lunedì 19 febbraio 2024

RICOSTRUZIONI STORICO-POLITICHE. LE METAMORFOSI DELLA 'SINISTRA' ITALIANA. M. FAGOTTO F., 19.02.2024

 


   "Una borghesia londinese, sostenuta sui social media dalle brigate dei guerrieri del woke, coloro che vigilano ossessivamente contro razzismo e ingiustizie sociali, si è impossessata di fatto del nostro partito. Il loro utopismo tecnologico ha più in comune con l'alta società californiana che con la gente comune andata a votare a Hartlepool, la cittadina del nord-est dell'Inghilterra economicamente depresso dove il Labour ha perso per la prima volta nel 1974 " (Khalid Mahmood).


Critica del sistema dominante


   Riferimenti tradizionali della sinistra: critica dell'economia politica, cioè del modo di produzione capitalistico; alienazione,  mercificazione, sfruttamento; critica del culto della proprietà privata e del denaro; importanza della socialità e dei beni pubblici: promozione della cultura e dell'istruzione,   della sanità, dell'ambiente…






Beni autentici e beni inautentici: da Berlinguer a Cacciari


Per restare in Italia, il Pci abbraccia alcuni valori libertari e laici con il referendum sul divorzio e sull'aborto, ma Berlinguer smorza gli entusiasmi per queste derive individualistiche con le sue proposte sull'austerita' mentre sarà il Psi a cavalcare quelle pulsioni per tutti gli anni Ottanta. Berlinguer distinguera' fra "beni autentici" e "beni inautentici" inserendo, fra i primi, salute, scuola, cultura e un diverso rapporto con l'ambiente. Beni non diversi da quelli indicati da Cacciari come "ricchezze che sono in funzione del benessere comune e di cui non può appropriarsi il privato...ricchezze materiali e immateriali come grandi infrastrutture di servizio, sanità,  scuola, salvaguardia dell'ambiente". Berlinguer li indicava come beni alla base di una società socialista, Cacciari li pone alla base della res publica.


La deriva laico-libertaria del PCI e il consenso di nuovi ceti sociali


   Sarebbe il caso di verificare, retrodatandola, l'affermazione di Piero Ignazi secondo il quale il PD come gli altri partiti socialdemocratici europei, avrebbero "resistito elettoralmente nei primi anni di questo secolo intercettando il voto di componenti sociali diverse, attratte dalle scelte laico-libertarie di questi partiti su tutta una gamma di temi etico-morali, dal matrimonio omosessuale all'eutanasia, dalla fecondazione assistita alla ricerca sulle staminali". 

   Temi che avrebbero attratto l'attenzione di ceti "istruiti e urbanizzati" un tempo lontani da questi partiti o addirittura volti a simpatie di destra. Che quote di elettori diversi, magari anche volti a destra avessero scelto tutt'altro fronte è fenomeno che potrebbe risalire a molti anni indietro, a quel famoso anno, 1976, in cui il Pci ottenne, per la prima volta, un consenso maggiore rispetto al suo antagonista di sempre, la Dc. 


Il sorpasso del PCI nel 1976 e la richiesta di sicurezza


In quell'occasione, al primo posto fra le richieste degli elettori, si trovava quella di veder garantita maggior sicurezza, domanda che, in anni più recenti, abbiamo visto cavalcare dalla Lega e da partiti neofascisti. E già allora non c'erano, fra le altre richieste, voci francamente legate alla tradizione social-comunista! Già Togliatti, da parte sua,  aveva sostenuto la necessità di avviare relazioni con altre classi sociali, in particolare quel ceto medio a cui sembra alludere Ignazi e che, di nuovo negli anni Settanta, sarà ulteriormente impreziosito dalla imbarazzante e nuova figura del "padroncino".


Ancora su Berlinguer: Lo schiacciamento sul presente e l'austerità berlingueriana


   Alla fine degli anni Settanta Enrico Berlinguer lancia la proposta di politiche all'insegna dell’austerità e della parsimonia.

Irrompe nel linguaggio politico l'esigenza di un'etica della responsabilità (nella direzione indicata da H. Jonas) che metta in discussione l'insieme dei comportamenti e degli atteggiamenti che avevano regolato, fino ad allora, i rapporti socio-economici a partire dal secondo dopoguerra. Berlinguer guarda indietro, al modello di sviluppo che aveva caratterizzato la trasformazione della società italiana  da agricola a industriale, un modello sostanzialmente consumistico-individualistico; fa il punto dei risultati ottenuti  nel presente  da questo modello di sviluppo (molto critici e negativi); lancia una proposta di società futura alla luce di fenomeni internazionali che si stavano affacciando all'orizzonte (la liberazione di tante culture dal giogo oppressivo del colonialismo, con tutte le conseguenze che essi avrebbero, a breve, comportato).

   Non è la famosa transizione al socialismo di cui pure si dibatte nelle cerchie intellettuali vicine al PCI (davvero sorprendenti queste contraddizioni all'interno dello stesso partito, ma si veda Prospero, Dalla transizione alla complessità,  in Vacca, a cura di, op. cit.) più modestamente è una proposta correttiva di quelle pulsioni, pure legittime, ma troppo particolaristiche che avevano prodotto sprechi, lassismo, disuguaglianze. Sono i "beni inautentici" che avevano finito per prevalere sui "beni autentici", di natura sociale e più ampiamente condivisibile (scuola, cultura, salute, un sano rapporto con l'ambiente).

   Un articolo di Laura Pennacchi (I 4 mali della nostra economia, Il manifesto, 16 febbraio 2022) ricorda proposte piuttosto simili avanzate più di 20 anni prima dal repubblicano La Malfa.

   Il documento di La Malfa sembra importante per almeno 3 motivi: 1.a leggerlo si ha l'impressione che, dal 1948 al 1960, il programma economico seguito dai primi governi repubblicani sia stato ispirato da principi liberisti i quali avrebbero fatto da propulsori al famoso boom che, dunque, non comincia negli anni Sessanta; 2.le considerazioni di La Malfa ritorneranno nel discorso di Berlinguer del 1976 a testimonianza del fatto che, nel periodo 1962-1976, le tendenze e i comportamenti  sociali ed economici sarebbero stati gli stessi di quelli stigmatizzati nel 62 da La Malfa; 3.i governi di centro-sinistra che si insediano proprio a partire dal 1962 avranno probabilmente il compito di mitigare e addomesticare le pulsioni aggressive delle pratiche liberiste lasciate allo stato brado probabilmente sulla scia del piano Marshall lanciato dagli americani nel 1947.




Riferimenti:

Aquilanti, Ritorno al futuro, L'espresso, 3 maggio 2021, p. 40

Berlinguer, La via dell’austerità,  edizioni dell'Asino, 2010

Capuzzo, La crisi degli anni Settanta e l'austerità', in Nella società dei consumi, Vacca, a cura di, La crisi del soggetto, Carocci, 2015, p. 56-61

Capuzzo, La storia politica dei consumi: la narrazione dell’austerità, in Papa, Balestracci, L'Italia degli anni Settanta, Rubbettino, 2019

Riccardi, L'austerità di Berlinguer fra nord e sud del mondo, in Gentiloni Silveri, a cura di, In compagnia dei pensieri lunghi, Carocci, 2006

Curli, L'austerità di Berlinguer, in Melograni, a cura di, La paura della modernità.  Opposizioni e resistenze allo sviluppo industriale, Cedes, 1987, p. 42-66

Soddu, La Malfa, Berlinguer e l'austerità, un'ipotesi di riforma, in Barbagallo, Vittoria, Enrico Berlinguer, la politica italiana e la crisi mondiale, Carocci, 2007

Napoleoni, Discutendo dell’austerità,  Rinascita, 28 gennaio 1977

Prospero Michele, Dalla transizione alla complessità,  in Vacca, cit.

