lunedì 22 gennaio 2024

FILOSOFIA POLITICA. IL BERLUSCONISMO. FABIANI M., IL BERLUSCONISMO PER UN’ANALISI PEDAGOGICA E DI FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO, ANARCHAOS.ORG, 29.01.2010

 Che cos’è il berlusconismo? Bella domanda. E’ un regime? E se si, che tipo di regime? E’ una dittatura? E se si, che tipo di dittatura? Ad esempio durante il fascismo se avessi scritto questo articolo sarei stato come minimo mandato al confino, fino al rischio di perdere la vita, mentre ora lo posso pubblicare. Questo significa che il berlusconismo non è una dittatura? Eppure io in carcere ci sono finito per le mie idee e i miei articoli, magari non 20 anni ma solo uno, ma comunque ci sono finito. Eppure in carcere ogni anno muoiono centinaia di persone impiccate, massacrate, suicidate…magari non 6 milioni (come le vittime dell’olocausto), ma comunque ci sono. Se poi vogliamo complicare il quadro possiamo dire che, ad essere precisi, quando sono stato arrestato il simbolo del regime (cioè Berlusconi) era formalmente all’opposizione. In quegli anni in cui il regime berlusconiano continuava ad esistere (ovvero continuava la sua opera di potere e la sua azione pedagogica e di filosofia del linguaggio), ma il suo simbolo non era al governo, continuavano a crepare nei cantieri gli operai, continuavano ad essere arrestati gli oppositori, continuavano ad essere perseguitati gli stranieri, ecc.




Insomma abbiamo un problema di definizione. Come definire un regime che ti arresta, ti uccide, ti sfrutta, ma allo stesso tempo lo fa nel contesto di una relativa (pur nei limiti ben definiti) libertà di espressione, di un relativo (molto relativo) benessere sociale? Come definire un regime in cui il simbolo del regime non sempre governa, a volte è in guerra con altri apparati del potere come la magistratura, rischia di essere condannato, a volte viene cacciato, ma comunque continua a modificare in maniera evidente milioni di coscienze con la TV, con il suo linguaggio e con la sua pedagogia? Insomma, dicevamo, abbiamo un problema di definizione.

