giovedì 7 agosto 2014

RENZUSCONI. COME SI INCONTRARONO RENZI E BERLUSCONI. P. ERMINI, «Portai Matteo ad Arcore, tra calcio e battute i due si capirono subito», CORRIERE DELLA SERA, 7 agosto 2014

«Per molto tempo è sembrato quasi che la politica italiana fosse ormai divisa in due stagioni: l’Ante e il Post pranzo Berlusconi-Renzi ad Arcore. Come se intorno a quel tavolo si fosse disegnato il futuro dell’Italia. Ma non andò così». 


A parlare è Enrico Marinelli, imprenditore fiorentino e fondatore di «Guild of the Dome association» (onlus che si batte per i valori universali espressi dalla cattedrale di Santa Maria del Fiore, secondo lo spirito delle antiche Arti e Corporazioni, e che negli Stati Uniti è una fondazione). Fu lui il propiziatore dell’incontro avvenuto il 6 dicembre 2010 a villa San Martino, residenza storica del Cavaliere a poco meno di 30 chilometri da Milano. Tanto che poi ci partecipò dall’inizio alla fine, accanto ai due protagonisti: Silvio Berlusconi, che era premier, e Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Il primo alle prese con il governo del Paese, ma anche con i consueti guai giudiziari e con le rivelazioni sui famosi festini bunga bunga consumati proprio in quella villa; il secondo alla guida di Palazzo Vecchio da un anno e mezzo, ma già deciso a dire la sua sulla scena nazionale in nome della rottamazione. Quasi quattro anni dopo Enrico Marinelli rompe il silenzio su quell’incontro. E racconta. 

Perché si è deciso a farlo? «Forse è utile svelenire un po’ il clima. Si sono fatte tante illazioni su quell’incontro ad Arcore. Io stesso sono stato interpellato diverse volte. Domande che andavano dal pettegolezzo alle grandi questioni geopolitiche. Di tempo ne è passato. Meglio dissipare qualche sospetto». 

Da chi fra i due partì l’idea di incontrarsi? (sorride) «Francamente... da nessuno dei due». 

Vuol dire che l’iniziativa fu sua? «Io all’epoca vivevo a Milano e venivo invitato regolarmente dal dottore (Berlusconi, ndr ) a cene che lui organizzava per l’imprenditoria italiana. Lo avevo conosciuto anni prima quando veniva al Grand Hotel di Firenze per vendere gli spazi delle sue reti televisive. Avevo con lui un buon legame insomma...». 

E dunque? «Per una festa della Polizia a Villa Madama, a Roma, Berlusconi mi aveva preso sotto braccio chiedendomi di Firenze. Io gli dissi che sarebbe stato giusto che il sindaco potesse parlare con il capo del governo delle questioni irrisolte della città. Lui mi rispose: è una persona che non conosco, lo incontro volentieri. Ma a Matteo l’idea un pochino gli piaceva e un pochino no. Ci fu un po’ di tira e molla». 

Poi il via libera. «Era settembre od ottobre: Matteo un giorno mi disse che a Firenze ormai c’erano un sacco di questioni aperte con Roma (dalle autostrade all’Alta velocità) e tanti soldi che il governo doveva sbloccare, insieme con la tassa di soggiorno che il sindaco chiedeva. E così io iniziai a organizzare l’incontro. Sul cellulare conservo un messaggio di Matteo in cui mi scriveva: Firenze è nelle tue mani». 

La sede dell’incontro era scontata? «Il sindaco non pose condizioni. Con un preavviso di cinque-sei giorni la segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla, ci avvisò che il giorno migliore per il premier sarebbe stato il successivo lunedì, ad Arcore. Renzi era un sindaco che doveva incontrare il capo del governo per discutere della sua città, quindi la sua filosofia era: dove m’invita, vado». 

Così venne il giorno fatidico. «Io ero a Milano. Matteo arrivò in treno con il fido Luca Lotti. Ci incontrammo alla stazione. Poi prendemmo un’auto a noleggio con autista ed arrivammo in grandissimo anticipo a Villa San Martino: l’appuntamento era per mezzogiorno e mezzo. Ci accolse Marinella, che ci disse: “Mi raccomando, il dottore ha 45 minuti al massimo”. Mentre stavamo aspettando in un salottino entrò Mariastella Gelmini, allora ministro dell’Istruzione, che poi se ne andò. Poco dopo arrivò Berlusconi: “Scusatemi per il ritardo. Ci sono anche i miei figli”. Erano i tre più giovani: Eleonora, Luigi e Barbara, nati dal matrimonio con Veronica Lario. Lui era in pullover, e anche i figli erano vestiti in modo informale, perché era un pranzo informale». 