Piccioni, Nebbia, Un tornante del dibattito italiano sull'ambiente, la ricezione dei limiti dello sviluppo in Italia, Ricerche storiche, 3, 2001

Masala, "Austerità occasione per trasformare l'Italia". Berlinguer era di sinistra?, L'antidiplomatico, 15 maggio 2020

Caffè,  La solitudine del riformista, Boringhieri, 2008

Gabriella Giudici, Processo a Berlinguer, L'espresso, 1982

Caffè   Articolo Cangiani, Caffè e la crisi del welfare state, 2017


Dopo il socialismo reale

   La vicenda giudiziaria nota come "Tangentopoli", avendo disarticolato e scompaginato il sistema dei partiti della prima Repubblica, rimise in discussione e in libera circolazione le classiche appartenenze ideologiche e i riferimenti valoriali di parte; a cui si aggiunse la fine del socialismo reale che fece da detonatore per l'esplosione che sconvolse i partiti comunisti europei, primo fra tutti quello italiano che cambiò velocemente nome e simboli tradizionali per essere risucchiato all'interno delle coalizioni generate dal nuovo sistema elettorale maggioritario votato, nel frattempo, a maggioranza dagli italiani nel 1993. Una semplificazione del sistema che accelerò la disgregazione e l'identità ideologica dei singoli partiti che avevano agito all'interno del sistema elettorale proporzionale della cosiddetta "prima repubblica". Costretti ad aggregarsi fra di loro, spesso in modo forzato e riluttante, questi partiti videro evaporare in breve le loro visioni del mondo per abbracciare, gradualmente, il "pensiero unico" nascente e dominante dopo il 1989. La "retorica filo-mercato" del pensiero unico ha finito per prevalere su tutto il resto e l'adorazione del dio mercato "ha marginalizzato i connotati socialisti dei partiti di sinistra" come scrive Ignazi (quando invece la resistenza elettorale di questi partiti, continua il politologo, era dovuta all'attrazione per l'agenda laico-libertaria da essi proposta: ma questi "valori modernizzanti" non hanno a che fare con "l'adorazione del dio mercato" non certo restio a far proprie altre domande e altri desideri da soddisfare?).


Eclisse dello spazio pubblico e rivendicazioni di nuove libertà individuali 


   Lo spazio pubblico, in questi decenni,  è gradualmente scomparso nelle nostre società e nelle politiche dei paesi occidentali. La sfera pubblica in senso proprio "sta sparendo, quella sfera pubblica nella quale ciascuno opera come agente simbolico che non può venire ridotto a individuo privato, a un fascio di attributi, desideri, traumi e idiosincrasie personali" (Zizek, 2005). Che cosa sta occupando, invece, questo spazio se non la rivendicazione di misure capaci di regolamentare e soddisfare proprio le idiosincrasie 'naturali' - potrebbe essere l'identità etnica - o quelle 'personali' -  come le preferenze sessuali-? Zizek si sofferma su due rivendicazioni considerate fondamentali per l'odierna mentalità liberale: la libertà  di scelta e della ricerca del piacere. 


La libertà di scelta nasconde lo smantellamento dello stato sociale e del lavoro a tempo indeterminato


   La prima ruota intorno all'idea secondo cui ogni soggetto sarebbe dotato di inclinazioni, capacità,  potenzialità  nascoste straordinarie alle quali occorre dare l'opportunità  di manifestarsi e realizzarsi contro ogni freno e impedimento esterno (stato, tradizione, costume, natura, ecc): individuo come soggetto "psicologico" che trabocca di capacità naturali.

   Si tratta, spiega Zizek, di una interpretazione ingannevole poiché con essa si nasconderebbe, in realtà,  lo smantellamento progressivo proprio di quello spazio pubblico che garantiva agli individui tutta una rete di protezioni e sicurezze più o meno stabili nel tempo: "Se la flessibilizzazione del lavoro significa che devi cambiare lavoro ogni anno, perché non considerarla una liberazione dalle catene di una occupazione fissa, come una possibilità  di reinventare te stesso e realizzare il potenziale nascosto della tua personalità?    Se si verifica un taglio dell'assistenza sanitaria e delle pensioni che comporta la necessità di una copertura integrativa, perché non considerarla un'opportunità in più  di scelta fra una migliore qualità della vita adesso o la sicurezza a lungo termine?" (Zizek, 2005, p.24). 


La morale della società dei consumi è la morale messa al bando da Dante nell'inferno


   Chi si sottraesse a questa concezione mostrerebbe di essere rimasto attaccato "in modo immaturo a vecchie forme di stabilità" che mortificherebbero (questa sarebbe la verità) le aspirazioni e tendenze effettive di ogni personalità davvero matura e sana. Questa ideologia fatta di argomentazioni morali e psicologiche, blandisce, insomma, e sfrutta la vanità e la sovrastima di sé di ogni individuo, investe ed è volontaria tentatrice di quella che, un tempo, si sarebbe detta, senza mezzi termini,  dimensione peccaminosa della natura umana. Paul Virilio afferma che la morale della società dei consumi, i nuovi valori a cui essa si appella ed alimenta per sopravvivere, non sono altro che i vecchi valori alla rovescia: "Una messa in scena della trasgressione dei peccati capitali, cupidigia, odio, violenza, invidia, golosità,  sesso, assassinio, che diventano progressivamente le regole di condotta di un'epoca inconsapeve dei danni che essa cela in sé " (Virilio, 2002, p.34). Come dire la piena e totale riabilitazione morale dell'inferno dantesco.


Cedere terreno all'avversario


   E’ come se, su un campo di battaglia, un esercito abbia deciso, lentamente, di retrocedere lasciando sempre più spazio all’esercito nemico, ma non perché abbia vinto e, dunque, finalmente possa ritirarsi, esausto ma vittorioso; no, non è questa la ragione! Retrocede perché ha deciso di non combattere più per certe cause che stanno, però, ancora in piedi, che non sono state risolte una volta per tutte. Ebbene, sul terreno abbandonato dall’esercito che retrocede ecco avanzare il nemico, ad occupare sempre più il campo di battaglia, brandendo come armi gli stessi principi e le rivendicazioni per decenni fatte proprie ed ascoltate fra le fila degli avversari che ora retrocedono, scomparendo malinconicamente verso un orizzonte che non è certo quello del sol dell’avvenire, semmai quello del sol dell’imbrunire.

Rivendicazioni lasciate al nemico: disuguaglianze economiche; precarizzazione/svalutazione del lavoro; erosione dei servizi sociali - sanità,  scuola,  pensioni, ambiente urbano e condizioni di vita nelle periferie -; mobilità sociale e pari opportunità; governo della globalizzazione e delle migrazioni; sicurezza e difesa della proprietà; centralità del parlamento.


Le tendenze attuali della sinistra socialdemocratica


   Sergio Fabbrini si chiede se il ciclo di crisi della socialdemocrazia si stia concludendo in seguito alle nuove vittorie elettorali in Norvegia, Germania e in Italia. La risposta è preceduta da una rappresentazione dei cosiddetti "trenta gloriosi", il periodo post-bellico segnato appunto dal "compromesso socialdemocratico" (Dahrendorf) che Fabbrini riassume così: maggioranza della popolazione da integrare nel sistema dell'economia industriale capitalistica; welfare universalistico; politiche industriali capaci di promuovere l'economia di mercato attraverso negoziazioni consensuali fra le principali organizzazioni di interesse; un sistema fiscale progressivo (gestito da uno stato efficiente!); equilibrio fra crescita e redistribuzione del reddito (secondo la massima di Olof Palme per cui bisogna nutrire la pecora se si vuol tosarne la lana con cui coprire chi sente freddo).

La fine di questo mondo meraviglioso (non c'è un solo accenno alla conflittualità che si generò in questo trentennio meraviglioso!) attribuita a quanto avviene fra gli anni Ottanta e Novanta: negli anni Ottanta si mette in discussione la centralità dello stato con le politiche di liberalizzazione e deregulation; negli anni Novanta la fine del comunismo velocizza i processi di globalizzazione in una direzione a difesa degli interessi del capitale rispetto a quelli dei lavoratori, modificando radicalmente l'equilibrio trovato nel ciclo socialdemocratico: "la globalizzazione neoliberale ha potuto produrre i suoi effetti propulsivi, come l'innovazione tecnogica' e distorsivi, come l'incremento delle diseguaglianze" (forse i primi sono diventati, in parte, la causa dei secondi).

