domenica 5 maggio 2019

POLITICA E CONDIZIONE UMANA NELL'EPOCA DELLA FINE DELLA METAFISICA. S. BRAVO, Un mondo senza metafisica, SINISTRAINRETE, 4 maggio 2019

La fine della Metafisica, la riduzione dell’essere ad evento, secondo il linguaggio heideggeriano o a semplice costrutto storico senza fondamento, ha strutturato la cultura della violenza nella quale ogni discernimento è obnubliato a favore della cultura del mezzo indistinto dal fine. La razionalità, non mediata dalla razionalità complessa riduce ogni ente, ogni persona a strumento. Il nichilismo è così l’indistinto, ogni gerarchia etica salta, si annichilisce a favore dell’immediato, dell’irrilevanza di tutto. Nel nichilismo non vi è né alto né basso, ma un’indifferenziata condizione di alienazione cha attraversa ogni gerarchia sociale. La società nichilistica è verticale secondo la logica del possesso, ma orizzontale nei “valori”: l’utile ed il denaro sono la cifra di valutazione di tutte le prospettive. In tale contesto il mezzo, ovvero il denaro, è anche il fine. Se il potere può tutto, e nulla pare accadere di sostanziale per la trasformazione dello stato presente, ciò è dovuto all’assenza di eterotopia, che secondo la celeberrima definizione di M. Foucault è la capacità di osservare il mondo da un’ottica assolutamente nuova:
«quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano».


La neutralizzazione dell’eterotopia, oggi, prescinde la posizione che il soggetto occupa nel modo di produzione, poiché l’unico criterio di valutazione è il denaro e la corsa verso di esso, poco o tanto che sia, per cui si accetta anche l’insostenibile in nome del dogma che cade sulla testa di tutti, offusca lo sguardo e minaccia di portare verso l’abisso persone, ambiente e democrazia. Il potere si espande attraverso la cultura dell’interesse privato, del consumo immediato, dello scollamento del denaro dal ciclo produttivo come da ogni fine1 :
Oggi, il denaro concepito come mezzo si è trasformato in finanza. La finanza è denaro volatile, cioè distratto dalla cosiddetta “economia reale”. L’economia della finanza usa il denaro, sottraendolo ai cicli produttivi, per produrre altro denaro. Il denaro è dunque mezzo e, al tempo stesso, fine. Il denaro che alle origini del capitalismo era finalizzato a sostenere la produzione, il consumo, insomma l’industria, cambia destinazione: serve a sostenere e a espandere se stesso, attraverso la speculazione finanziaria che si esercita nell’acquisto e nella vendita di “prodotti finanziari”.

L’uroboro
L’uroboro è il serpente mitico, nel quale la testa e la coda si toccano, la testa divora la coda, è simbolo e metafora dell’autocannibalismo che ben si presta a rappresentare l’immagine della condizione attuale. Il denaro produce denaro per distruggerlo e ricrearlo in un circolo senza speranza, nel quale regna l’astratto, in quanto la testa divora se stessa, il mezzo si espande fino all’autodistruzione, divora se stesso, ovvero democrazia, ambiente, esseri umani, ciò che lo fa vivere, l’esito esiziale è iscritto in un modo di produzione che non conosce che la propria cecità ovvero il buio del plusvalore, l’uroboro divora l’essere, vorrebbe consumarlo2 :
Un’immagine che può, forse, costituire una sintesi efficace e può fornire qualche suggestione è quella dell’uroboro (dal greco ourobòros, dove ourà sta per “cosa” e bòros sta per “mordace”), immagine mitologica del serpente che mangia la sua coda e ciò che essa contiene, nutrendosi di se stesso.
Quest’immagine, ricca di significati analogici e metaforici, sfruttata dalla filosofia dell’eterno ritorno e dalle visioni esoteriche dell’uno immutabile e autosufficiente, una volta che sia spogliata da questo sovraccarico, può bene definire il rapporto tra denaro e politica, nei termini di uno scambio di ritorno e di reciproco sostentamento. Il potere sostiene e rivitalizza il (procacciamento di) denaro e il denaro sostiene e rivitalizza (l’acquisizione e il mantenimento del) il potere”.

