«In Occidente fino ad oggi si pensa che la libertà e l’uguaglianza siano ideali indiscutibili, che la democrazia sia un assioma per ogni persona “perbene”, che l’elezione sia sempre più alta e più utile della nomina, che la monarchia è sempre peggiore della repubblica (…)». Ma, «davanti a noi non c’è un “ideale”, non un “sogno” e non una “dottrina”, ma il compito fondamentale di ricreare la Russia. E dobbiamo concepire la Russia come uno stato vivente, organico-storico, unico, russo-ereditario, con la sua fede speciale, con tradizioni e bisogni speciali». Al di là di qualche espressione e riferimento più databili nel passato, ad una prima lettura si potrebbe essere forse portati a credere che queste frasi siano tratte da uno dei molti interventi pronunciati da Vladimir Putin nel corso degli ultimi vent’anni, e ancor di più da quando lo scorso 24 febbraio le forze armate russe hanno invaso l’Ucraina. Si tratta invece di una citazione tratta da Nashi Zadachi (I nostri compiti), una raccolta di scritti politici pubblicati tra il 1948 e il 1954, anno della sua morte, dal filosofo Ivan Aleksandrovic Il’in, il più significativo tra i pensatori fascisti russi. E una delle figure più citate da Putin.