giovedì 3 agosto 2017

LA CONQUISTA CINESE DELL'AFRICA. E. CAPORALE, Ferrovie, autostrade e moschee. Cinesi e arabi si dividono l’Etiopia, LA STAMPA, 26 febbraio 2017

Sul volo Roma-Addis Abeba le hostess distribuiscono giornali in lingua cinese. E all’Addis Abeba Bole International Airport trovare un pacchetto di Marlboro è un’impresa quasi impossibile: le sigarette hanno marche incomprensibili, tutte Made in China. In auto, al primo incrocio, un’utilitaria ci affianca al semaforo. Dentro c’è un uomo dagli occhi a mandorla. «Da qualche anno sono dappertutto - sbotta l’autista, lui sì, etiope -. Un tempo i bianchi qui li chiamavamo ferenji, ora per tutti sono i chinese. Il palazzo dell’Unione africana, la nuova metropolitana, la superstrada Modjo-Hawassa, persino la maxi-ferrovia che unisce Addis Abeba al porto di Gibuti: tutto costruito da loro». Sulle macerie del vecchio «impero» italiano.  



Lasciando la capitale di una delle prime economie d’Africa c’è un altro particolare che salta agli occhi: su ogni centro urbano, comunità, villaggio svetta un minareto, in molti casi due. «Quelli - ci tiene a sottolineare l’autista - sono finanziati dal petrolio. Arabia Saudita, Qatar, Kuwait. Sono vent’anni che gli arabi vengono qui e tirano su moschee». Insomma, appena atterrati in Etiopia il quadro è chiaro: mentre la Cina costruisce strade e ferrovie («In cambio il governo garantisce le concessioni sulle nostre terre»), le monarchie del Golfo si insinuano nelle aree rurali edificando moschee ed educando all’Islam sunnita.  

D’altra parte, spiega Howard W. French sul «New York Times», «il neocolonialismo di Pechino in Africa inizia proprio dall’Etiopia nel 1996». All’epoca il presidente cinese è Jiang Zemin. Con un discorso nella sede dell’Unione africana ad Addis Abeba, è lui a proporre la creazione del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (Focac). Tornato in patria inviterà le industrie del Paese a investire nel Continente nero. Da allora la presenza di Pechino in Etiopia è sempre più invadente. Infrastrutture, strade, ferrovie, hub industriali. Travolta dalla crisi alimentare e dall’emergenza rifugiati che da anni destabilizza il Corno d’Africa, Addis Abeba è corsa ai ripari cedendo le terre migliori agli investitori cinesi che le hanno convertite alla produzione di cereali da esportazione. In cambio sono arrivati i miliardi. La nuova ferrovia che unisce la capitale etiope al porto di Gibuti (750 chilometri) - e che garantisce al Paese uno sbocco sul mare - è stata realizzata dalla China Railway Group e China Civil Engineering Construction Corporation, filiale della China Railway Costruction Corp. Anche la nuova superstrada a tre corsie Modjo-Hawassa (un progetto da 700 milioni di dollari) parla cinese, come la metropolitana aerea che taglia in quattro Addis Abeba (due linee, per un investimento di 500 milioni di dollari). Non solo business. Nella vicina Gibuti la Cina ha avviato i lavori per una base militare che comprende un porto per le grandi navi da combattimento, una base aerea e alloggiamenti per migliaia di soldati. 

L’espropriazione delle terre sta però trovando l’opposizione delle tribù locali. Come è avvenuto la scorsa estate in Oromia (la regione più estesa e popolosa dell’Etiopia), dove le violenze e migliaia di morti hanno spinto il Paese verso lo stato di emergenza. «La paura ora è che i contadini trovino nell’Islam radicale una speranza contro le élite ortodosse che governano la capitale», spiega un giovane che preferisce mantenere l’anonimato. D’altra parte la gente del posto racconta che «non si erano mai visti tanti imam e veli integrali». Nonostante Addis Abeba abbia legami antichissimi con l’Islam (l’Etiopia è il luogo della prima ègira della storia islamica e una città nella regione del Tigray, Negash, è il più antico insediamento islamico in Africa), fonti ben informate rivelano che «dalla caduta dell’Urss e dalla conseguente cacciata del dittatore comunista Menghistu (1991) le monarchie del Golfo hanno messo in atto una vera e propria islamizzazione del Paese». Come? «Edificando moschee nelle zone a maggioranza musulmana ed educando all’Islam sunnita». 

Le stesse fonti raccontano che «nel 1991 Riad ha prelevato duemila giovani etiopi e li ha portati a studiare il Corano in Arabia Saudita». Due anni dopo sarebbero tornati a casa da imam. «È allora che sono spuntati burqa e minareti ovunque. Il progetto delle monarchie del Golfo è quello di due moschee per ogni comunità». E così, mentre la Cina pensa al business, gli arabi indottrinano i popoli. In entrambi i casi un ottimo investimento sul futuro di uno dei Paesi africani con la più alta crescita demografica (si prevede che per il 2060 l’Etiopia raggiunga i 210 milioni di abitanti). 

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