martedì 25 novembre 2014

VOTO REGIONALE E ASTENSIONISMO. A. PANEBIANCO, Il voto di chi non vota, CORRIERE DELLA SERA, 25 novembre 2014

C ome era prevedibile, colpisce il picco raggiunto dall’astensionismo nelle elezioni regionali dell’ Emilia-Romagna. Date le caratteristiche politiche e culturali che le vengono da sempre attribuite, una affluenza del 37,7 per cento (contro il 68 delle precedenti Regionali) fa effetto. Anche se, bisogna dire, quella valanga di astenuti non ha sorpreso chi vive in quella regione e, nelle settimane precedenti al voto, ha avuto modo di fiutare il vento.

Emilia tu quoque? Persino l’Emilia-Romagna si è laicizzata fino a questo punto? Persino nella terra in cui più tenacemente resisteva il voto di appartenenza («giusto o sbagliato è il mio partito» e lo voterò sempre e comunque), tanti cittadini si sono improvvisamente svegliati da un lungo sonno pensando: «Io sono solo mio. Non ti appartengo più, voto solo se mi pare e quando mi pare»?
Le cose sono più complicate di quanto appaiano a un primo sguardo. Una parte ancora rilevante di voto di appartenenza, resiste, nonostante tutto, in Emilia-Romagna e ha giocato, questa volta, sia a favore sia contro il voto. Sono andati a votare, e a votare democratico, per pura disciplina di partito, anche tanti che forse non apprezzavano troppo Stefano Bonaccini, il candidato (vittorioso) del Partito democratico alla presidenza della Regione. Ma, per contro, non sono andati a votare, plausibilmente, molti che, pur continuando ad «appartenere», hanno accolto l’appello della Cgil contro il premier Renzi e la sua politica del lavoro. Al netto di tutto ciò bisogna dire che un processo di laicizzazione c’è comunque stato. Se si fanno brutte campagne elettorali, se si schierano candidati che, a torto o a ragione, i cittadini non giudicano adeguati, se non si riesce a scrollarsi di dosso, almeno in parte, il peso delle inchieste giudiziarie per il cattivo uso dei fondi pubblici (e c’è un solo modo per riuscirci: gettare nella campagna elettorale candidati brillanti, idee nuove e progetti originali), allora anche in Emilia-Romagna se ne paga il prezzo. È ciò che qui si intende per «laicizzazione». Ciò significa che, di volta in volta, è la natura contingente dell’offerta politica ad attirare o a respingere gli elettori. E nulla può essere più dato per scontato.
Questo voto influenzeràla politica nazionale? Sì, entro certi limiti. È plausibile che la parte del partito che osteggia Renzi e che ha forti ramificazioni in Emilia-Romagna, non si sia affatto mobilitata per portare al voto gli elettori e, semmai, abbia attivamente favorito l’astensione nel tradizionale elettorato di sinistra. La sinistra pd, antirenziana, ha già cominciato a usare contro Renzi l’astensionismo regionale, a citarlo come prova dei guasti che la politica del premier starebbe provocando nel rapporto fra il Pd e i suoi elettori tradizionali. 
Anche a destra questo voto regionale avrà conseguenze, forse ancor più forti che a sinistra. Il successo della Lega di Salvini in Emilia-Romagna (il 19 per cento dei voti) e l’umiliazione di Forza Italia (diventata quasi irrilevante: quarto partito in Regione, con solo l’otto per cento) avranno alcune conseguenze. Accentueranno ulteriormente le divisioni interne indebolendo ancor di più la capacità di Berlusconi di controllare il partito.
Non si possono però oscurare le altre - e forse più importanti - ragioni del voto e del non-voto. Non si può dimenticare, in primo luogo, che fra gli elettori (ma di tutta Italia ) è ormai cresciuta moltissimo l’insofferenza per l’istituto regionale: se la sorte delle Regioni venisse affidata a un referendum, è probabile che la maggioranza ne proporrebbe l’abolizione. È inevitabile che ciò favorisca l’astensione. 
Ci sono poi state, a gonfiare il non-voto, le tante ragioni locali: l’insoddisfazione per i profili di molti candidati e per l’assenza di idee nuove. E le diffuse valutazioni negative sulle performance delle amministrazioni locali.
Più che la massiccia (e prevista) astensione, dovrebbe soprattutto sorprendere un’altra cosa: la tenuta, nonostante tutto, del Partito democratico emiliano-romagnolo. Magari è sbagliata ma è una convinzione largamente diffusa che, complessivamente, la sua classe dirigente, per qualità, sia oggi l’ombra della classe dirigente di un tempo. A meno che il Pd non riesca a porci un serio rimedio, prima o poi quella diffusa convinzione potrebbe metterne a rischio il tradizionale primato regionale. 

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