Il compromesso socialdemocratico era stato ottenuto in un sistema retto dall'esistenza degli stati nazionali, cosa che avrebbe continuato a condizionare le politiche socialdemocratiche posteriori. E qui giungono esempi recenti e non relativi all'Italia. Che cosa abbiano fatto i partiti socialdemocratici in questi 40 anni ingloriosi non è detto e forse è meglio non ricordarlo...gli esempi di politiche nazionalistiche rilanciati dai partiti socialdemocratici riguardano l'oggi pandemico, quando ci si è accorti, tardivamente e colpevolmente, dello sfascio del welfare e dei disagi sociali prodotti da questo sfascio, disagi, nel frattempo, rappresentati dai nascenti movimenti populistici e dai partiti di destra e/o da giunzioni fra populismi e destre come abbiamo visto in Italia negli ultimi 15 anni.

   Sarebbe stato meglio spiegare al lettore che l'abbandono dello stato non è stato merito solo dei partiti neoliberali e ultraliberisti, ma anche della condiscendenza mostrata verso quel fronte da parte dei partiti di sinistra che, dopo il 1989, hanno iniziato una corsa forsennata a cambiar pelle in fretta per poi cominciare a pentirsi di averlo fatto (in Italia abbiamo l'esempio di D'Alema fra i primi ad ammettere, dal 2004, di aver sbagliato a seguire il modello della terza via di Blair).

(Fabbrini, Centrosinistra: i dilemmi del modello europeo, Il sole 24 ore, 14.11.21)


La mutazione ideologica della sinistra: alcune interpretazioni


   Salvatore Cingari, docente di storia delle dottrine politiche all'Università per stranieri di Perugia, intervenuto spesso sulla questione, elenca alcuni dei nuovi riferimenti ideologici che avrebbero finito per caratterizzare il nuovo volto della sinistra post-comunista italiana: alla  classe operaia si sostituisce una posizione interclassista; alla difesa e rafforzamento del welfare si sostituisce la difesa del criterio produttivistico delle imprese; per il mercato del lavoro si intraprende la difesa della flessibilità che vorrebbe dire della precarizzazione del posto di lavoro e della moltiplicazione di forme contrattuali a tempo determinato. Modello di questo nuovo corso neoliberale e liberista il partito democratico clintoniano "in fuga dalla tradizione del new deal" e mai critico nei confronti del capitalismo.

Altri valori e punti di riferimento l'efficienza e virtuosità del privato contro il pubblico inefficiente e sprecone; una idea individualistica sempre più imperativa a fronte di un attacco ai partiti post-tangentopoli anche sulla base di un moralismo giustizialistico "che anticipava l'imminente campagna securitaria".

Cingari sottolinea la distanza che comincia a emergere fra il nuovo Pd e altri movimenti coevi come i no global.

   Il primo viene di fatto colonizzato dalla sindrome anti-berlusconiana che vedrà il suo apogeo nel 2002 con il movimento dei girotondi di morettiana memoria. Sindrome giustizialista e moralista che mette insieme "rapporti con la mafia, costumi edonistici e dissipati, mancanza di cultura della legalità  e scarso senso civico". Si svilisce perfino il ruolo del conflitto di interessi interpretato come "violazione di regole comuni del gioco piuttosto che come espressione dello strapotere delle concentrazioni di capitale nel loro farsi spettacolo". In sintesi il Pd si arrocca dietro alla difesa di principi di cittadinanza, decoro e legalità senza toccare minimamente questioni relative allo stato di sviluppo e di gestione del capitalismo ormai globalizzato contro cui protestavano i no global.

   Importante mettere in luce anche un altro aspetto del nuovo corso del Pd, questa volta relativo alle classi di riferimento a cui il partito sembra guardare. Ebbene, anche questa volta per merito del girotondismo, il Pd preferisce farsi rappresentante del cosiddetto ceto medio riflessivo (espressione difesa da esponenti liberal-conservatori come Montanelli e altri giornalisti all'epoca in fase di rottura con Berlusconi) che della classe operaia finendo per aprire una spaccatura fra neo populisti incolti, consumisti e individualisti privi di senso di comunità (rappresentati dalla Lega e Forza italia) e civili, colti e raffinati difensori della legalità ( rappresentati dalla sinistra).

Una spaccatura pericolosa perché vede di fronte "il ceto medio - che all'epoca del fascismo sostenne Mussolini - e dall'altra il popolame destrorso e degradato discendente di quello che dal duce fu imbavagliato (...) in realtà il fascismo fu proprio un movimento di ceti medi riflessivi e intellettuali, professori, studenti, professionisti alleati di agrari e industriali per far trionfare l'Italia di Vittorio Veneto e il suo patriottico ordine selettivo contro quello livellante di operai e contadini, bolscevichi e caporettisti".

Insomma le responsabilità di questa posizione legalitaria e civilizzatrice sono quelle di aver abbandonato il terreno della critica dell'economia politica "in una fase in cui la polverizzazione del lavoro post- fordista faceva riprecipitare il " popolo" organizzato, anzi riorganizzato nel secondo dopoguerra sotto l' ombrello keynesiano, in un volgo disperso che nome non ha. Nessun tentativo di prospettare una reale alternativa economica e sociale".

Alla fine giungerà il renzismo, ossia " la visione secondo cui riformare la società  significava sostanzialmente svecchiarla avanguardisticamente nel segno della performatività" aziendalistica, rideclinando il berlusconismo nell'aria più fresca di un centrosinistra in cui ormai era stata naturalizzata la società di mercato: innovazione, creatività, talenti e meritocrazia divennero perciò le soluzioni per ridare slancio al paese...un nuovo abbaglio - commedia blairiana giunta dopo la tragedia- spento dalla crisi economica del 2008".

(S. Cingari Destra e sinistra per me pari son, Micropolis, 12, dicembre 2021, p. 4)


Politiche sanitarie e pandemia: sbandamenti e imbarazzi a sinistra.


   Sempre Cingari esamina alcuni passaggi del confuso "dibattito" sviluppatosi a ridosso dei due anni di pandemia.

Intanto come si è reagito, a destra, ai provvedimenti governativi del "Conte II" (restrizioni, lockdown, mascherine, ecc)?

Secondo un "modello neo liberista", formula ormai divenuta talmente potente da continuare a stregare milioni di esseri umani.

Che cosa prescrive questa formula magica?

1.difesa del " primato di un individuo sovrano  la cui libertà privata non deve essere mai compressa da provvedimenti legati ad una responsabilità collettiva che non sia quella, appunto, di preservare tale libertà"; le esigenze della collettività non possono mettere in discussione quelle individuali;

2.  fin dall'inizio della pandemia, quando si cominciò  a parlare della necessità  delle chiusure, difesa di una "corrente di opinione propensa a continuare a vivere come prima, lavorare, produrre, godere lasciando alla selezione naturale di fare i conti con i più deboli";

3.sempre in quei mesi si "cominciò a protestare contro l'uso delle mascherine e ovviamente contro le restrizioni e le chiusure spesso in nome di un negazionismo (fondato sulla postmoderna idea che la scienza sia uguale ad ogni altra narrazione)" che nascondeva il desiderio di "fare il proprio lavoro, ma anche quello di continuare a fare i propri comodi come farsi l'aperitivo";

4.strutturale "analogia fra le posizioni sovraniste e quelle neoliberali...come diceva Marx le posizioni protezionistiche sono legate alla concezione produttivistica della libera concorrenza che si deve dispiegare all' interno del Paese";

5.a livello internazionale tutti i governi populisti hanno agito allo stesso modo, almeno nella prima fase, e Salvini avrebbe fatto la stessa cosa se fosse stato al governo;

6.singolare analogia con alcune posizioni sostenute da intellettuali di sinistra il cui "filo conduttore ideologico è probabilmente una statofobia che può convivere con l'anarco-capitalismo e la sua scimmia sovranista che inneggia alla sovranità di uno stato che non ponga limiti collettivi al soggetto produttore"; insieme alla statofobia troviamo anche l'idea irrealistica di " fare leva sulla responsabilità dei soggetti senza imporre sanzioni" dimenticando che "con una pandemia anche piccole percentuali di soggetti irresponsabili possono condurre alla catastrofe sanitaria";

7.tornando alle posizioni dei protestatari sostenuti da Salvini e Meloni, queste proteste non andavano a "rivendicare una maggiore redistribuzione della ricchezza anche con interventi su patrimoniale e contributi di solidarietà … si è gridato solo per essere lasciati liberi di lavorare e produrre" fuori da ogni visione di tipo sociale e collettivo;

8.la commistione di complottismo e di critica alle multinazionali farmacologiche e digitali, commistione capace ancora di unire confusamente destra e sinistra (le multinazionali non sono emerse con la pandemia, c'erano già da anni. Si potrebbe pensare ad un complotto solo se esistessero prove schiaccianti a favore della tesi secondo cui il virus sarebbe stato costruito in qualche laboratorio farmacologico, ma queste prove al momento non ci sono).