Nichilismi
Il nichilismo contemporaneo si distingue dai nichilismi di altre epoche, i quali avevano nel loro grembo la vita, ovvero la critica mordace aveva il fine di rovesciare strutture sociali e creare (Gorgia, Hume, Nietzsche). La contemporaneità è congelata in un nichilismo conservatore, esso riproduce se stesso, si eternizza in assenza della razionalità critica. Ci troviamo dinanzi ad un fenomeno nuovo, di difficile lettura, il nichilismo attuale è indissolubilmente legato ai ritmi della produzione senza limite. La velocità è attributo essenziale del nichilismo contemporaneo: la produzione come le ricchezze sono consumate ad un ritmo sempre più inconsulto, fino a favorire l’eliminazione della razionalità attiva e critica, la quale è espulsa dai cicli produttivi, dai luoghi dove si impara “il credo nichilista”. La rivoluzione reazionaria con i suoi tempi consumanti che marciano, per tutto far soccombere, nel ritmo dello sfruttamento delle risorse ambientali ed umane, consente ogni libertà, ogni sregolatezza purché la struttura economica resti immobile, mentre assimila e consuma3 :
Se noi volessimo cercare una definizione potente e adeguata di nichilismo, diremmo proprio così: non semplicemente la mancanza di scopi, che di per sé significa insensatezza, irrazionalità,, gusto del bel gesto, cinismo, ma la coincidenza dei mezzi e degli scopi. Così avremmo una definizione dotata di terribile razionalità: la pianificata e consapevole direzione verso l’illimitata dilazione di sé, nell’ignoranza e nell’indifferenza fino al momento in cui ciò che sta attorno, nel suo ribollire, comincia a rappresentare un pericolo per la propria autoriproduzione”.
La verità del nichilismo, della caverna nel cui buio tutto è eguale, può esserci rivelata dai classici. Nell’Etica Nicomachea Aristotele stabilisce la priorità del fine politico di ogni azione, le quali devono essere subordinate al bene collettivo, altrimenti le azioni si disperdono in un orizzonte senza prospettiva, sono tanto caduche quanto prive di senso4 :
” 2. [Il bene per l’uomo è l’oggetto della politica]. Orbene, se vi è un fine delle azioni da noi compiute che vogliamo per se stesso, mentre vogliamo tutti gli altri in funzione di quello, e se noi non [20] scegliamo ogni cosa in vista di un’altra (così infatti si procederebbe all’infinito, cosicché la nostra tensione resterebbe priva di contenuto e di utilità), è evidente che questo fine deve essere il bene, anzi il bene supremo. E non è forse vero che anche per la vita la conoscenza del bene ha un grande peso, e che noi, se, come arcieri, abbiamo un bersaglio, siamo meglio in grado di raggiungere ciò che dobbiamo? Se è [25] così, bisogna cercare di determinare, almeno in abbozzo, che cosa mai esso sia e di quale delle scienze o delle capacità sia l’oggetto. Si ammetterà che appartiene alla scienza più importante, cioè a quella che è architettonica in massimo grado. Tale è, manifestamente, la politica. Infatti, è questa che stabilisce quali scienze è necessario coltivare nelle città, [1094b] e quali ciascuna classe di cittadini deve apprendere, e fino a che punto; e vediamo che anche le più apprezzate capacità, come, per esempio, la strategia, l’economia, la retorica, sono subordinate 3 ad essa. E poiché è essa che si serve di tutte le altre scienze e che stabilisce, [5] inoltre, per legge che cosa si deve fare, e da quali azioni ci si deve astenere, il suo fine abbraccerà i fini delle altre, cosicché sarà questo il bene per l’uomo. Infatti, se anche il bene è il medesimo per il singolo e per la città, è manifestamente qualcosa di più grande e di più perfetto perseguire e salvaguardare quello della città: infatti, ci si può, sì, contentare anche del bene di un solo individuo, [10] ma è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere città. La nostra ricerca mira appunto a questo, dal momento che è una ricerca "politica".
La buona vita, la felicità non può che concretizzarsi nella prassi antinichilistica, tanto che Marx nel primo libro del Capitale esplicita che il suo agire filosofico è antitetico alle forme di alienazione del plusvalore, e Aristotele è il punto di vista altro, che gli consente di aderire criticamente, con maggior chiarezza, al modo di produzione capitalistico. Marx stabilisce l’ordine e le gerarchie dei fini, per cui il fine della politica è la buona vita del cittadino, affinché ci sia è necessario distinguere la crematistica[dal gr. κρηματιστικός «relativo alla ricchezza», der. di κρῆμα -ατος che al plur., χρήματα, significa «ricchezza»], l’accumulo illimitato, dall’economia (οἶκος oikos, "casa") che conserva la positiva tensione tra mezzi e fini, tra misura e dismisura (Marx, libro primo, seconda sezione, secondo paragrafo).
Se non vi sono gerarchie tra i fini, se il mezzo ed il fine coincidono, non vi è che la tirannia dell’immediato, dell’individuo e con essi la solitudine dell’atomismo sociale, il perenne stato di guerra diffuso capillarmente in ogni agire umano.