IL LINGUAGGIO BERLUSCONIANO


Quando penso alla relazione fra berlusconismo e filosofia del linguaggio, mi vengono in mente tre grandi scrittori: Benjamin, Orwell e Kafka.
La filosofia del linguaggio dell’enigmatico ebreo e agnostico e anarchico e rivoluzionario e messianico e materialista e idealista e incredibilmente coerente Walter Benjamin è così riassumibile: la contrapposizione fra la concezione borghese della lingua e la concezione magico-rivoluzionaria della lingua. La concezione borghese della lingua è secondo Benjamin strumentale, le parole sono usate come etichette per designare le cose, tradurre qualcosa significa sostituire l’etichetta di una lingua con l’etichetta di un’altra per designare la stessa cosa, le parole sono stuprate, modificate, strumentalizzate, sottomesse alla volontà del potere. In questo contesto vengono inserite tutte le filosofie del linguaggio moderne e contemporanee, compreso il funzionalismo e il materialismo. La concezione magico-rivoluzionaria della lingua al contrario è autentica, le parole non vengono separate dal loro contenuto spirituale, ogni parola è unica e insostituibile, in ogni traduzione viene perso qualcosa, in ogni sottomissione della parola vi è un atto reazionario e violento, la traduzione è un gesto allo stesso tempo rivoluzionario e messianico, le lingue convergono verso la fine della storia, verso la sovversione della storia dei vincitori, verso il grande Sabato, la Rivoluzione, la grande festa in cui le parole dei perdenti, di coloro che non hanno potuto scrivere la storia, con le loro lingue schiacciate dagli imperi che li hanno colonizzati, le parole dimenticate, stuprate, strumentalizzate dal potere cominceranno a ballare e verranno redente: la storia verrà sovvertita e verrà riscritta con le parole dei deboli e degli sconfitti.
Come non vedere nel pensiero di questo filosofo morto sucida oltre sessanta anni fa, mentre cercava di fuggire in Spagna dai Nazisti che stavano conquistando la Francia in quei giorni, come non vedere nelle sue parole un’incredibile anticipazione dell’analisi del moderno linguaggio occidentale e berlusconiano? Il contenuto spirituale, per dirla con le parole di Benjamin, della parola “guerra” è evidentemente diverso dal contenuto spirituale della parola “missione di pace”, il contenuto spirituale della parola “inceneritore” viene dissimulato dal contenuto spirituale della parola “termovalorizzatore” ed altri centinai di esempi si potrebbero fare. A partire dal nome del Partito di Berlusconi, il Popolo della Libertà, che in realtà non ha nulla a che fare con gli interessi del popolo e con il valore della Libertà.
Questa strumentalizzazione della parola, in Italia è molto più forte che nel resto del mondo. Ad esempio la NATO e gli USA hanno coniato parole come “guerra umanitaria”, “bombe intelligenti”, “forze del bene”, “esercito della libertà”, ma parole come “missione di pace”, o “termovalorizzatore” esistono solo nella lingua italiana: non solo Bush, ma anche Obama non ha mai avuto alcun problema parlare di “guerra in Afganistan”, mentre in Italia la destra come la sinistra la chiama “missione di pace” e le poche forze pacifiste nei loro programmi elettorali parlano di ritiro da tutte le “missioni militari in teatri di guerra” dimostrando di essere ormai assuefatti alla sostituzione linguistica di parole come “esercito” (per quanto sia “l’esercito del bene” di Bush) con parole come “missione” o di concetti come la guerra (combattuta dallo Stato italiano) e i semplici teatri di guerra (in cui lo Stato italiano pare quasi si trovi per caso e gli si chiede un semplice ritiro).
Come mai la situazione italiana è così compromessa da un punto di vista linguistico? Chi ha condotto tale magica modificazione a cui ormai tutti noi nella nostra quotidianità aderiamo senza nemmeno accorgercene? Il berlusconismo è quindi riuscito a modificare il linguaggio e quindi la cultura di milioni di persone, in un rapporto, quello fra linguaggio e cultura politica della gente, che somiglia a quello che ci propone il romanzo di Orwell 1984. Berlusconi in primo luogo ha fondato un gruppo televisivo potente e, negli anni ’80 e nei primi anni ’90 del secolo scorso, per 15 anni lo ha messo sotterraneamente a disposizione di un progetto di cambio culturale del paese che usciva dalle rivolte anche armate degli anni ’70 e andava verso una spedita “borghesizzazione” della cultura. In secondo luogo, di fronte alla crisi della classe politica dell’epoca, si è proposto egli stesso come uomo politico e con il suo linguaggio potente e populista ha riempito in pochi mesi un vuoto di potere enorme che si preparavano a prendere i giudici e la sinistra ex-comunista e che inspiegabilmente gli è sfuggito di mano. Linguisticamente per altri 15 anni ha modificato il modo di parlare dei politici, con parole dirette, veloci, feroci, ma vuote che hanno affascinato milioni di persone. Ricordiamo il rapporto fra linguaggio e cultura e quindi fra linguaggio e potere che ci propone 1984 di Orwell: a quanti bravi compagni gli è capitato quasi di non riuscire più a concepire i concetti del passato e di non trovare le parole nuove per una nuova teoria politica adatta ai nostri tempi, quasi come se le nostre parole non le capisca più nessuno e se ne inventiamo di nuove non abbiamo gli strumenti per veicolarle? A me pare, non so quanti altri percepiscono il mio problema, quasi che la mia idea di anarchia non trovi le parole per spiegarsi agli Altri, come se lo strumento della parola mi fosse ormai sottratto dal potere.
Un genio da questo punto di vista è Kafka: egli non teorizza contro la concezione strumentale del linguaggio – come fa Benjamin – ne gli lascia la parte dei “cattivi del romanzo” – come Orwell – semplicemente ne prende atto e lo usa come arte nelle sue opere: brani in cui le parole ne rimandano altre, e queste altre ancora, dove un capitolo ne richiama un altro e ti riporta di nuovo al punto di partenza, delle parole che se uno indaga sapientemente non dicono nulla, sono solo etichette.
In conclusione, il problema del linguaggio è un problema che riguarda tutto il mondo e che ha sempre interessato il modo con cui il potere fonda la sua ideologia; ma in Italia è particolarmente preoccupante e ormai ha creato pedagogia, ha educato gli italiani, compresi gli ambientalisti e i pacifisti che ormai usano quotidianamente, anche se magari in senso negativo, parole come “termovalorizzatori” o “missioni all’estero”.
Perché, con una concezione strumentale della lingua, si può dire tutto o il contrario di tutto: si può chiamare pace la guerra, si può accusare di terrorismo chi fa una scritta su un muro, ci si può svegliare una mattina – come nelle Metamorfosi di Kafka – e trovarsi trasformato in un orrendo insetto. O magari sentire uomini armati e camuffati bussare alla tua porta per portarti via.

