sabato 13 maggio 2017

DOPO LE ELEZIONI FRANCESI. LIBERALI O LABURISTI? D. DI VICO, I nuovi lib-lab europei e le idee vecchie sulla spesa, CORRIERE DELLA SERA, 12 maggio 2017

Con le elezioni francesi inizia per i lib-lab europei, o macronisti che li si voglia ridenominare, una nuova stagione. Dopo essere andati clamorosamente in fuorigioco per la somma tra la Brexit e la vittoria di Donald Trump, i lib-lab ritornano in gara prima del previsto e i tempi di ridefinizione della loro proposta politico-culturale si accorciano. 


Il cantiere del restauro della Terza Via non può rimanere aperto all’infinito così come non si può vivere da eterni vedovi di un Tony Blair, che peraltro aveva vissuto da protagonista la prima fase della globalizzazione, quella ascendente e tutta progressista. Oggi invece la mondializzazione è diventata il primo piatto del menù offerto agli elettori dalle forze populiste e i liberal oscillano tra la rivendicazione del suo carattere positivo («i poveri nel mondo sono diminuiti») e la trepidazione con cui monitorano gli orientamenti dei ceti medi nei Paesi occidentali. È evidente come esista una contraddizione insanabile tra i flussi economici globali e la misurazione del consenso politico, che avviene Paese per Paese e quindi è più influenzata dal sentimento di retrocessione covato dall’uomo comune occidentale che dalla riconoscenza dei contadini cinesi sottratti alla povertà. Questa contraddizione va chiusa cercando di strappare la bandiera della giustizia sociale dalle mani dei populisti, altrimenti i liberalsocialisti verranno identificati esclusivamente con le élite di cui condividono peraltro luoghi e stili di vita.
Ad alimentare queste incertezze concorre la difficoltà obiettiva di individuare delle policy incisive, dei provvedimenti che sappiano inserire un cuneo nel consenso popolare delle forze a demagogia spinta. La Terza Via era un format politico di facile uso, dettava quasi in automatico le nuove leggi da approvare.
Oggi non è più così e un esempio utile riguarda la mobilità sociale, cuore della narrativa liberal. Non sappiamo dove si stiano dirigendo i mercati del lavoro e non sappiamo nemmeno se la riorganizzazione delle imprese favorirà la creazione di «piani alti» da raggiungere con l’ascensore sociale. Sappiamo invece con sicurezza che il capitalismo delle piattaforme digitali accrescerà il peso della gig economy e del lavoro alla spina, che non rappresenta certo una risposta alla domanda di mobilità verso l’alto.
Il credo che i lib-lab recitano davanti a questa seconda contraddizione suona come «più formazione lungo l’intera vita» ma per ora è una soluzione valida solo sulla carta, non sappiamo se oltre a dare soddisfazione ai «pochi» riuscirà a funzionare anche per i «tanti».
Una seconda discontinuità rispetto ai dettami della Terza Via riguarda il nesso tra economia, politica e spesa pubblica. Sembrerà un’accusa paradossale ma i neo-macronisti restano ancora troppo legati all’idea della forza della politica. Per dirla con una vecchia metafora, della Stanza dei Bottoni. Così la risoluzione delle contraddizioni sociali è quasi sempre affidata a provvedimenti governativi più che al mutamento delle relazioni di mercato. Ma caricare la politica dell’obbligo di rispondere a tutto è un meccanismo che finisce per favorire i populisti perché permette loro di presentarsi agli elettori spostando sempre più in alto l’asticella della spesa pubblica. Lo si vede anche in Italia con le idee che circolano sul reddito universale di cittadinanza e sulla riduzione d’orario, forse sussidiata dallo Stato.
Dovrebbe essere chiaro invece che negli anni a venire — soprattutto da noi — la gran parte delle risposte non potrà venire dai budget statali, molte di esse andranno trovate sul mercato coinvolgendone i protagonisti e costruendo relazioni di tipo nuovo e ad alto valore aggiunto. Penso innanzitutto al raggiungimento di un comune impegno da parte dei soggetti dell’impresa e del lavoro, ma lo schema può essere replicato anche per le politiche dell’innovazione, per la lotta alla povertà, per le scelte capaci di utilizzare la spinta che arriva dal nuovo protagonismo femminile.
Il carico di novità da inserire nel vecchio format della Terza Via è così ampio che gli spunti non difettano. Persino in tema di cultura politica in senso stretto c’è molto da modificare, cominciando magari dall’aprire una stagione nuova di dialogo e di contaminazione tra i liberal e la cultura cattolica più attenta al mutamento sociale

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