La tirannia del presente: l’isola di Pasqua
L’isola di Pasqua è un esempio della cultura della competizione e dell’immediato. I processi di autodistruzione nichilistici sono sostenuti dall’incultura dell’immediato, dalla tirannia dell’individualismo narcisistico, al singolare o di gruppo, che in nome del diritto a tutto, ed a qualsiasi costo, consumano nell’immediato ogni risorsa, anche solo potenziale, in modo irresponsabile. Non vi è relazione alcuna con il futuro come con il passato, tutto avviene e si dispiega nella violenza del presente. L’isola di Pasqua dovrebbe valere da monito per il nostro presente, in essa gli abitanti in perenne lotta e competizione consumarono ogni risorsa arborea, al fine di trasportare rappresentazioni delle divinità sempre più immense. Un gigantismo che ricorda le attuali infrastrutture che deturpano in nome della produttività risorse ambientali non riproducibili. La civiltà dell’isola di Pasqua è terminata a causa dell’incultura dell’immediato, nel nostro caso possediamo mezzi di accumulazione e distruzione immensamente più aggressivi e deleteri, dovremmo cominciare a porci delle domande, a metter in epochè l’agire poietico per la prassi del pensiero5 :
”Che cosa è dunque avvenuto nell’isola di Pasqua? Come possiamo condensare in una sola frase la sua parabola? Per soddisfare appetiti di oggi, non si è fatto caso alla necessità di domani. Ogni generazione si è comportata come se fosse l’ultima, trattando le risorse di cui disponeva come sue proprietà esclusive, di cui usare ed abusare”.
Il pianeta intero sta diventando simile ad un’immensa isola di Pasqua, l’evento del consumo dell’essere coincide con il consumo concreto di ogni possibilità di vita, dinanzi ad una contingenza tanto straordinaria, la domanda filosofica sui fondamenti non può che riaffermarsi, solo la comprensione profonda del consumo dell’essere coincidente con l’esaurimento delle condizioni di vita, può porre un altro percorso che porti all’essere e non al nichilismo.

Il verme nel nocciolo
Il nichilismo della finanza a voler usare una metafora sartiana agisce come il verme nel nocciolo, svuota di senso, anestetizza ogni struttura istituzionale e culturale che potrebbe fungere da limite. La Costituzione italiana è un esempio, in essa riposano i valori della Resistenza, del socialismo democratico e del personalismo cristiano mediati dalla partecipazione. Il nichilismo lascia inalterati, se non può fare altrimenti, tali potenziali limiti alla dismisura, all’accumulo, per svuotarne l’operatività, per ridurli a semplice enunciazione senza effettualità:6
"Si dirà allora siamo salvi! Una Costituzione l’abbiamo e, per di più, tutti, o quasi tutti, le prestano ossequio Si discute- è vero- dell’opportunità di modificare le forme della politica ma, almeno in sostanza, cioè sui principi e sui fini, del nostro stare insieme quelli indicati nella prima parte della Costituzione tutti si dicono concordi. Nessuno (o quasi nessuno) propone modifiche. Non c’è verità, in queste parole. I principi e i fini della Costituzione possono essere lasciati stare, tali e quali sono scritti, per la semplice ragione che li si può ignorare, come se non esistessero”.

