domenica 6 agosto 2017

POLITICA E IMITAZIONE. E. GENTILE, Un Mussolini un po’ russo, IL SOLE 24 ORE, 4 maggio 2017

Nel dicembre 1901 il supplemento letterario della rivista «I Diritti della Scuola» pubblicò un articolo, firmato “Mussolini Benito”, dedicato al romanzo russo, da lui definito «un romanzo che trascende i confini della terra ov’è nato e s’identifica nell’universale»: «il romanzo russo prende un lato corrotto della società e viviseziona le cancrena»; lo scrittore russo «è un uomo che vive umanamente, è un uomo e insieme un apostolo» fra il popolo, che «attraversa un periodo tristissimo. L’assolutismo dello czar grava – immane cappa di piombo – sugli intelletti. Il cosacco spia insidioso delle caserme e la censura tenta il monopolio del pensiero; ma le forze giovanili affrettano coll’opra e il sangue l’ora della redenzione».


Mussolini aveva allora 18 anni, da poco aveva conseguito il diploma di maestro elementare, e si professava socialista marxista. L’articolo sul romanzo russo era il suo primo scritto a stampa.
Alla fine di quello stesso anno, viveva a Monaco di Baviera un esponente delle forze giovanili russe. Il suo nome era Vladimir Il’ič Ul’janov, aveva trentuno anni, era un avvocato, studioso marxista, che da oltre venti anni combatteva l’autocrazia zarista. Era stato arrestato ed esiliato in Siberia, per vivere poi da esule in vari Paesi d’Europa. Con lo pseudonimo di Lenin, dirigeva la rivista del partito socialista russo,«Iskra» (La scintilla), diffusa clandestinamente in Russia. Nel 1903 Lenin si trasferì a Ginevra. Qui, il 18 marzo 1904 partecipò a un grande comizio per commemorare la Comune. Al comizio prese la parola anche il giovane Mussolini, che da due anni era emigrato in Svizzera, dove si guadagnava da vivere facendo propaganda fra i lavoratori italiani come oratore e giornalista. La partecipazione alla commemorazione della Comune fu l’unica occasione di un possibile incontro fra il russo e l’italiano, ma non è certo che un incontro vi sia stato
Otto anni dopo, nel gennaio 1912, a Praga, Lenin fondò un partito marxista rivoluzionario, il partito bolscevico, con un proprio giornale «Pravda» (Verità). Nel luglio di quello stesso anno, a Reggio Emilia, al congresso del partito socialista italiano, la sinistra rivoluzionaria capeggiata da Mussolini tolse ai riformisti la guida del partito. Il socialista romagnolo, fino ad allora sconosciuto, balzò improvvisamente sulla scena nazionale assumendo la direzione del quotidiano ufficiale «Avanti!». Su la «Pravda», Lenin, senza citare Mussolini, commentò l’avvenimento affermando che in Italia il partito socialista si era incamminato «sulla strada giusta». In effetti, la concezione rivoluzionaria del ventinovenne marxista italiano era per qualche aspetto affine a quella del quarantaduenne marxista russo, ma non risulta che Mussolini avesse mai sentito nominare Lenin e nulla sapeva del partito bolscevico, concepito da Lenin come un’organizzazione di rivoluzionari di professione, con la quale mirava a conquistare il potere in Russia per instaurare la dittatura del proletariato.
Nel marzo 1917, quando a Pietrogrado esplose la rivoluzione di febbraio, Lenin era ancora in Svizzera, e fu colto di sorpresa dall’insurrezione che provocò la fine dell’autocrazia zarista. Assolutamente contrario alla Grande Guerra fin dal 1914, in aprile rientrò in Russia per compiere la sua rivoluzione deciso a conquistare il potere per realizzare il socialismo, reclamando la pace immediata, con la convinzione che tutto il proletariato europeo, sull’esempio del proletariato russo, sarebbe insorto contro la guerra delle potenze capitaliste.
La rivoluzione di febbraio sorprese anche Mussolini, che in quei giorni giaceva in ospedale crivellato di schegge per l’esplosione di un mortaio mentre era soldato sul fronte nella guerra contro l’Austria. Si professava ancora socialista, ma nel novembre 1914 era stato espulso dal partito perché si era convertito all’intervento dell’Italia nella Grande Guerra e fondato un proprio giornale, «Il Popolo d’Italia», dopo aver sostenuto per mesi, come direttore dell’«Avanti!» la neutralità assoluta, alla quale rimasero invece fedeli i dirigenti e la massa dei militanti socialisti. Col suo giornale, Mussolini si fece promotore di un interventismo rivoluzionario, sostenendo che la guerra delle democrazie occidentali contro l’autoritarismo degli Imperi centrali era l’occasione per provocare una rivoluzione sociale, anche se le democrazie erano alleate con la Russia zarista. Egli riteneva che la vittoria delle democrazie avrebbe incitato il popolo russo ad abbattere l’autocrazia.
Quando la rivoluzione di febbraio fece crollare il regime zarista, il giornale di Mussolini esultò: «La Santa Russia rivoluzionaria trionfa della reazione tedescofila. Il nuovo governo sarà l’espressione della Duma e della volontà popolare», si leggeva su «Il Popolo d’Italia» in prima pagina il 17 marzo. Il giornale mussoliniano era convinto che il nuovo governo russo avrebbe proseguito la guerra a fianco delle democrazie: «La Russia ormai è nostra. L’immensa forza morale, intellettuale, politica, economica, è entrata, col movimento odierno, definitivamente nell’orbita della civiltà e della libertà occidentale».
I primi articoli de «Il Popolo d’Italia» sulla rivoluzione russa non erano firmati da Mussolini, ma erano da lui certamente ispirati nel sostenere che la vittoria della rivoluzione in Russia confermava la validità del suo interventismo. Nel suo primo commento sugli eventi russi, il 24 maggio 1917, Mussolini citò per la prima volta il nome di Lenin, dichiarando di non credere che la nuova Russia repubblicana avrebbe fatto la pace con la Germania «assassinando la libertà europea»: uscendo dalla guerra, la Russia stessa, con tutto l’occidente, sarebbe stata «annientata dal trionfo militare degli Hohenzollern; la Repubblica pacifondaia di Lenin non è che una parentesi – più o meno tempestosa – fra lo czarismo di ieri e quello di domani. ... I seguaci di Lenin hanno in programma la pace universale, il che nelle circostanze attuali è semplicemente assurdo. La pace universale è un’insegna di cimitero».
Iniziò così la sfida dell’ex marxista italiano contro Lenin: una sfida, che proseguì sul continente europeo nei due decenni successivi alla Grande Guerra, contribuendo a farlo precipitare in una Seconda guerra mondiale.

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