E Renzi com’era vestito? «Noi tutti in giacca e cravatta. Renzi aveva un abito scuro. Blu, mi pare». 

Che cosa vedeste ad Arcore? «Prima di andare in sala da pranzo Berlusconi volle mostrarci un salotto con una balconata in alto. “Dicono che qui - disse - io faccia cene strane. Per l’ultima festa c’erano tanti striscioni e tante signore ultrasessantenni scatenate”. Scatenate per il partito, aggiunse». 

Tema caldo le feste di Arcore. Battute? Imbarazzi? «Solo la battuta sulle fan di una certa età. Berlusconi chiese subito se potevano darsi del tu. Mise Renzi a suo agio e non servì la classica mezz’ora di riscaldamento. Mi colpì il loro modo di parlare diretto, sia nella scelta delle parole che nel tono. Uno stile inaugurato da Berlusconi e che è diventato anche il punto di forza di Renzi». 

E a tavola che cosa successe? «Berlusconi fece sedere il sindaco al suo fianco, io ero davanti al premier, i figli in mezzo, di qua e di là. Menu tricolore, con piatti bianchi, rossi e verdi: un risottino, un’insalata. Parlarono delle esigenze fiorentine, pochissimo di politica nazionale, così come della schermaglia noi e voi (centrosinistra e centrodestra)». 

Ma Berlusconi non gli propose di passare con il centrodestra? È famosa la sua sortita: lei così bravo e brillante che ci fa con i comunisti? «Per tutto il pranzo io pensai che uno degli intenti di Berlusconi fosse quello. Invece non ne fece parola. Molta parte della conversazione finì sul calcio: Fiorentina e Milan. Parlarono solo di calcio giocato, però. Della Valle non fu nominato. Piuttosto ci fu qualche battuta su Massimiliano Allegri “comunista” (all’epoca era l’allenatore del Milan, ndr ). Eravamo entrati nella villa con un mandato di 45 minuti e ci rimanemmo tre ore». 

I figli che dicevano? «Fecero domande a Renzi su Firenze. Commentavano. Barbara si mostrò molto interessata agli aspetti culturali della città. Quanto a Berlusconi era evidente che gli faceva piacere fare bella figura con i figli. Era compiaciuto di avergli portato in casa Renzi, che era ancora un signor nessuno, ma un giovane brillante, più affine a loro degli altri politici». 

Quasi un assaggio di antipolitica. «Pochi giorni prima Berlusconi e Renzi si erano sentiti telefonicamente per l’emergenza rifiuti a Napoli e il premier aveva assai apprezzato la disponibilità del sindaco a farsene carico mandando a Napoli mezzi per ripulire la città. Poi però non se n’era fatto di nulla per problemi burocratici. Durante il pranzo ci fu una serie di battute sul “mandarino” di turno che non ce lo fa fare». 

Soluzioni trovate? «Berlusconi rassicurò Renzi innanzitutto sulla tassa di soggiorno a favore di Firenze, che in effetti poi rese possibile con un decreto. Parlarono anche di infrastrutture. In questo contesto Berlusconi sottolineò la grande fiducia che riponeva in Denis Verdini. Si capiva che Matteo invece ancora non lo conosceva. Quando ce ne andammo, Berlusconi ci accompagnò alla porta con i figli, molto affettuosamente. Ci dobbiamo rivedere, disse. Era chiaro che a lui Renzi era piaciuto. Ma anche Renzi era visibilmente soddisfatto». 

Il sindaco contava di tener nascosta la notizia dell’incontro. Invece la notizia uscì scatenando un putiferio. «Brambilla mi garantì che non era dipeso da loro, e che non era nel loro interesse. L’incontro doveva rimanere riservato per qualche giorno, invece restò riservato per qualche ora. Arcore è una corte, c’è un sacco di gente...». 

Crede che l’intesa Renzi-Berlusconi sulle riforme reggerà? «Per quello che ho visto quel giorno, penso proprio di sì. Renzi ha tutto l’interesse a cogliere un successo importante, Berlusconi è uno che vuole il bene del suo Paese perché va di pari passo con il bene delle sue aziende». 

Ma lei alle ultime elezioni ha votato per Berlusconi o per Renzi? «Per tutt’e due. Alle Europee ho votato per Forza Italia, perché non voglio che Berlusconi sparisca, e alle Comunali ho votato per Dario Nardella, renziano, sindaco». 

Un colpo al cerchio e uno alla botte... «Cerco solo di dare una mano, con pragmatismo, al mio Paese e alla mia città, in un’Italia in cui, come in tutte le democrazie occidentali, sinistra e destra ora non sono più ideologicamente in conflitto su tutto». 

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