domenica 18 ottobre 2015

CINEMA POLITICA SOCIETA' ITALIANA. M. GIUSTI, Suburra, i re di Roma ma non per fiction, IL MANIFESTO, 10 ottobre 2015

«Eh, cazzo». Cosa abbiamo vis­suto e cosa stiamo vivendo real­mente in que­sti ultimi anni a Roma? Oggi, con Marino che si è dimesso da sin­daco, ma, calma, può sem­pre tor­nare, e soprat­tutto in quel non così lon­tano novem­bre del 2011 che ha visto un Papa dimet­tersi, il governo Ber­lu­sconi cadere per sem­pre, ma, calma, può sem­pre tor­nare, e una città che si è aperta poco dopo come una fogna por­tando a galla gli orrori e lo schifo di mafia capi­tale, la con­ni­venza tra potere poli­tico e potere mala­vi­toso, le guerre tra bande e fami­glie rivali, i Casa­mo­nica, Car­mi­nati, le gang del Porto di Ostia, le inter­cet­ta­zioni più assurde, la teo­ria della Terra di Mezzo. E i fasci­sti ovunque.


Baste­rebbe la cel­tica al collo dell’onorevole di cen­tro destra inter­pre­tato da Pier Fran­ce­sco Favino men­tre pippa e tromba all’Hotel de Rus­sie con due mignotte e poi va a pisciare dalla ter­razza men­tre la piog­gia si abbatte su Piazza del Popolo per fare di Suburra di Ste­fano Sol­lima, tratto dal romanzo di Carlo Bonini e Gian­carlo De Cataldo, che lo hanno sce­neg­giato assieme a San­dro Petra­glia e Ste­fano Rulli, il film dell’anno.
O almeno un film, diciamo di fic­tion, dove però i fatti e i per­so­naggi non sono pro­prio fic­tion, ma si avvi­ci­nano molto a quello che pro­ba­bil­mente è capi­tato e capita nella realtà in que­sta città. Non siamo in un talk poli­tico, con i vari Formigli-Santoro-Gruber-Giannini che sem­brano ormai rac­con­tare una realtà poli­tica e una realtà ita­liana che non ci rap­pre­senta. Siamo nel pieno di un cinema-non-cinema che mischia i vec­chi noir di Fer­nando Di Leo con le nuove serie, con True Detec­tive e Gomorra, pas­sando attra­verso la scrit­tura di Rulli e Petra­glia come nelle loro Pio­vre televisive.
E Sol­lima è il regi­sta ita­liano che più si avvi­cina alla nuova messa in scena da Net­flix, la nostra rispo­sta a Cary Fuku­naga, moderno e poli­tico quanto basta. Ma già que­sto, per il nostro mondo dello spet­ta­colo, è qual­cosa di ina­spet­tato e debor­dante. E alta­mente popo­lare e rico­no­sci­bile. Gra­zie a que­sta messa in scena e a que­sta scrit­tura da altis­sima fic­tion, nuova ma rispet­tosa dei vec­chi codici di genere, Suburra rie­sce a farci pene­trare con per­so­naggi mitiz­zati e solo ispi­rati alla realtà, che siano gli ono­re­voli della destra di governo, il Samu­rai, Spa­dino, Baca­rozzo, Numero 8, gli zin­gari cra­vat­tari, nella zona più scura e reale della città e della vita italiana.
Non è il mondo di Cafo­nal, con intel­let­tuali fal­liti, sbroc­cati e pip­pati ripreso da Paolo Sor­ren­tino ne La grande bel­lezza, il mondo delle feste. Non è il mondo di «Porta a Porta», anche se a un certo punto si sente la voce di Bruno Vespa. Non è, per for­tuna, nean­che quello delle cro­na­che poli­ti­che di Repub­blica e delFatto, con le tra­scri­zioni delle inter­cet­ta­zioni hot e le foto mostruose delle feste spac­cone dei fasci di potere dell’epoca Ale­manno. E infine nean­che quello del cinema medio ita­liano, sia que­sto quello mode­sto delle com­me­die sia quello poco più bla­so­nato del cinema da festi­val, che come sap­piamo si divide in serie A, chi va a Can­nes, e serie B, chi va a Venezia.
Sol­lima drib­bla abil­mente le trap­pole del «cosa siamo abi­tuati a vedere e a sen­tire» legato alla poli­tica sporca da sotto Vespa e alla cronaca-de-Roma gior­na­li­stico e trova rifu­gio nel genere clas­sico e nel nuovo genere delle fic­tion seriale alla Sky per poter fare final­mente il suo film e arri­vare a qual­cosa di con­creto e, in fondo, non visto.
Per­ché, anche se ci sono dei punti di con­tatto sia con Sor­ren­tino che con il mondo tos­sico della Ostia anni’90 di Clau­dio Cali­gari, il suo film riprende que­sti ele­menti, come riprende i volti di un cinema popo­lare e ben noto, Clau­dio Amen­dola, Elio Ger­mano, Favino, un incre­di­bile Anto­nello Fas­sari, per costruire un rac­conto che ci deve por­tare verso una zona nuova sia per il cinema ita­liano sia per la cro­naca più vero­si­mile della realtà italiana.
Come se Amen­dola o Favino, insomma, fos­sero ele­menti della clas­si­cità della città e del nostro cinema, da inse­rire con volti nuovi, come Ales­san­dro Bor­ghi, Greta Sca­rano, l’incredibile attore che inter­preta Man­fredi lo zin­garo. Ma l’idea è sem­pre quella di arri­vare, un po’ come in Romanzo popo­lare, sia serie che film, a un rac­conto popo­lare che ci spie­ghi dal di den­tro que­sta città e quello che ha vis­suto e che sta ancora vivendo.
E nes­sun regi­sta ita­liano sem­bra in grado come Sol­lima di rac­con­tare così da vicino Roma, e que­sto incre­di­bile impa­sto di vita poli­tica e di malavita.
Come se sol­tanto attra­verso il genere fosse pos­si­bile arri­vare alla realtà.
Sap­piamo da tempo che niente al cinema o in tv è così forte come la fac­cia di Car­mi­nati, le sue inter­cet­ta­zioni, i disa­stri pro­vo­cati dagli ultimi sin­daci. Eppure Sol­lima, i suoi sce­neg­gia­tori, i suoi attori, pro­prio tra­dendo il più pos­si­bile la realtà, la morale cro­na­chi­stica e mora­li­stica da Repub­blica, ripe­scando i vec­chi Ugo Piazza di DiLeiana memo­ria arriva in due ore a rac­con­tarci molto di più di quanto potes­simo pen­sare. Con coraggio.
A comin­ciare da come inqua­dra bene il potere poli­tico di que­sti ultimi anni legato ai fasci­sti romani. E con qual­che con­ces­sione al mondo anta­go­ni­sta che può pia­cerci anche parecchio.

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