giovedì 11 settembre 2014

RIFORMA DELLA SCUOLA. IMPARARE A DIBATTERE. C. GUBBINI, Dalla retorica al 'debate': a scuola si insegna l'arte di avere ragione, LA REPUBBLICA, 10 settembre 2014

La scuola deve anche insegnare a parlare in pubblico e a sostenere un dibattito? Ne sono convinti i sostenitori del "debate". Difficile trovare una definizione per questa nuova disciplina, che da tempo è un "must" nelle scuole, nei college e nelle università americane e inglesi, e che da qualche tempo comincia ad essere sperimentata anche in alcune scuole italiane. La professoressa Nadia Cattaneo, dirigente dell'Istituto tecnico economico Tosi di Busto Arsizio non ha dubbi: lei la chiama "arte". "Il 'debate' richiede disciplina, competenza, formazione, ma anche passione e creatività", spiega. 

www.debate.org


Una nuova disciplina. L'Istituto Tosi fa parte di una rete di otto scuole lombarde che ormai da più di un anno propone agli studenti di cimentarsi nel "debate" come percorso di formazione sia curricolare che extracurricolare (www.debate.org). E' un classico esempio di "soft skill" o "life skill", cioè di competenza trasversale, non strettamente legata a un sapere. In pratica, il sorpasso definitivo del concetto di nozionismo: secondo alcuni una scuola moderna non può esimersi dal formare gli studenti anche rispetto al loro "stare al mondo". Il progetto ha basi solide, e nulla è stato lasciato al caso: i docenti e gli studenti coinvolti in questa avventura sono stati formati da due associazioni, considerate tra le più prestigiose a livello mondiale. I "trainers" della English Speaking Union (Esu) e della International Debate Education Association (Idea) hanno lavorato a stretto contatto con i futuri "debaters" spiegando le regole e lo spirito che dovrebbero animare un buon dibattito e fornendo anche il materiale su cui studiare.

Tutt'altra cosa dalla tv. Si potrebbe obiettare che in Italia non mancano esempi di dibattito, visto che il "salotto televisivo" in cui vengono invitati esponenti di partiti politici o esperti di varie tematiche per sviscerare un argomento di attualità è un format molto popolare. "Ma il debate è tutta un'altra cosa, e anzi, uno degli scopi è proprio liberarsi di certi cattivi esempi televisivi in cui si parla senza ascoltare gli altri, per capire quali sono le regole sia del dibattito che del parlare in pubblico in una comunità democratica", ci tiene a precisare Cattaneo. Il debate potrebbe anche essere una risposta alla voglia di protagonismo dei giovani: conoscere le tecniche per sostenere una tesi dovrebbe aiutare i ragazzi a assumere un ruolo attivo nei processi decisionali.

Come funziona. Il debate è una specie di gioco. Le scuole della rete hanno creato dei "club" formati da 6-8 ragazzi che lavorano insieme. Si può dibattere su qualsiasi argomento: filosofico, scientifico, di attualità. Una volta scelto l'argomento, le "squadre" o i singoli "debaters" si preparano sul tema scelto. Qualche esempio: "E' giusto che la lingua inglese sia la lingua comune dell'Unione europea?" "La cittadinanza va attribuita per ius soli o per isu sanguinis?". Ogni gruppo deve prepararsi sia a sotenere una tesi pro che una contro. Il dibater ha un tempo prestabilito per sostenere la posizione favorevole o contraria, poi c'è il discorso finale  -  anch'esso "a tempo" - in cui è vietato introdurre nuovi argomenti: ci si deve limitare a sotenere la propria tesi e a puntualizzare i passaggi più salienti del dibattito. Alla fine una giuria decide chi ha vinto: "Attenzione, però  -  spiega Cattaneo  -  la giuria non giudica chi ha ragione, bensì chi ha saputo utilizzare meglio le tecniche e le strategie del debate". Un buon debater, dice Cattaneo, è prima di tutto una persona che ha capito le regole del gioco e sa applicarle. Vince in genere chi è stato più bravo a documentarsi, e se è vero che alcune doti caratteriali  -  come la spigliatezza, l'ironia  -  possono aiutare, in realtà ha la meglio chi è capace di seguire una logica, e esporre un argomento con sicurezza.

Futuri demagoghi? Piccoli sofisti, o peggio, demagoghi crescono? "Essere chiamati a sostenere una tesi che non si condivide può essere considerata un'arma a doppio taglio  -  ammette Cattaneo  -  ma in realtà è proprio questo il nocciolo della disciplina: attraverso un'educazione al dibattito formale è possibile allenare la propria mente a considerare le posizioni contrarie alla propria, a non fossilizzarsi sulle proprie convinzioni. Anzi, durante la preparazione è fondamentale immaginare quali saranno i processi mentali e emotivi che affronterà la parte 'avversaria'. In questo modo diventa più facile imparare a mettersi 'nei panni degli altrì e a gestire il conflitto".

I risutati ci sono. Nel mondo il "debate" è sempre più diffuso, e lo scorso anno ben 48 Stati hanno partecipato al campionato mondiale che si è tenuto in Sud Africa. Ma l'International Debate Education Association su 546 società di dibattito ne censisce solo una italiana. Eppure nei paesi in cui da tempo si usa questa disciplina i risultati sono incoraggianti: secondo una recente indagine condotta dal Cfbt Education Trust e dall'English Speaking Union, negli Usa gli studenti delle scuole pubbliche che fanno debate hanno aumentato del 25% la propria motivazione allo studio, percentuale che sale al 70% nella popolazione studentesca maschile afro-americana. 

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