IL RUOLO INFAME DEI MEZZI DI INFORMAZIONE DI MASSA


Ma il linguaggio non si crea e non si impone a milioni di persone senza uno strumento; nell’era moderna questo strumento sono i media. In particolare le televisioni di Berlusconi si dividono così:
• RETE QUATTRO – è la rete dei fedelissimi, non serve a fare proseliti, ma a rafforzare la base dell’edificio del regime berlusconiano, a renderlo solido; questa opera si esplica attraverso il TG di Emilio Fede con una programmazione incentrata al 90% sul governo.
• CANALE CINQUE – è la rete “istituzionale”, il suo TG è formalmente imparziale, ma giorno dopo giorno, goccia dopo goccia, porta acqua al mulino berlusconiano con servizi che dedicano uguale spazio a tutti, ma che allo stesso tempo inseriscono parole e concetti (“pace” al posto di “guerra”, “moderati” al posto di “razzisti”, “volontari per la sicurezza” o “ronde” al posto di “squadrismo”, maggiore attenzione alla cronaca nera se i protagonisti sono degli immigrati, ecc) che formano e rafforzano la cultura dominante.
• ITALIA UNO – è la rete pedagogica del gruppo, più che educazione crea diseducazione: ha i cartoni animati e i telefilm che attirano i bambini, ha una pubblicità rivolta quasi esclusivamente ai giovani e allo stesso tempo una programmazione pornografica, fatta di maschi arrapati e di femmine nude, ha pochissimo telegiornale ed è interamente incentrato sulla cronaca nera con al centro immigrati, rom, diversi di ogni tipo.
• TG.COM – è l’elemento subliminale: viene sparato continuamente su tutte le reti, durante la pubblicità, fra un cartone e l’altro, nel primo tempo dei film di successo, fra una serie e l’altra; dura pochi secondi, come delle grida in cui al telespettatore viene sparata la notizia del nuovo stupro commesso dallo zingaro di turno.
• RAI UNO – è l’altra rete istituzionale, non fa parte del gruppo di cui Berlusconi è il proprietario, è espressione diretta più che dell’uomo che è a capo del regime della repubblica in generale, il suo TG è il TG dei messaggi del Capo dello Stato e del Presidente del Consiglio, dei ministri, dei sottosegretari, dei Presidenti delle Camere, degli stessi oppositori parlamentari. Come nelle tre reti berlusconiane, è severamente proibita l’informazione in prima serata: a dimostrazione che il potere se può scegliere fra un’informazione asservita e nessuna informazione preferisce la seconda.
• RAI DUE – E’ la versione pubblica della rete pedagogica, ai giovani insegna che “non c’è cosa più divina che fare la velina”, ma lo fa nello stile della decenza istituzionale della RAI.
• RAI TRE – Per dirla in termini hegeliani, è la rete dell’elemento dialettico, quella che deve dare il giusto spazio agli oppositori per rafforzare il Tutto del regime. In quanto unica rete dell’opposizione di Sua Maestà non riesce a fare il ruolo del tg5 al contrario, cioè di un TG imparziale ma che, goccia dopo goccia, modifica l’opinione pubblica. Quindi percepita come di parte, il che è vero, non è guardata dai fan del Cavaliere e così si evita che delle informazioni pericolose (in realtà molto poche) finiscano nelle orecchie sbagliate.