   Nel passaggio dal "governo Conte" al "governo Draghi" le cose si fanno più articolate.

1.i partiti di destra, ma non FI, hanno continuato a mantenere rapporti con i novax e con opinioni anti-scientifiche (Salvini aspetta e non si vaccina subito come Meloni mentre ancora adesso, in data 11 febbraio 2022, nessuno dei due ha vaccinato i figli);

2.l'area imprenditoriale e filo-industriale, "insofferente inizialmente delle restrizioni, abbraccia adesso la politica di contrasto al virus" convergendo sulle posizioni filo-scientifiche del governo e opponendosi all'area no- vax "accarezzata talvolta dai sovranisti e dagli intellettuali della sinistra statofobica";

3.a sinistra si è prodotta una imbarazzante spaccatura fra chi ha abbracciato le decisioni governative a difesa della salute pubblica e della vaccinazione di massa e quanti hanno cominciato a rivendicare " libertà di pensiero, anticonformismo, indipendenza rispetto alle multinazionali miscelando posizioni di antimodernismo conservatore con altre di matrice libertaria e magico-ambientalista … l'imbarazzo diventa spaccatura in relazione alla misura del green pass che pone problemi costituzionali per le discriminazioni a cui conduce ma che alla lunga - in assenza dell'obbligo vaccinale che sarebbe stato preferibile - si è rivelato un mezzo efficace per aumentare le vaccinazioni e ridurre i contagi, la morbilità e la mortalità".

Cingari conclude dicendo cosa avrebbe dovuto fare qualsiasi governo in una situazione simile per evitare reazioni e conflitti:

"far valere una logica redistributiva con tasse patrimoniali e contributi di solidarietà  utili a rendere davvero efficaci i ristori e allargarli ad altre forme di lavoro che avrebbero potuto godere anch'esse della loro sospensione protettiva -fabbriche ad esempio- rendendo infine ciò strutturale con una riforma progressiva del fisco opposta a quella effettuata da Draghi. Poi tempestivi investimenti già dopo la prima ondata del virus su trasporti, sanità, scuola, digital divide finanziati dalle predette misure e da un radicale cambio di politiche economiche da parte dell' UE e da una revisione dei trattati...infine si sarebbe auspicata una presenza diversa a livello internazionale in direzione di un cambiamento del modello di sviluppo … come ha ben spiegato Alessandro Simoncini in un saggio di prossima uscita su DEMOCRAZIA E DIRITTO il Recovery Plan riattiva la logica del piano da tempo abbandonata dall'ordoliberismo, ma non in una ottica neo- keynesiana ecologicamente aggiornata bensì nel rilancio dell'idea di una logica del profitto di impresa con cui solo viene identificato il bene comune".

(S. Cingari, Le ideologie alla prova della pandemia, Micropolis,  gennaio 2022 p. 5)


Verso la sconfitta annunciata delle elezioni del settembre 2022. Proposte di ricostruzione e rilancio?


   Alle elezioni del 25 settembre 2022 la sinistra si presenterà smembrata. Dopo tentativi di accordi per una coalizione che sapesse fronteggiare quella di destra, il PD si presentera insieme con + Europa, LEU e SI/ Verdi. A formare un terzo polo (espressione scippata al M5stelle che sicuramente otterrà un risultato di tutto rispetto nonostante il declino) saranno Renzi e Calenda. Il risultato sarà quello che vediamo in questo grafico del 25 agosto 2022:


   La coalizione di destra al 47%, quella di sinistra al 30,5% grazie al mancato accordo con M5s e terzo polo (insieme si sarebbe raggiunto il 47,3%).

Considerata la situazione così descritta, qualche esponente di questa parte politica ha cercato di avanzare qualche proposta per cercare di parare i colpi che arriveranno. Così fa Stefano Fassina (Diamo ascolto al popolo smarrito, Il manifesto, 24.08.22) che ricorda anche il titolo di un suo saggio " Il mestiere della sinistra nel ritorno della politica". A stretto giro si tratterà di " convincere a votare per il fronte progressista" pur sapendo di dover lanciare messaggi "pericolosamente confondibili con gli slogan della destra". E tuttavia questo consente di rilanciare temi e principi che dovrebbero tornare a far parte del background di un nuovo partito: 1.superamento del paradigma della concorrenza a servizio del più forte; 2.superamento del libero mercato fondato sul dumping fiscale e salariale; 3.superamento delle sacre libertà  di movimento di capitali, merci, servizi e personale svincolate dal fine sociale costituzionale; 4.riorientamento di quanti si sono sentiti disorientati dalla declinazione liberista dei diritti civili cavalcata dal centro- sinistra; 5.tentativo di alleviare la disperazione escatologica della vita cristiana come dice M. Zuppi su Avvenire del 14 agosto.

   Si tratta di spunti che ci riportano al quadro di progressivi cedimenti a cui la sinistra è andata incontro nei confronti delle concezioni liberiste in questi decenni con una accelerazione evidente a partire dal 1989. Via via si è concesso di poter dire che: il capitalismo è retto da leggi naturali, inevitabili e non rovesciabili; la società è un'astrazione e solo gli individui contano in quanto esseri concreti; il marxismo è un'ideologia (aberrante dopo il socialismo reale) e non è una critica dell'ideologia; la scienza è una nuova ideologia di cui il capitalismo fa bene a servirsi a piene mani. 

   Si tratta di clamorosi capovolgimenti anche alla luce delle interpretazioni più moderate che del marxismo furono tentate in Italia come, ad esempio, quella proposta da Enzo Paci in "Fenomenologia e marxismo", parte terza del suo "Funzione delle scienze e significato dell'uomo" uscito nel lontano 1963.


Cronaca di una sconfitta annunciata


Nonostante non si possa parlare di una sconfitta elettorale poiché il Pd mantiene grosso modo la quota di voti delle elezioni politiche precedenti, la coalizione messa in piedi da Letta dopo tante defezioni e fallimenti, non riesce a raggiungere se non una percentuale molto deludente rispetto ai risultati ottenuti dai tre partiti di centro-destra. Si aprirà, a questo punto, un dibattito subito dopo l'annuncio delle dimissioni del segretario, dibattito di cui si cercherà di fornire una sintesi riorganizzandolo attorno ai temi più significativi.



Un cantiere per la ricostruzione

Bruni, Tronti, Iacono, Perna, Favilli, Romano, Nencioni, Ignazi, Orlando, Schlein, Delrio, Walzer


  1.Bruni:  modello liberale o socialista?


Sebbene siano termini imperfetti ed equivoci, l'economista F. Bruni sostiene che il Pd debba scegliere fra una " sinistra liberale o socialista". Finora non lo ha fatto per cercare di massimizzare un consenso elettorale autonomo proprio rispetto a queste derive ideologiche (si sa che da 40 anni le ideologie sono diventate derive e non rappresentazioni utili del mondo e dell'agire).

Bruni semplifica e spiega cosa si debba intendere con le due locuzioni:

"la sinistra è la politica attenta ai beni pubblici che sono più numerosi che per la destra : non solo giustizia e difesa ma istruzione, cultura, sanità, ambiente, limiti alle diseguaglianze di reddito, ricchezza e potere, diritti di definire il proprio gender e i tempi dell'esito di una propria malattia terminale, biodiversità della società e tanti altri. Quando un bene è pubblico il suo consumo da parte di un individuo va a beneficio di tutti…se un bene è pubblico non può essere prodotto del tutto privatamente, lo stato deve intervenire o per produrlo o per influenzarne la produzione".

   La distinzione fra liberale e socialista coinvolge anche la scelta degli strumenti con cui si vorrebbero raggiungere determinati fini e obiettivi. Il Pd dovrebbe avere il coraggio, suggerisce Bruni, "di dire a chi vuol votarlo quali strumenti userà per perseguire fini di giustizia e benessere facili da proclamare" ma difficili se non impossibili da attuare senza l' impiego di strumenti adeguati.

E in cosa consisterebbero gli strumenti liberali?

