sabato 20 settembre 2014

IL CASO RENZI E LA CAMICIA BIANCA. G. BUONDONNO, Quando al merito si univa il bisogno, IL MANIFESTO, 10 settembre 2014

Non sono le cami­cie bian­che, a impres­sio­nare; né la gio­vane (a ben vedere poi nean­che tanto) età di que­sti uomini poli­tici. Mi impres­sio­nava di più Clau­dio Mar­telli un secolo fa. E, tutto som­mato, mi incu­rio­siva anche di più. Altre sono le cose che mi hanno impressionato.





Prima: il non detto. Dif­fe­renze sostan­ziali nella for­ma­zione cul­tu­rale, nel lin­guag­gio; forse anche negli obiet­tivi e nella visione della vita.
Forse, per­ché il non detto era iper­tro­fico, subis­sava ildetto, che è stato poca cosa, pro­ba­bil­mente per­ché è indi­ci­bile, per­ché non nasce da alcuna rifles­sione sul pre­sente e sulla qua­lità reale del futuro, che non viene pro­spet­tato ma a cui, solo si allude.
Nes­suna ana­lisi delle dif­fe­renze sociali in Europa e nel mondo, nes­suna parola sulla sto­ria che li ha por­tati fin lì (qual­che anno fa avrei detto: ci ha por­tati fin qui); una sto­ria espulsa e rele­gata nel cestino della scon­fitta. Imma­gi­na­ria, per­ché c’erano più vit­to­rie e influenza sociale in quelle scon­fitte che in tutte le foto gla­mour che potranno farsi.
Seconda: la gal­va­niz­za­zione quasi pas­siva di quella che è stata la base di un grande par­tito. Wal­ter Ben­ja­min (un altro scon­fitto) usava quest’espressione – gal­va­niz­za­zione delle masse – per indi­care l’esaltazione acri­tica dei tede­schi negli anni venti e trenta; gli stessi che ave­vano votato social­de­mo­cra­tico. Mi ha col­pito e rat­tri­stato; in nome dei tor­tel­lini e del Par­tito (anche se non è più lo stesso, nei valori, non nel nome) ci si spella le mani comunque.
Ho pen­sato – lo dico per para­dosso – che se Renzi avesse pro­po­sto dei campi di inte­gra­zione per gli immi­grati, qual­cuno, lì in mezzo, avrebbe detto: «Almeno con lui si vince». Renzi è abile, lo sa, e si appro­pria di una sto­ria. E qual­cuno, con ridi­coli distin­guo sot­to­voce, glielo con­sente, schiac­ciato dal peso dei pro­pri cedimenti.
Terza: quell’affermazione degna di quella che Daniel Gol­da­ghen (uno sto­rico bravo) ha defi­nito la «con­ver­sa­zione sociale» (una bana­lità falsa, che diventa vera a forza di ripe­terla): «Il merito è di sini­stra» — ha detto Renzi — «il talento è di sinistra».
Almeno Mar­telli al merito asso­ciava i biso­gni.
Biso­gne­rebbe spie­gare a que­sto blob, che non è vero. Che, al mas­simo, sono bana­lità libe­rali (e nem­meno di un libe­ra­li­smo pro­gres­si­sta). Che di sini­stra è, sem­mai, lot­tare per­ché le con­di­zioni di par­tenza siano uguali per tutti, per­ché altri­menti, nella realtà data, il merito è un inganno clas­si­sta; che di sini­stra è garan­tire una vita digni­tosa anche a chi non ha talento, magari è un po’ scemo, ma è un essere umano e, già solo per que­sto, ha diritto ad una vita digni­tosa e, pos­si­bil­mente, serena. Lui lo sa, ma gli inte­ressa solo citarla la sini­stra, lan­ciarla, come la coperta di Linus, a quella base gal­va­niz­zata. Sem­bra dire loro: «Ecco, vi ho detto la paro­lina magica; ora non rom­pete le sca­tole e lascia­temi usare la vostra sto­ria per i miei scopi».
Sotto la cami­cia bianca par­lano il dop­pio petto di sem­pre e i maglioni di Mar­chionne, dal palco di quella che fu la festa de L’Unità.

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