IL RUOLO DELLA RENDITA. UN TENTATIVO DI DEFINIZIONE


La rendita è una cosa vecchia come la civiltà umana. Eppure è una cosa che ancora oggi ha un grandissimo ruolo nella nostra economia. Se pensiamo che durante la Rivoluzione Francese i diritti di rendita sono stati aboliti e che un secolo dopo Marx ha sostenuto che la rendita era un’eredità del passato e che il Capitalismo moderno l’avrebbe superata, pare strano oggi – passati altri due secoli – pensare al ruolo della rendita nella recente crisi economica e finanziaria.
Che cos’è la rendita? La rendita è, ad esempio, la mezzadria che il signore chiedeva al contadino che coltivava la terra per il semplice fatto formale di essere il padrone di quel appezzamento; la rendita è l’affitto che il padrone di casa ci estorce per il fatto di essere il formale proprietario di quelle quattro mura; la rendita è quella parte di salario che l’azienda toglie al lavoratore per creare profitto a coloro che hanno comprato le sue azioni.
La recente crisi finanziaria deriva da una crisi economica – e non viceversa – dalla crisi delle case in particolare e della rendita in generale: il padrone di casa che ti affitta l’immobile riceve denaro astratto per il semplice fatto di esserne il formale proprietario, quel denaro non proviene dal lavoro che il padrone ha fatto, non lo ha ottenuto vendendo i pomodori del suo orto o producendo beni, ma semplicemente è denaro astratto che deriva dal valore astratto di quella casa; con quel denaro astratto vengono comprate cose concrete come il cibo, la macchina, la casa, l’energia, ecc, oppure viene messo in banca o investito in borsa; allo stesso tempo le aziende che producono macchine, energia elettrica, cibo, ecc, vanno avanti anche con i soldi astratti dei tanti proprietari di case (alcuni ricchissimi, altri anche persone povere che incrementano il loro salario con quel modesto affitto) che non hanno prodotto con il lavoro, ma hanno ricevuto in dono denaro solo per il fatto di essere proprietari dell’immobile; allo stesso modo le banche che ricevono i soldi di quei proprietari o delle aziende che a quei proprietari hanno venduto dei beni, si riempiono di questi soldi senza alcun valore concreto e quei soldi li investo in borsa…prima o poi tutto questo deve crollare: ecco la crisi.
Cosa c’entra con il berlusconismo? Moltissimo. Infatti, al di là della catene di supermercati o altre aziende che il ricco Berlusconi ha comprato, la gran parte del suo Impero economico deriva dalla rendita: dalla TV e dai soldi della pubblicità, dal fatto di essere proprietario del Milan (anche qui pubblicità, biglietti dello stadio, diritti TV, ecc), dalla casa editrice Mondadori, dalle Banche di cui è proprietario, dai soldi che si è giocato in borsa nelle sue tantissime azioni e – perché no? – dagli altissimi stipendi da parlamentare, da ministro e da Presidente del Consiglio dei ministri. Tutto questo è denaro astratto. Questo significa che Berlusconi è un uomo del passato? Assolutamente no, Berlusconi è un uomo decisamente moderno, piuttosto si sono sbagliati colore che (come ad esempio Marx) hanno ritenuto che la rendita fosse qualcosa di pre-moderno in via di estinzione.
Finalmente possiamo tentare di risolvere il nostro problema di definizione: il berlusconismo è un moderno regime di rendita, in cui il potere politico è concentrato non nelle mani di un burocrate, come negli altri regimi democratici, ma di un uomo che da quel regime di rendita proviene e che anzi ne è il più ricco e potente esponente, o addirittura il monopolista.
Come si alimenta questo moderno regime di rendita? In maniera apparentemente meno crudele della medievale mezzadria o del moderno padrone di casa. Come? Con lo spettacolo. Spettacolo a cui è legato il pubblico, spettacolo sponsorizzato dalle inserzioni pubblicitarie, spettacolo che permette alle pubblicità che vi si inseriscono di venere i loro prodotti. Quindi non produce prodotti, oltre al prodotto astratto dello spettacolo, e non incassa ricchezza, oltre il denaro astratto della pubblicità. Ci sono poi certo i canali a pagamento, ma questo è un altro discorso dato che non si è obbligati a guardarli e comunque i migliori spettacoli hanno sempre avuto un biglietto di ingresso.