In azioni che "proteggono di meno e incentivano di più, che vincolano meno e orientano di più, che risentono di un sacro terrore di limitare la libertà di pensiero…che affidano allo stato meno produzione e più modi per indurre i privati a produrre certi beni in certi modi…che finanziano il welfare con più prelievi fiscali e meno debiti a carico delle generazioni future…che mostrano più fiducia nella capacità dei mercati, ben regolati, di destinare risorse di lavoro e capitale agli impieghi più produttivi per la collettività…che combattono le diseguaglianze eccessive guardando più ai punti di partenza che a quelli di arrivo e mettendo un limite inferiore alla povertà  prima che un limite superiore alla ricchezza…che sino attentissimi a non impedire al sistema economico ec di interagire col resto del mondo" (F. Bruni, Il Pd non ha scelto che sinistra vuole essere davvero, Domani, 12.10.22)


2.Tronti fra ceti medi riflessivi e modello operaista


Altri interventi come quelli di A. M. Iacono (La storia di Fiorella, morta fi feroce disuguaglianza, Il manifesto, 11.10.22) e Mario Tronti ( Giovannangeli, Intervista con M. Tronti " Rifare la sinistra ma senza Conte", Il Riformista, 4.10.22) si somigliano soprattutto per quanto riguarda la descrizione del Pd nei suoi rapporti con la pulsione sempre più governativa e le classi sociali di cui è divenuto rappresentante.

   Mario Tronti definisce anche cosa siano diventate le democrazie nella loro versione elettoralistica: sistemi in cui "la dittatura della comunicazione di massa" ha ridotto, da un lato, tutto a mercato, anzi, a supermercato politico in cui "per i consumatori, cioè per gli elettori, non si fa che promuovere sempre nuovi prodotti convenienti a sostituzione dei prodotti scaduti"; dall'altro sistemi in cui "i sondaggi, più che descrivere, in sostanza guidano il voto".

I caratteri assunti dal partito post-Pci nelle sue varie denominazioni in questi decenni sono, per Tronti, i seguenti:

  1. Accettare la tesi della "fine della storia" avanzata negli anni Novanta;

  2. Rinnegare il passato e accettare il presente;

  3. Accettare la "ricetta thatcheriana" secondo cui non ci sarebbero alternative al sistema capitalistico;

  4. Accomodarsi "nella funzione di supplenza per la gestione degli affari correnti della formazione economico-sociale così com'è", posizione mantenuta anche quando si sarà all'opposizione;

  5. Accettare la vocazione governativa.


Alla domanda "che fare?" Tronti risponde  proponendo che:

1.il Pd dovrà mantenere consenso e rappresentanza dei ceti medi riflessivi, benpensanti e benestanti;

2.alla sinistra del Pd si dovrebbe organizzare una forza che torni a rappresentare gli operai;

3.questa forza dovrebbe pescare anche fra gli astensionisti in cui si nasconde una parte " non meno, ma più politicizzata di opinione".


3.Iacono: partire dal dettaglio


   L'intervento di Iacono consente di fare una riflessione sul ruolo che certi programmi tv e certi conduttori hanno avuto nel rappresentare determinati problemi consentendo a precise forze politiche di affermarsi sulla scena pubblica e su quella elettorale (vedi anche Crapis, Le reti Mediaset al tempo del governo Meloni, Il manifesto, 21 ottobre 2022; AA.VV. Caccia al nero, Chiarelettere, 2022)

Iacono, servendosi dell'esempio di Fiorella, una donna che deve subire una serie di peregrinazioni da un ospedale all'altro per aver diritto ad un'assistenza sancita costituzionalmente, finisce per proporre involontariamente anche un esempio di quella "televisione del dolore" spesso utilizzata per esaltare il quadro miserabile in cui versano i ceti meno abbienti italiani. In occasione delle elezioni politiche del 2018 la Lega di Salvini riuscì ad imporsi elettoralmente grazie al programma condotto da Belpietro su Rete 4 ( Dalla vostra parte, 2016-2018, ideato da M. Giordano) che mostrava esattamente episodi di quel genere. E che il programma televisivo avesse avuto poi un impatto sull'esito elettorale lo dimostrò la reazione di Berlusconi che lo fece chiudere  visto che,  al contrario di quelli della Lega, sostenuta dal programma, per Forza Italia, i consensi elettorali furono, invece, piuttosto  deludenti.

   Partire dal dettaglio scrive Iacono dovrebbe essere il compito dei partiti di sinistra se vogliono tornare a rappresentare ceti e classi sociali abbandonate al populismo altrui e i dettagli dovrebbero essere proprio questi casi particolari e particolarmente dolorosi di cui, invece, si sono impossessati, in questi anni, programmi al servizio dei partiti di destra.

Così, mentre nei programmi tv che simpatizzano per il Pd pontificano intellettuali, giornalisti dei giornaloni, esperti e scienziati, nei programmi tv che simpatizzano per Lega e FdI è sempre maggiormente la gente ad intervenire in diretta da piazze, piazzette, case e luoghi più o meno borderline. Descrivendo storie di disperazione di vario tipo, a volte capaci di rasentare un ambiguo orrore e degrado del quotidiano.

Il che dovrebbe far riflettere sui rapporti creatisi nel trentennio berlusconiano fra televisione di un certo tipo, degrado socio- politico e populismo (fenomeni, questi ultimi, preesistenti o prodotti e, magari, amplificati da questo tipo di televisione?).



Asimmetria informativa


Riprendo questo tema dopo 6 mesi di lontananza dalla programmazione tv ( maggio-novembre 2023). Pare che ci siano stati rimescolamenti e ridistribuzioni di incarichi, come pure di passaggi di giornalisti/e/imbonitori e imbonitrici da una rete all'altra (ma non successe anche fra gli anni Ottanta e Novanta con la discesa in campo di Berlusconi? E non è stato come allora per motivi economici?). Tuttavia quello che ho ritrovato è lo schema precedente, descritto sopra. Programmi di destra che si occupano di criminalità comune e di fenomeni e figure sociali borderline; programmi di sinistra in cui primieggiano la spocchia, la competenza, la superiorità della visione offerta grazie alla presenza di prestigiosi rappresentanti del sapere. E in cui il tema principale non è il welfare, il lavoro, il degrado di massa, ma i famosi diritti evocati ormai anche quando si fanno sporadici e illusori scioperi per il lavoro. Poi, fastidiosissime, le polemiche pretestuose per ragioni ragioni in verità personali sul patriarcato (parola feticcio di queste settimane) o sul treno fermato per volontà di un ministro.


4.Perna: recuperare la questione dell'identità 


   Nel ricostruire il percorso fatto dai partiti di destra, Perna si sofferma sul tema religioso rilanciato negli Usa ai tempi delle guerre del Golfo. Religiosità utile a rispondere alla convinzione di trovarsi di fronte ad una guerra di civiltà come fu più volte sistenuto allora. La religione può servire, allora, per lanciarsi in un programma che presenti aspetti simili a quelli delle crociate in difesa di una identità contro un'altra.

La difesa di una presunta identità sottoposta a continue minacce  da parte di " barbari di pelle nera, gialla, soprattutto poveri disgraziati che cercano disperatamente di arrivare in Europa" è diventato un argomento centrale dei partiti di destra che, invece, manca completamente a sinistra rimasta orfana da decenni dei suoi riferimenti identitari tradizionali (lotta di classe, classe operaia, socialismo…):

 " Il capitalismo avanzato nella nostra società ha mercificato tutte le forme di relazione sociale, ha ridotto la natura a un input per la produzione o ad una discarica per gli output, l'essere umano a mero consumatore, ha tolto qualsiasi senso alla vita della maggioranza della popolazione che non fa un lavoro crwativo o gratificante ma vhe lavora oer sopravbivere quando ci riesce. La società liquida…è una società  senza punti di riferimento, senza ideali, valori, pasdioni che diano un senso alla vita umana ridotta a un anello del modo della catena di valorizzazione del capitale. Scomparsa la coscienza di classe, le lotte di classe ope raia, si è aperto un vuoto identitario".

