei diritti e delle garan­zie pos­siede una sua effi­ca­cia nella misura in cui segue il prin­ci­pio della decli­na­zione uni­ta­ria, e non par­ti­co­la­ri­sta, gli autori ci for­ni­scono una mappa aggior­nata dei vari ambiti della vita pub­blica e pri­vata nei quali si arti­co­lano i diritti. Sull’onda dell’insegnamento di Nor­berto Bob­bio, che par­lava di «gene­ra­zioni di diritti» in rela­zione con le lotte per il loro rico­no­sci­mento, tro­viamo affron­tati temi clas­sici, come quelli dell’habeas cor­pus, dei diritti dei dete­nuti, del lavoro, dell’istruzione, con quelle che potremmo defi­nire le nuove spe­ci­fi­ca­zioni dei diritti: l’ambiente, l’omosessualità, la disa­bi­lità, la libertà di culto (aspetto pecu­liare del nostro Paese), l’ambiente, i migranti. Il qua­dro che ne viene trac­ciato si pre­senta in modo con­trad­dit­to­rio, in parte nega­tivo, ma non del tutto irre­ver­si­bile sotto il pro­filo dell’implementazione dei diritti.
Sicu­ra­mente, l’articolo 3 della nostra Costi­tu­zione, è lungi dall’essere appli­cato. La crisi eco­no­mica, l’egemonia libe­ri­sta, i discorsi e le pra­ti­che secu­ri­ta­rie, rap­pre­sen­tano bar­riere più che osti­che per il rag­giun­gi­mento dell’obiettivo.
Tut­ta­via, scor­rendo le pagine del volume, emerge una rifles­sione molto impor­tante sul futuro dei diritti, in par­ti­co­lare in Ita­lia. Tutte le sog­get­ti­vità vec­chie e nuove, che si muo­vono all’interno dello sce­na­rio delle inclu­sioni, chie­dono il rico­no­sci­mento da parte dell’autorità sta­tuale. Ne con­se­gue, nei casi in cui la rispo­sta che rice­vono è posi­tiva, una bifor­ca­zione rispetto all’esito effet­tivo. Da un lato, lo Stato, nella misura in cui rico­no­sce un gruppo sociale spe­ci­fico come por­ta­tore dei diritti, svolge un’azione proat­tiva, pro­muo­vendo le misure legi­sla­tive per imple­men­tarle. Dall’altro lato, come nel caso delle leggi con­tro l’omofobia, il fem­mi­ni­ci­dio, l’odio raz­ziale, è costretto ad ad adot­tare misure repres­sive, che pre­ve­dono l’utilizzo della sfera penale, quindi una ripro­du­zione del clima di dif­fi­denza e arroc­ca­menti par­ti­co­la­ri­sti. Il pro­blema è: quanto è effi­cace l’azione repres­siva nel pro­muo­vere il rispetto dei diritti? Fino a che punto la puni­zione di certi com­por­ta­menti com­porta la vio­la­zione di altre libertà?
Ad esem­pio, alcuni anni fa, il governo austriaco, con­dannò alla deten­zione lo sto­rico inglese David Irving, autore di diversi libri nega­zio­ni­sti. Da più parti si levò il dub­bio che non si potesse com­bat­tere l’odio raz­ziale per mezzo della limi­ta­zione della libertà di pen­siero. Come si esce da que­sto impasse? Biso­gna pas­sare, ci dice Eli­gio Resta, dal rico­no­scere al rico­no­scersi, quindi pas­sare dallo stato alla società. Il pro­cesso di rico­no­sci­mento, fon­dato sul prin­ci­pio della dignità, che rico­no­sce pari agi­bi­lità ad ogni richie­sta di inclu­sione, con­sente di supe­rare la cor­nice nazio­na­li­sta che ha limi­tato i diritti, impe­dendo la pos­si­bi­lità di rico­no­scerli come pre­ro­ga­tive delle sin­gole per­sone e non come pri­vi­legi di comu­nità nazio­nali o di gruppi di pres­sione. La dignità deve sosti­tuire la cate­go­ria del decoro, che, in vigore in era pre — moderna, è tor­nata in auge negli ultimi anni sotto la nuova deno­mi­na­zione di «merito», che ulti­ma­mente, dalle parti di Palazzo Chigi, viene ripe­tuta con una certa pre­oc­cu­pante regolarità.

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