Il pensiero debole
Il nichilismo finanziario trova i suoi trombettieri negli accademici che istituzionalizzano il nichilismo ed il relativismo. La metafisica ed il pensiero forte è tacciato di violenza, poiché si associa alla metafisica dogmatica la violenza autoritaria, si occultano in tale modo i crimini del nichilismo nel suo polimorfismo. La Filosofia per costruire un percorso d’uscita dal nichilismo non deve avallarlo come avviene in tanta cultura accademica7 :
"La questione circa la fine della metafisica, la sua improseguibilità, non è ineludibile solo o principalmente in quanto si riesce a dimostrare che essa costituisce il movente, esplicito o implicito. Delle correnti principali della filosofia novecentesca; ma soprattutto perché pone in discussione la stessa possibilità di filosofare. Ora questa scoperta non è tanto minacciata tanto dalla scoperta teoretica di altri metodi, altri tipi di discorsi altre fonti di verità ricorrendo alle quali si potrebbe fare a meno della filosofare e di argomentare metafisicamente. Ciò che getta una luce di sospetto sulla filosofia come tale e su ogni discorso che voglia riprenderne su piani e con metodi diversi le procedure di <<fondazione>>, di afferramento di strutture originarie, principi, evidenze prime e cogenti, è la smascherata connessione che tali procedure di fondazione intrattengono con il dominio e la violenza”.
La metafisica dogmatica che Vattimo associa alla violenza , non è l’unica alternativa al nichilismo, al relativismo, vi sono studiosi come Costanzo Preve, Massimo Bontempelli, Marino Gentile che hanno dato il loro contributo ad una metafisica non dogmatica, ma dialogica-socratica, la quale è un percorso per uscire dalla trappola nichilistica, non segnata dalla separazione della violenza, ma dal dialogo corale.

La scuola
Secondo Luciano Canfora la scuola è l’istituzione che, in tale contesto, può dare il contributo decisivo per l’emancipazione dall’omologazione massificante. La scuola come luogo e tempo dell’incontro, malgrado le controriforme degli ultimi decenni, è un’istituzione comunitaria nella quale il sapere critico potrebbe contribuire in modo considerevole per un nuovo cammino di crescita comunitario8 :
"A mio parere, il luogo dove le tendenze oligarchiche dominanti possono e devono essere messe in discussione è il laboratorio immenso costituito dal mondo della formazione e della scuola. Per quanto ammaccato in mille modi, nei nostri Paese avanzati resta una struttura che tocca e pervade l’intera società. E’ lì che l’educazione antioligarchica, su base critica, può farsi strada”.
La scuola è l’istituzione deputata alla domanda di senso, pertanto la resistenza deve concretizzarsi, in primis, nella difesa della comunità classe, contro le sirene dell’innovazione che la vorrebbero sostituire con gruppi mobili. La domanda necessita di gruppi stabili dove il conoscersi è la precondizione per imparare a dialogare ed a pensare; i gruppi mobili, invece, corrispondono alla disintegrazione della comunità scolastica in nome delle esigenze del mercato. L’alternanza scuola lavoro è una delle modalità con cui il cavallo di Troia delle controriforme è entrato nella scuola per riprodurre e duplicare il sistema delle gerarchie nichilistiche del capitalismo assoluto. Gli alunni non più persone e cittadini devono imparare ad autopercepirsi come lavoratori precari, si inocula in tale maniera il riduzionismo nichilistico nelle personalità dei futuri sudditi del capitale, li si rende organici mediante un opportuno addestramento.