Secondo Perna la sinistra:

  1. Ha bisogno di un senso di appartenenza

  2. Dovrebbe rilanciare l'idea di essere orgogliosi di un'Italia che dovrebbe essere un paese della cultura, arte, accoglienza, tolleranza

  3. Dovrebbe parlare della sicurezza ambientale da contrapporre a quella relativa alla microcriminalità e ai migranti; di sicurezza sui luoghi di lavoro e di sicurezza alimentare

(Perna Una destra che viene da lontano ecolma il vuoto della sinistra, Il manifesto, 29.10.22)



5.Favilli: uscire dalla "sinistra per simmetria"


"SENZA UN CAMBIO DI PARADIGMA IL "NUOVO", CHE È COSA SERIA, SI RISOLVE IN "NOVELLO""


Il trionfo della ideologia unica ad orientamento padronal-fascista consacrata dal governo Meloni costituitosi all'indomani delle elezioni del settembre 2022 è il frutto di scelte che vengono da lontano nella storia della sinistra post 1989.

Naturalmente la scelta/decisione più dirompente fu quella che iscrisse la sinistra all'interno del progetto moderno di accumulazione capitalistica ad oltranza in nome del quale essa poteva finalmente rivendicare la sacrosanta partecipazione al governo di questo processo. Favilli ricorda uno dei protagonisti di questa "svolta": M. D'Alema il quale nel 1995 "pubblicò un libro in cui si congratulava con se stesso per essere riuscito a condurre a termine il compito della generazione, cioè portare la sinistra italiana al governo del Paese tramite un cambiamento dolce. Possibile ormai in un'Italia meno nervosa di ieri e più ottimista, dopo un anno di sinistra al governo, un' Italia che chiede al governo cose semplici e chiare: stabilità, tranquillità, normalità" ( L'adesione alla normalità voleva dire adesione " alla condizione abituale, consueta e ampiamente accettata e che non.presenta alcuna irregolarità né lascia presagire alcun elemento di imprevisto e di inquietudine" come suona la definizione di normalità del Grande Dizionario Battaglia.

Questa adesione significò l'abbandono della lotta di classe,  del conflitto radicale, perfino della storia che sarebbe giunta al suo culmine con il trionfo capitalistico. Alla fine " si può ipotizzare una realtà che cambia attraverso una NORMALITÀ AUTOREGOLANTESI proprio come il MERCATO AUTOREGOLATO."

La sinistra che è arrivata fino ai nostri giorni è una "sinistra per simmetria", ossia una sinistra che ha aderito all'ideologia vincente, interiorizzandola "fin dal suo primo inoltrarsi nel percorso della governabilità senza aggettivi".

Favilli propone il grande salto verso un cambio di paradigma. Puntare alla costruzione di un "uomo nuovo", " che è cosa seria", e non " novello": restare al livello di questa umanità significa ottenere quello che già vediamo: "una scelta fra i diversi gradi di capitalismo compassionevole e la rinuncia all'antifascismo".


(Favilli, Sarà di lunga durata se la sinistra non cambia paradigma, Il manifesto, 6.11.22).


6.Romano: la sindrome della leadership


   L'ex-deputato non rieletto Andrea Romano sostiene che il Pd si sarebbe consumato in questi anni nel tentativo di decidere fra due modelli di leadership. Il dilemma avrebbe fatto oscillare il partito fra un modello di "leadership fortissimo" (Veltroni e Renzi) ed un modello "meno assertivo" (Letta e Bersani).

   Romano parte dal presupposto di un " cambiamento di scenario ormai irreversibile" al quale la politica occidentale si è dovuta adattare. Non spiega quale sia questo scenario, ma lo si può capire poco dopo quando elenca tre cambiamenti: la scomposizione della società in piccoli gruppi; la trasformazione delle organizzazioni partitiche in strutture a cui si chiede " trasparenza, democrazia interna e accountability"; il primato dell'esecutivo sugli altri due poteri.

   Tre cambiamenti che hanno comportato la necessità di eleggere la leadership personale come "tratto di qualsiasi democrazia matura e come novità principale del nostro tempo".

   Insomma per quale ragione il sistema politico, partitico ed istituzionale si sia dovuto piegare al potere del leader non lo si dice chiaramente. Eppure basterebbe ricordare che la ragione si nasconde, da un lato, nella tradizione arcaica e ancestrale del potere affidato ad un capo, tradizione per niente moderna come ricordava Weber quando affermava che le tre tipologie da lui individuate di potere (tradizionale, carismatico e razionale) possono tranquillamente convivere,  come vediamo, in piena modernità dove ci si dovrebbe aspettare la presenza solo della terza tipologia; un altro motivo deriva dalla subordinazione della politica all'economia e ai suoi modelli organizzativi per cui il politico deve possedere le sembianze del persuasore e del venditore di un prodotto piuttosto che quelle di chi propone ipotesi di intervento che devono poi essere verificate sul campo.

   In secondo luogo, insistendo su questa problematica "Quale leader? Leader si/ leader no?", Romano non dice niente su quali dovrebbero essere le idee e le proposte di un partito che afferma di voler essere di sinistra e che sta cercando di rilanciarsi. Fra l'altro partecipa al dibattito aperto da "La repubblica" proprio in vista del congresso del Pd.

   Come dire che, alla fine, più importante del testo da recitare, continua a essere, purtroppo, la messa in scena e il tipo di recitazione da scegliere per incantare elettori che, da tempo, appaiono, al contrario, sempre più disincantati e disaffezionati.

(Andrea Romano,  La sinistra e la sindrome della leadership, La repubblica, 13.11.22)



7.Nencioni: da garante del vincolo esterno UE a partito senza alleati


Alla vigilia congressuale il PD sembra tutto proteso a cercare alleanze piuttosto che a ricostruire una identità precisa.

Nel tentativo di costruire alleanze Nencioni giudica impossibile il ritorno ad una stagione ulivista (manca il pretesto del berlusconismo) mentre nei confronti degli altri due partiti, Azione e M5stelle, eventuali alleanze vorrebbero dire fare concessioni all'uno o all'altro.

   Nencioni sostiene che " il Pd è stato il vero partito della globalizzazione reale, post ideologico e post conflittuale, che ha ravvisato nell'apertura dei mercati globali un fattore di progresso per l'intera società  e soprattutto per una classe media espressione dei settori creativi della finanza e della cultura cui si guardava come al perno della vita nazionale".

   L'apertura italiana ai rischi della globalizzazione si credeva fosse possibile solo se ingabbiata entro istituzioni sovra-nazionali (Comunità europea) per cui l'ideologia del vincolo esterno ha permesso al Pd di svolgere una funzione precisa che è stata quella di farsi garante "degli intricati nessi politico sociali che ne favorissero l'implementazione in Italia".

   Tutto è cambiato a partire dal 2008 ma soprattutto con la guerra russo-ucraina quando si è passati da un vincolo esterno ad un altro, questo più militare che altro (fedeltà alla Nato e al patto atlantico). Se nel primo caso era più facile svolgere una funzione, nel secondo il tutto è diventato più problematico in seguito al fatto che si è creato un conflitto fra Europa e Nato, conflitto nel quale il secondo soggetto ha oscurato progressivamente il primo.


(Nencioni, Se la politica delle alleanze oscura la discussione sull'identità, Il manifesto, 17.11.22)


8.Ignazi: i temi su cui dibattere


In un breve editoriale il politologo Piero Ignazi sistiene che non di sta discutendo ancora sui temi che dovrebbero rilanciare il partito e che sono:

1.politiche migratorie

2.salario minimo

3.autonomia differenziata

4.guerra

5.diseguaglianze di genere e generazionali

6.quale società prefigurare

Su questo punto Ignazi si sofferma a partire da una domanda relativa a quelle persone prive di una rappresentanza. Fra di esse ce ne sono che non lavorano subendo stigmatizzazioni di vario genere. Il Pd pensa che una società giusta debba risolvere il problema dell'esclusione o no?

"L'elettorato Pd che vive nelle Ztl, nelle belle prime case grazie a professioni ben retribuite non sperimenta direttamente l'angoscia della povertà  la sottoccupazione o la disoccupazione e tuttavia sente questi drammi come propri, nodi da sciogliere per avvicinarsi ad una società più giusta": forse sarebbe stato meglio trasformare questa asserzione in una domanda.

Perché è questo il punto: che partito vuole essere il futuro Pd? Continuare a rappresentare ceti benestanti oppure riannodarsi a quegli strati sociali che non sono più classe operaia pur essendo molto estesi, ma non rappresentati se non da altri partiti oppure sottrattisi volutamente al voto nell'astensione?

