mercoledì 14 febbraio 2024

CINEMA E MIGRAZIONI. IO CAPITANO, DI MATTEO GARRONE. RECENSIONE. M. FAGOTTO F., 14.02.2024

 Potremmo prenderlo come un augurio: sono passati quasi 40 anni dalle prime migrazioni e ancora vogliamo trattarle come allora? In molti sottolineano il fatto che i due ragazzi vorrebbero andare in occidente per farsi firmare autografi una volta affermatisi come cantanti rap. Insomma, si tratta di un film sul desiderio e sul sogno di imitare i loro coetanei di cui ascoltano e vedono le gesta attraverso il cellulare. Come è accaduto per tutti coloro che hanno cercato il successo nella dominante società dello spettacolo rincorrendo l'american dream di turno. Aggiungiamo che Garrone si era occupato di migranti già in TERRA DI MEZZO (1997), in un momento particolare della storia di questo fenomeno, dopo il famoso sbarco di migliaia di albanesi in Puglia e le prime manifestazioni di razzismo in quegli anni Novanta caratterizzati dalla comparsa politica di Berlusconi alleatosi con la Lega e con i post-fascisti di G. Fini ( coautore, insieme con Bossi, di una legge proprio sulle migrazioni).





   All'epoca della globalizzazione, ormai, tutti sognano lo stesso sogno, verrebbe da dire. E non si sa se sia un bene. Anche perché la realtà che lasciano non è così fatiscente come si sarebbe spinti a pensare visto che si parla di Africa: invece si balla, si recita con costumi sgargianti e colorati. Una realtà- spettacolo fatta di “povertà dignitosa”, ripete Garrone. Abbandonarla è un rischio come spiega l'uomo consultato dai due ragazzi prima di partire: in Europa ci sono i morti sulla strada, non è quel paradiso che si immagina.

   Questo poteva essere un tema su cui dire qualcosa (la spettacolarità del folklore senegalese messa di fronte alla spettacolarità occidentale: Garrone è stato l'autore di REALITY). Un confronto fra due culture su un aspetto che avrebbe potuto rivelare delle sorprese. Che cosa sognano coloro che vivono nell'economia del mondo dei sogni, economia che ha mercificato, semplificato ed omologato anche l'immaginario riducendolo all'imperativo unico di diventare "ricco e famoso” (esempio più recente, il tennista Sinner: La stampa del 29 gennaio gli dedica ben 4 pagine).


   Ma Garrone aveva di fronte anche un'altra possibilità. Che differenza c'è fra i due ragazzi senegalesi che vorrebbero approdare in Europa per poter diventare famosi e il personaggio che vorrebbe partecipare al Grande Fratello per diventare anche lui famoso? L'occidentalizzazione in senso spettacolare del mondo ci ha divisi in attori e spettatori e forte è la competizione fra questi due ruoli. Una semplificazione che facilita l'altra divisione che sembra aver destituito di senso ogni appartenenza in termini di classi o ceti. Quella fra élite e moltitudine, con la prima nel ruolo attivo di attore e la seconda in quello passivo di spettatore.

Aggiungo che un'altra questione che poteva essere affrontata è la seguente. Il diritto occidentale e occidentalizzante, ormai diventato universale, a sognare la propria auto-realizzazione secondo i canoni dell’ “imprenditore di se stesso”, si scontra con dei limiti di sostenibilità e realizzabilità oggettivi. Come si è potuto pensare che, in 40 anni, miliardi di esseri umani per secoli vissuti in continenti e in culture diverse, potessero raggiungere gli stessi standard e stili di vita che, per una piccola parte di quella parte di mondo che chiamiamo “occidente”, hanno richiesto 400 anni di tempo in una lunga lotta fratricida, ecocida, ed etnocida di cui solo oggi ci si rende conto ancora a fatica in mezzo ad evidenti ed enormi difficoltà e imbarazzi?


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