mercoledì 3 gennaio 2018

MULTINAZIONALI DELLA COMUNICAZIONE E STATI. A. ROSSANO, La debolezza degli stati e lo strapotere delle multinazionali della rete, L'ESPRESSO, 2 gennaio 2018

Lo scorso 23 dicembre, sono stati sospesi gli account Facebook ed Instagram del primo ministro ceceno Ramzan Kadyrov , con oltre 4 milioni di follower. Facebook ha affermato di essere obbligata a questa censura nei confronti di Kadyrov in quanto il Dipartimento del Tesoro ha aggiunto lo stesso Kadyrov ad una speciale lista di soggetti sanzionati in quanto considerati responsabili di violazioni ed abusi dei diritti umani.


La questione che qui poco interessa è che Kadyrov sia considerato, a livello internazionale, poco meno di un tiranno, anche perchè in quella stessa lista sono presenti altri personaggi, come il Presidente del Venezuela Nicholas Maduro o il suo vice presidente El Aissami, ai quali Facebook non ha sospeso i relativi account.
Ci troviamo di fronte ad un grave e complesso problema di libertà di espressione: un’azienda commerciale statunitense che opera a livello globale agisce ed opera una censura su soggetti stranieri in nome di una norma statunitense e gli effetti di tale censura si producono su popolazioni di altri stati sovrani nazionali (è evidente che i follower di Kadyrov sono, per la gran parte, tutt’altro che cittadini statunitensi).
E non è neanche significativo che l’obiettivo della lista del Tesoro americano sia proprio di sanzionare tali soggetti sui loro “assets” statunitensi: la questione, a questo punto, sarebbe stabilire se un insieme di persone, più o meno grande, possa essere considerato un “asset” statunitense o, più congruamente, non debba essere soggetto alle norme del paese in cui vive.
Sarebbe ora che si inizi a definire almeno un percorso condiviso di analisi e discussione su una questione che riguarda gli stessi concetti di stato e di sovranità nazionale che la rete Internet ha da tempo dimensionato e reso obsoleti. E sarebbe ora che ne iniziassimo a parlare tutti, ad essere consapevoli che ormai Facebook non può più essere considerata solo come una “piattaforma” o un sito internet, ma è un pezzo, importante, della nostra vita quotidiana.
Quanto tempo trascorrete voi sui social network? Quanti legami, discussioni e relazioni vostre vivono nei social? E se qualcuno decidesse di sospendere la vostra vita social all’improvviso, come la vivreste? Sarebbe un lutto, un’amputazione, una perdita.
Purtroppo la questione è stata, di fatto, considerata secondaria rispetto, ad esempio, a quella economica. Le stesse autorità europee hanno concentrato gran parte delle loro attività normative sull’aspetto fiscale, investendo molte energie e tempo nel deliberare ciò che potrebbe apparire ovvio, ovvero che un’azienda digitale dovrebbe pagare le tasse nel paese in cui realizzava gli utili.
È evidente (da molti anni la questione è stata posta da sociologi – tra tuti ricordo Castells – economisti, giuristi  e filosofi)  che il problema economico è conseguenziale alla mancata risoluzione di quello della sovranazionalità della rete e che gli sforzi degli stati dovrebbero concentrarsi in primis su quello giuridico e, perché no, filosofico e sociologico.
E non si cerca di portare avanti un discorso di conservazione che sarebbe sterile ed obsoleto; si tratta di capire che non è possibile lasciare nelle mani delle aziende che agiscono per interesse privato, i diritti e le libertà dei cittadini che vivono ormai sempre più tempo negli spazi digitali. Ben venga l’idea di organismi nazionali ed internazionali riconosciuti che siano in grado di dirimere tali questioni sulla base di un mandato politico e popolare, piuttosto che sulle convenienze di un solo stato, azienda o portafogli .
E mentre l’Europa tenta di trovare le briciole nelle tasche di Zuckerberg & co, è la stessa miope Europa (e con essa gli stati degli altri continenti) che perde pezzi della sua sovranità e della sua identità giuridica

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