(Ignazi P. Ormai nessun elettore capisce più le idee del Pd, DOMANI, 18.11.22)


9.Orlando: o sei socialista o non sei


Intervista di D. Preziosi a Andrea Orlando, ex ministro del Lavoro ma anche della Giustizia e dell' Ambiente nei precedenti governi.

Orlando parte da una sintetica ricostruzione degli anni che vanno dal 2008 a oggi e da una riflessione sulla "stagione renziana".

Ebbene il bilancio dell'operato del Pd in questi anni è stato fallimentare: una stagione  quella di Renzi che ha seguito "modelli di successo, un'esaltazione retorica delle eccellenze, l'attenzione a una faccia della globalizzazione senza vedere l'altra" mentre sul modello di sviluppo e di competizione che faceva da cornice a tutto il resto non si è mai discusso altrimenti sarebbe stata messa in discussione l'esistenza stessa del Pd.

Orlando ricorda anche il frastagliamento dell'area di partiti non di destra e più vicini al Pd, una sorta di tenaglia entro la quale va creato un "campo di riformismo sociale, un socialismo ecologico che raccolga anche la storia del cristianesimo sociale". Un campo che avrebbe la funzione di regolare le spinte autarchiche e violente del mercato, secondo un ritornello che sentiamo ripetere da decenni.

(Preziosi D. Il Pd o sarà socialista ed ecologista o non sarà.  C'è troppo silenzio da parte di chi pensa di guidarlo" Domani 18.11.22)


10.Schlein: il mio programma


Intervistata da S. Cappellini, la neodeputata E. Schlein sostiene che:

  1. Bisogna cambiare con coraggio questo modello di sviluppo che non funziona

  2. Non si è lavorato su politiche redistributive della ricchezza, del potere e del sapere

  3. Non si è riusciti ad anticipare le grandi trasformazioni che stanno spaventando le società: aumento delle diseguaglianze, effetti sul lavoro delle innovazioni tecnologiche, emergenza climatica

  4. Si è governato a lungo senza agire sulle cause profonde della precarietà del lavoro

  5. Con il Jobs act si è commesso l'errore di abbandonarsi al al mantra neoliberista della disintermediazione

  6. Bisogna limitare il ricorso dei contratti a termine e alzare subito i salari, introdurre il salario minimo, migliorare la sicurezza

  7. Serve un nuovo statuto dei lavoratori

  8. Occorre investire nel lavoro sociale e di cura; il rdc va migliorato

  9. Rivedere le politiche sui migranti: cambiare la Bossi-Fini e gli accordi con la Libia

(Cappellini, Dal lavoro all'emergenza climatica ecco la mia ricetta per la sinistra. Intervista con E. Schlein, La repubblica, 18.11.22)


11.Del Rio: fare i conti con 40 anni di globalizzazione per una nuova visione comunitaria della vita


   Il deputato esordisce mostrando come, nell'arco dei 40 anni di globalizzazione, mentre la sinistra ha virato verso destra, la destra ha fatto l'inverso.

   Mentre la destra passa da una "proposta liberista e fideistica nei confronti del mercato ad una critica feroce dei processi che infragiliscono lo stato nazionale" assumendo le posture populiste che vediamo oggi, a sinistra abbiamo assistito all' espressione di una fiducia nei confronti dell'economia, della finanza, nella libertà di impresa e verso un impegno maggiore nei riguardi dei diritti individuali! Il tutto ha portato ad un allontanamento rispetto a ceti sociali che si sono sentiti " traditi dalla sinistra perché non sono stati difesi dai meccanismi distorti del mercato".


   Conversioni culturali contraddittorie, insomma, cosa che in molti, durante questi anni, avevano già notato, naturalmente nel disinteresse generale, per non dir peggio (esempi vicini: Bernardo Valli, Tutti in piazza contro il progresso, L’espresso, 2017, che commenta un saggio contenuto nell’antologia tedesca “La grande Regressione”, in cui si legge: “Guardato con ostilità il neoliberismo progressista appare un’alleanza obiettiva fra i nuovi movimenti sociali, (come il femminismo, il multiculturalismo, la difesa dei diritti LGBT) e i settori forti della finanza e dell’industria. Un’intesa, di fatto, esecrata da larga parte della classe popolare e della classe media, entrambe frustrate”. Malesseri di cui si sono impossessati i partiti di destra un po’ dappertutto in giro per il mondo, scriveva Valli, dagli Usa (Trump) al Regno Unito (Brexit). In Italia eravamo alla vigilia del governo Lega-M5stelle…. 

   Sempre nel 2017 Joseph Stiglitz scriveva che per combattere il populismo servirebbe più stato sociale. L’ordine economico mondiale globale che ha regnato per tre quarti di secolo ha seguito regole semplici e ben precise: beni, servizi, persone e idee possono circolare liberamente in giro per il mondo per generare occasioni per affari e profitti. Un sistema che, se crea opportunità positive per alcuni,  genera anche disuguaglianze per molti altri che, dunque, andrebbero sanate con l’avvio di politiche sociali come hanno fatto nei Paesi scandinavi, concludeva Stiglitz (Stiglitz, Per sconfiggere i populisti occorre più stato sociale, Internazionale, 2017. 

   Andando più indietro nel tempo, si potrebbe ricordare la scelta della flessibilità fatta dalla CISL nel 2001, l’anno della formazione del secondo governo Berlusconi,  mentre, sempre a questo proposito, Giorgio Ruffolo si chiedeva, entrando nella polemica sulla libertà di licenziare e sulla fine del posto fisso fra Martino e Magris,  “se ci piace davvero che, alla società legata all’ideale del posto fisso, ne subentri una pervasa permanentemente dall’ansia e dal timore di perdere il posto; nella quale solo ad una minoranza di privilegiati sia concesso di disegnarsi un piano di vita. Se ci piace - lo dico con le parole di un economista liberale, John Stuart Mill - una società “affascinata dall’ideale di vita professato da coloro i quali considerano la normale situazione degli esseri umani quella della lotta per il successo: che il calpestarsi, scontrarsi, prendersi a gomitate, pestarsi i piedi…rappresentino quanto di meglio si possa desiderare per il genere umano e non già gli spiacevoli sintomi di una delle fasi del progresso industriale” (Economia senza amore, La repubblica, 10 giugno 2001)


   Nella discussione Delrio invita ad aprirsi ad una seconda conversione culturale:"ciò che non vediamo o facciamo finta di non vedere è che siamo tutti dominati da un'unica cultura ideologica che ha trasformato l'homo sapiens in homo oeconomicus, individualista, competitivo, consumatore compulsivo, cliente di tutto, che è insieme cliente ideale del mercato capitalistico e suddito perfetto dell' assistenza statale (...) La giusta affermazione della persona singola ha storicamente virato da soggettività positiva a individualismo possessivo nel senso di una libertà  da qualsiasi legame non economico con gli altri".

   Le crisi recenti avrebbero dovuto insegnare che è necessaria la cooperazione e una visione comunitaria della vita (l'autore si sofferma sulla famiglia che viene indicata come prima comunità e che va distinta da qualsiasi familismo anacronistico. Un accenno legato alle origini cattoliche di chi scrive che non si sofferma sul fatto evidente della trasformazione radicale di questa istituzione).

Conclude l'autore proponendo un " paradigma alternativo sul modello complessivo di sviluppo, una ecologia integrale capace di recuperare la dimensione umana e comunitaria della vita".


(Delrio, È l'individualismo la radice dei nostri mali, La repubblica, 18.11.22)



12.Walzer: rilanciare il modello socialdemocratico


   Nell'intervista di Mastrolilli il politologo americano distingue una pars destruens e una pars construens.

Le critiche alle "sinistre liberal" di questi decenni post 1989:

1.essersi presentate come rappresentanti delle élite istruite e illuminate finendo per divenire riferimento politico delle classi medie ed alte;

2.aver visto il declino dei sindacati e non aver fatto nulla;

3.abbandono della classe lavoratrice, della classe media e bassa (i deplorabili di H. Clinton);

4.aver seguito il modello economico neoliberale è stato un errore strategico e filosofico; si è giustificata l'indifferenza verso i deplorabili pensando che tali politiche avrebbero pagato nel lungo termine;

5. Se si abbandonano gli ultimi, questi si vendicano, diventano pericolosi e si affidano ad un salvatore, un duce come avvenne col nazismo;

6.negli Usa chi è stato abbandonato dalla sinistra si è rifugiato nelle braccia di Trump:" pensate che per molti elettori di Trump, il secondo candidato preferito è Sanders".