I classici
I classici e la cultura classica possono essere veicolo di rigenerazione, poiché essi permettono un’operazione di decentramento. In assenza di alternative robuste e diffuse che possano, nella comparazione comparativa, favorire l’esame critico dello stato presente, i classici possono essere un punto di vista esterno attraverso cui guardare per capire la condizione presente. I classici, la Filosofia, l’istituzione scolastica sono lo sguardo con cui è possibile interpretare il presente per elaborare processi di emancipazione9 :
"La dimensione dell’attualità è ovviamente l’orizzonte ineludibile da cui partire. Ma non è necessariamente l’orizzonte di senso e normatività entro cui rimanere. L’attualità stessa è una nozione spessa poiché può esprimere molte esigenze che mettono in crisi la solidità di ciò che diamo per attualmente scontato. A partire da questi bisogni si può ricorrere al radicale per mostrare stati di cose alternativi. In tal senso, il radicale è sia una messa in discussione dell’ovvietà dell’attuale, sia un modo di prospettare alternative, mondi possibili, che si discostano dalle vicinanze dell’attuale. Quanto siano effettivamente accessibili e stabili è una questione che possiamo momentaneamente mettere da parte. Quindi ciò che il senso comune sociale definisce come radicale non è soltanto il contraltare negativo dell’attuale, il suo lato bello ma impossibile. Ne definisce anche infatti le aspirazioni e il campo di sperimentazione della possibilità. Quindi mettere in campo opzioni radicali estende il dominio della possibilità e non la fa appiattire esclusivamente sui mondi possibili molto vicini al mondo attuale. In tal senso, l’esercizio di radicalità svolge diverse funzioni rispetto alla persistenza dell’attuale. Ne mette in discussione i presupposti ovvi e non discussi. Mostra un’alternativa possibile. Estende il dominio della possibilità oltre ciò che è immediatamente visibile. Potremmo quindi dire che l’attualità è almeno in parte legata all’esercizio di radicalità, non soltanto come suo negativo ma anche come termine di riferimento dell’estensione della possibilità che è necessaria per esprimere il perimetro dell’attualità. I due termini, invece, si distanziano nei primi due sensi di attualità (di prossimità e del portavoce)”.
Nel presente è necessario cercare le potenzialità del suo trascendimento, senza tale operazione salutare, la prassi della speranza non può che perire, affinché questo non avvenga è necessario rivitalizzare le forze sopite o attive, senza le quali non vi è che l’eternizzarsi del presente. Bisogna seminare consapevolezza lontani dai circuiti mediatici che trasformano ogni parola in spettacolo. La società dello spettacolo è sempre in agguato per trasformare il dialogo, in immagine, in narcisismo mediatico che toglie profondità al senso della parola per restituirle solo flatus vocis, per cui l’agire dovrebbe essere concreto, diretto, specialmente con le nuove generazioni, testimoniando così l’esodo dall’incultura del presenzialismo omologante che neutralizza le parola per prediligere il simulacro alla verità. Dove non vi è verità, vi sono solo miti, il nichilismo si nutre del mito, per cui è necessario vivere nella verità, lontani dal mito dell’esserci ad ogni costo. Ogni epoca ha le sue urgenze, le sue forme di lotta e resistenza, la nostra necessita di parole e presenze discrete contro il chiasso dell’immagine. Il pensiero necessita di silenzio, il chiasso dell’immagine e sonoro in cui siamo immersi, sono la concretizzazione percettiva del nichilismo, il quale anestetizza ogni genetica del pensiero con la sua presenza-onnipresenza che funge da perenne distrattore del pensiero per sostituirlo con semplici automatismi. Il silenzio che prepara la parola è il passaggio non aggirabile per tradurre l’essere in parole, in comunicazione, in condivisione, e oltrepassare il vuoto orizzonte del nichilismo10 :
«Il silenzio è oggi l'unico fenomeno "senza utilità" [ohne Nutzen].Del resto non s'addice all'odierno mondo dell'utile, si limita ad esistere e sembra non avere alcun altro scopo, né si presta a qualsivoglia sfruttamento»

Note
1 Gustavo Zagrebelsky Contro la dittatura del presente Perché è necessario un discorso sui fini Laterza bari 2018 pag. 9
2 Ibidem pag. 15
3 Ibidem pag. 17
4 Aristotele, Etica nicomachea pp. 2 3
5 Ibidem pag. 5
6 Ibidem pag. 30
7 Gianni Vattimo Della Realtà Garzanti Milano 2012 pp. 150 151
8 Gustavo Zagrebelsky Contro la dittatura del presente Perché è necessario un discorso sui fini Laterza bari 2018 pp. 87 88
9 Federico Zuolo Radicalità e attualità Sull’uso contemporaneo dei classici pag.8
10 MAX PICARD, Il mondo del silenzio, a c. di J.-L.EGGER, Servitium, Sotto il Monte (BG), 2007, p. 20 

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