COSA VUOL DIRE MODERNITA’


Abbiamo quindi finalmente ipotizzato una possibile soluzione al nostro problema iniziale di definizione: il berlusconismo è un moderno regime di rendita. Attenzione ai termini però. Cosa vuol dire modernità? Chi mi conosce sa che non è una parola che io uso per caso. La modernità non è semplicemente il nuovo. Anzi nell’era del futuro, nell’era successiva alla modernità, ci sarà qualcosa di nuovo ma non moderno. Così come le cose moderne saranno vecchie. Uno dei miei capitoli del libro Sperimentiamo l’Anarchia si intitola proprio Quando la modernità è ormai vecchia…
Quindi quando si dice il berlusconismo è un moderno regime di rendita, non si vuole solo banalmente intendere che il berlusconismo è una rendita nuova rispetto a quelle vecchie. Cosa che oggi è vera, domani non più. Piuttosto che questo regime di rendita ha fra le sue determinazioni il fatto di essere moderno. La mia posizione filosofica, molto sinteticamente, è che la modernità è un’era che ha prodotto molto significative evoluzioni rispetto al dogmatismo del passato, ma che ha anche dei limiti, che essa non è la fine della storia (potrebbe certo diventarlo assecondando i deliri di certi scienziati), ma un’era che viene dopo quella passata e prima di quella futura. Riepilogo velocissimamente la mia posizione già espressa in tantissimi articoli. La modernità ha due caratteristiche: l’antropologia e la dialettica.
Quindi dire che il berlusconismo è un moderno regime di rendita significa dire che il berlusconismo ha fra le sue caratteristi, per così dire “filosofiche”, l’antropologia e la dialettica.

IL RUOLO STRUTTURALE DELL’OPPOSIZIONE NELLA DIALETTICA BERLUSCONIANA


Per quanto riguarda l’antropologia, in gran parte, abbiamo già parlato. Mi limito a suggerire che gli elementi dell’antropologia berlusconiana vanno indagati nel il suo sessismo, ma soprattutto nel il ruolo pedagogico delle TV.
Per quanto riguarda la dialettica, ebbene il berlusconismo è molto dialettico. Non nel senso di dialogante (ah ah ah) ma nel senso hegaliano del termine. Nella dialettica i due opposti si superano in una sintesi superiore. Ad esempio la sintesi fra i piccolo-grandi borghesi razzisti del Nord che votano la Lega e gli interessi feudali del padronato meridionale, ecc. Soprattutto nella dialettica l’opposizione è un passaggio necessario per rafforzare la totalità. La democrazia è un regime dialettico, ad esempio. La democrazia berlusconiana è anche essa un particolare regime dialettico. Ecco che abbiamo risolto un’altra delle domande iniziali: l’anomalia fra un regime razzista, sessista, repressivo, monopolista delle fonti di informazione e la paradossale presenza di giornali, pensatori, scrittori, parlamentari contrari al leader del regime si spiega in termini dialettici: l’opposizione serve dialetticamente a rafforzare la Totalità Concentrazionaria del Regime. C’è che dice che Hegel è un nazista. Io dico che Berlusconi è un hegeliano.
In questo contesto ci spieghiamo alcuni buffi fenomeni: ad esempio come è possibile che un magistrato forcaiolo come Di Pietro passi per un oppositore di estrema sinistra, come la destra fascista italiana da anni si definisca “rivoluzionaria” (da molto prima di Berlusconi!), come lo scontro fra oppressi e oppressori venga rinominato (a proposito di filosofia del linguaggio) in quello fra giudici e politici. Ho fatto tre esempi non del tutto casuali: il primo, l’opposizione al regime che in realtà non è illegale e illegalista come quella dei Partigiani, ma è guidata da un magistrato; il secondo, la destra che in questo paese non è conservatrice, ma paradossalmente avversaria e quindi “rivoluzionaria” delle leggi costituzionali; il terzo, in senso hegeliano la sintesi, il ribaltamento dei termini statici fra oppresso e oppressore con quelli dinamici di politico e magistrato, dove a seconda dei punti di vista uno ha il ruolo dell’oppresso e l’altro dell’oppressore, in un divenire che in realtà è identità e rafforzamento del Tutto, della Totalità Concentrazionaria.
Il regime in questa dialettica perfida si rafforza: ad esempio il giovane ribelle di sinistra al berlusconismo non “sfonda” mai il muro del legale perché ha fra i suoi modelli un Di Pietro, un Grillo, un Saviano. Si evitano così pericoli rivoluzionari: come potrà mai diventare anarchico uno che da quando è giovane la rappresentazione mediatica, linguista e pedagogica che ha dello scontro è che gli unici protettori della libertà dal berlusconismo sono i magistrati? Quel giovane svilupperà, pur nel suo sentirsi diverso da questo schifo, uno spirito molto conservatore e il campo del ribellismo sarà in mano unicamente alle ronde e alle squadracce razziste.

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