Le proposte:

Una sola, ripetuta più volte: negli Usa rilanciare il New Deal, la versione americana molto edulcorata della socialdemocrazia; in Europa rilanciare il modello socialdemocratico, una socialdemocrazia all'antica.


(Mastrolilli, Walzer:   "Noi progressisti orgogliosi e lontani", La repubblica, 20.11.22)


13. Sindacalista degli edicolanti Marchica, Caro Pd devi tornare a parlare con la tua gente, Repubblica, 5.01.23

Sintesi impeccabile del senso comune che circola nella testa di tanti simpatizzanti che sono stati costretti a subire in questi anni le deviazioni e i tradimenti di tante classi dirigenti.


14. Maraio: tornare ad essere socialisti ( craxiani)

Dopo una interruzione, riprendo con la sintesi dell'intervento di Enzo Maraio, segretario nazionale del Psi. Il quale afferma che occorra evitare di ripetere la tentata e fallita fusione a freddo fra ex comunisti ed ex democristiani. Il nuovo partito dovrà essere socialdemocratico aggiungendosi così agli altri partiti di sinistra europei. Occorre ripresentare la matrice socialista dal momento che " i socialisti sono stati il motore della modernizzazione" (ma a cosa si riferisce?) mentre, dopo Tangentopoli, la crisi dei partiti tradizionali ha indebolito pericolosamente la democrazia. I temi da rilanciare? La solita solfa incomprensibile, variegata e vaga:" rispondere ai bisogni, rafforzare le libertà individuali, considerare prioritari i diritti sociali accanto a quelli civili, battersi per ciò di cui la sinistra non parla più: il lavoro, non come surrogato di politiche assistenzialiste che sviliscono la dignità delle persone; il merito, chiave per sbloccare l'ascensore sociale fermo da tempo; le nuove povertà- 15 milioni di persone a rischio esclusione sociale"; abbandono del massimalismo giustizialista; scelta dell'etica pubblica contro il moralismo.

Più che "Rafforzare le libertà individuali" si tratterebbe forse di educare al senso e alla pratica della libertà dopo le tristi dimostrazioni liberticide mostrate da migliaia di persone durante la pandemia. 

Il merito ricompare ossessivamente senza essere mai accompagnato da strategie capaci di metterlo in atto;  un dato sinistro: sarebbero ben 15 milioni le persone a rischio povertà (da dove vengono questi numeri?); il riferimento al massimalismo giustizialista ci riporta agli anni funesti del berlusconismo erede della stagione craxiana; l'ultimo punto contrasta con quello precedente: l'etica pubblica fu distrutta dalle intraprendenze voraci di personaggi che inaugurarono l'infelicissima stagione del leaderismo manageriale trasformando la politica in una attività imprenditoriale del tutto estranea agli interessi pubblici!

( Maraio, Dal lavoro ai diritti perché all'Italia serve l'eredità dei socialisti, Repubblica, 2.02.23)


15.Aldo Schiavone: occhiali nuovi…ma quali?


Aldo Schiavone, 78 anni, docente universitario e direttore dell'Istituto Gramsci fra il 1980 e il 1989. Ecco i pareri:

Destra: Meloni è una "leader di tutto rispetto" (dopo Bonaccini e Letta anche Schiavone ad usare il fair play?); il suo è un partito personale ( ancora una volta? Non si esce da questa spirale berlusconiana?); non ha una cultura politica precisa, semmai oscillante fra rivendicazioni identitarie e interventi sui diversi stati di emergenza; non è un partito che pensa al Paese, ma a qualche lobby come i balneari e gli autonomi.

Sinistra: punctum dolens ovvio. Praticamente una rappresentazione tutta al negativo: 

Pars destruens:

I leader in lizza considerati probabili vincenti per la segreteria sono uguali, per cui probabile l'annullamento della scheda alle primarie;

Il dibattito interno al Pd è di una sconcertante povertà e tutto ridotto a questioni di tattiche e strategie;

Occorre comunque salvare il Pd e provare a ripartire da lì dando vita a qualche forma di pensiero che al momento non c'è;

Se vi sono riferimenti alla cultura politica questi sono riferimenti volti al passato, al fantasma del socialismo, alla lotta di classe ( "non è una legge generale della storia, ma l'esito di una condizione del tutto particolare che si è realizzata poche volte nel cammino della modernità. La rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo ha spazzato via tutti i suoi presupposti");

Pars construens:

Leggere la nuova società a partire dal mondo del lavoro e dalla critica alle strutture della disuguaglianza:" sente mai un dirigente del Pd parlare dei rider? Parlare con cognizione dei nuovi lavori, di come sia politicamte difficile organizzare la loro soggettività  visto che non sono certo il cuore del sistema produttivo?"

Che cosa fare di Marx? "Marx è un gigante del nostro passato ma servono occhiali nuovi Marx sarebbe il primo ad insegnarcelo".


Vecchio C. Schiavone: alla sinistra servono occhiali nuovi. E Marx va accantonato, (Repubblica, 19.02.2023)


Verso un superamento del paradigma neoliberale?


   Eletta la Schlein alla segreteria del PD, sarebbe il caso di chiedersi quale sia il programma politico di questa nuova segreteria e se sia anche opportuno  liberarsi del paradigma neoliberale che gran parte degli interventi precedenti l'elezione del segretario avevano ritenuto responsabile della debacle del partito in questi anni, a partire dal 1989.

   Che i partiti di sinistra, sia negli Usa che in Europa, siano stati fagocitati da questo paradigma lo ha illustrato con esempi doverosi M. Sandel nel suo LA TIRANNIA DEL MERITO. Con l'effetto più negativo che è stato quello della progressiva scomparsa del welfare e dello spazio istituzionale pubblico, partiti e sindacati in primis il che significa, incredibile ma vero, scomparsa della POLITICA.

La filosofa svizzera R. Jaeggi (Se il mondo ancora non è un bel posto, Il manifesto, 23.03.2923) si chiede come si possa sostituire un paradigma in crisi con un altro. Di certo ci sono i caratteri del copione neoliberale che ci ha accompagnato in questi anni e i motivi della sua crisi.

Gli elementi fondamentali sono: "l'idea di autodeterminazione individuale, la fondamentale uguaglianza e il pari valore di tutti; lo stato di diritto; il principio del merito; il carattere universalistico".

Fra i motivi della sua crisi ricordiamo invece:

"Disuguaglianza, sfruttamento, esclusione, precarietà e razzismo"

Molti di questi motivi sono legati al tipo di società che si è cercato di costruire nel segno del multiculturalismo e del pluralismo.

Come si è pensato di realizzare questi obiettivi? Attraverso la neutralità etica o astinenza etica:"l'ordine sociale è visto come un insieme di istituzioni eticamente neutro all'interno del quale tutte le possibili forme di vita possono essere tollerate e prosperare. Ciò è legato alla rinuncia a una spiegazione ultima e metafisica di un'etica comune vincolante del vivere insieme".

Ma la strategia risolutiva, fatta di antipaternalismo e autonomia, non ha funzionato. La neutralità etica non ha pacificato un bel niente mentre i critici neoliberali criticano questo paradigma proprio per questo tentativo di pacificazione ecumenica capace di sedare ogni conflitto e ogni diversità. 

Conflitti e antagonismi etici, religiosi e ideologici, non sono superabili; anzi essi sono gli aspetti di fondo che nutrono e differenziano le culture nel mondo che resiste in tal modo ai processi di globalizzazione omologante.

Così il filosofo post-coloniale indiano Homi Bahba può dire che "la vacca sacra del liberalismo è la sua affermazione secondo cui la cultura occidentale non è una cultura, cioè un insieme di credenze e pratiche" ("Un ruolo centrale nell'analisi di Bahba è ricoperto dalla teorizzazione di un ‘terzo spazio’, un luogo teorico e simbolico dove gli antagonismi tra dominatori e dominati si annullano nel concetto di ‘ibridità culturale’, che include la differenza e rappresenta il presupposto per un incontro costruttivo tra culture senza più gerarchie imposte." (Treccani).


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