domenica 13 aprile 2025

LA CLASSE OPERAIA ESISTE ANCORA. LA PORTA F., La classe operaia esiste eccome: è tornata a cantarle sui padroni, L'UNITA', 11.04.2025

 Il festival di Letteratura Working Class di Campi Bisenzio (4-6 aprile scorsi ) – nel presidio degli operai della Gkn – alla sua terza edizione, avrebbe fatto felice Gramsci! Nel festival si incrociano letteratura, teatro e musica, le tre forme espressive di cui Gramsci si è occupato con dedizione e straordinario acume, sempre dentro una prospettiva di emancipazione delle classi popolari (non sarà un caso che la fondazione del PCI sia avvenuta dentro un teatro!).


La prossimità della cultura a un esperienza di durissima lotta operaia – nell’epoca postfordista che ha dichiarato la scomparsa degli operai! – avrebbe avuto per lui un forte valore simbolico. La lotta alla Gkn esprime un messaggio di resistenza che dovrebbe ispirarci tutti: resistenza alla prepotenza padronale e alla più brutale logica del profitto, in un contesto in cui viene messa in discussione la propria sussistenza (licenziamenti tramite email, niente stipendi da mesi). Altro che la retorica del “resistere resistere resistere” spesso invocata da persone che non rischiano nulla di sostanziale e che solo si sentono così più nobili. Gli operai della Gkn sono forse più gramsciani di quanto pensino: hanno elaborato un piano di reindustrializzazione, approvato dalla Regione, ritenendo la fabbrica come qualcosa che gli appartiene e che saprebbero come gestire –-intanto dalla produzione di semiassi per l’industria automobilistica si sono messi a fabbricare cargo bike, e in prospettiva pannelli fotovoltaici – , mettendosi dentro una nobile tradizione autogestionale che dalla Comune di Parigi arriva ai consigli di fabbrica del Biennio Rosso e all’esperienza dell’ex Jugoslavia.

Ideatore e fondatore del festival è Alberto Prunetti, coadiuvato da tantissimi collaboratori, autore del romanzo Amianto (2012), impegnato da tempo ad esplorare la letteratura working class a partire soprattutto dall’Inghilterra (dove ha lavorato per un periodo, lavando i cessi e facendo la pizza, come racconta in 108 metri, The new working class hero, Laterza), e dalla lunga storia delle scritture operaie britanniche che hanno riplasmato l’immaginario. Una letteratura che sceglie volta a volta opzioni espressive anche molto diverse tra loro: realismo sociale, Giovani Arrabbiati anni ‘50, iperrealismo grottesco di Trainspotting e fino a un importante festival di Bristol ispiratore di questo di Campi Bisenzio ( a cui partecipavano non solo maschi bianchi operai ma donne, queer, gruppi etnici disparati, etc.). Cos’è la letteratura working class (con cui è denominata una collana diretta da Prunetti per le edizioni Alegre)? Quella che ruota attorno al tema del lavoro (salariato o domestico) e di una rappresentazione della vita dei lavoratori, della loro cultura e resistenza al potere.

In Italia negli ultimi decenni ha trovato rappresentazione letteraria soprattutto il precariato (negli anni Zero i libri di Bajani, Nove, Murgia, e un po’ prima Paolo Nori), assai meno la condizione operaia, che persiste nonostante le innumerevoli diagnosi sulla sua scomparsa (Acciaio di Silvia Avallone, nel 2010, era una commedia sentimentale che si limita a sfiorare la realtà dell’acciaieria di Piombino). L’impressione è ora di un risveglio di interesse verso la letteratura working class: il festival di Campi Bisenzio, due premi dedicati al mondo del lavoro, “Il pane e le rose”(biblioteca di Montelupo Fiorentino) e il premio “Di Vittorio” della Cgil, sia per romanzi che per racconti inediti che riguardino l’esperienza del lavoro (ricordo che il bando scade il primo giugno). Perché questo risveglio? È il conflitto stesso che impone un interesse da parte della società, che crea nuovi spazi di presenza e visibilità.

L’affollatissimo festival di Campi Bisenzio, sorretto da una fitta rete di volontari, comunica – si potrebbe dire gioiosamente (dato l’entusiasmo) – con la città di Firenze e con il resto della Toscana. Ricorda le Festa dell’Unità d’antan, quando ancora non si erano depotenziate a sagre dell’intrattenimento e della gastronomia (comunque la ribollita del festival era squisita!). Dell’impostazione generale condivido tutto, e proprio l’indagine letteraria accurata di Prunetti – raccolta tra l’altro sulla bella rivista trimestrale “Jacobin” delle edizioni Alegre – costituisce oggi un orizzonte di ricerca imprescindibile, che attinge in modo originale a fonti disparate, da Tronti Asor Rosa a Pratolini e Bernari, da Brecht e Gorki a Luigi Davì(uno dei primi scrittori operai italiani). Segnalo solo due aspetti per me più problematici. A volte si tende a separare troppo la working class dalla sterminata classe medio-bassa, gli intellettuali dalla gente comune. Ora, “tutti gli uomini sono intellettuali”(Gramsci) . Tutti gli esseri umani, cioè, usano l’intelletto per capire la realtà, e come sapeva Marx ( e prima di lui Averroè e Spinoza) solo l’intelletto collettivo può far progredire davvero l’umanità.

Oggi, anche se persistono largamente attività lavorative umilianti e degradate, in molti lavori la componente intellettuale è prevalente: perfino il telefonista “schiavizzato” di un call center deve parlare bene e sapersi relazionare all’interlocutore (principale forza produttiva è cioè l’intelligenza, la facoltà di linguaggio, l’ abilità comunicativa). Nella attuale società alfabetizzata esiste una intellettualità di massa, dispersa in vecchie e nuove professioni, costretta a lavorare in condizioni di sfruttamento ed estrema precarietà: il cognitariato diffuso, e cioè lavoratori “della conoscenza” di base, addetti alla produzione e trasmissione della cultura, insegnanti di liceo e maestri di scuola, ricercatori non strutturati dell’università, giovani comunicatori e informatici non garantiti, freelance sottopagati dell’editoria benché con qualifiche elevate (sto parlando di soggetti sociali accomunati da redditi medio-bassi).

Ecco tutti loro sono parte della working class marxiana e dunque interpreti legittimi di qualsiasi letteratura si rivendichi a suo nome. È giusto l’accento sulla letteratura working class come documento e inchiesta: dopo aver letto due libri presentati al festival, Risto Reich, Il lavoro di un cameriere di Luigi Chiarelli (Alegre) e il graphic novel Nero vita di Daria Bodranska (Mesogea), ne sappiamo molto di più sul mondo dei camerieri. Tuttavia trattandosi di “letteratura” conta soprattutto lo stile, il “come” si dice una cosa. E bisogna dirla bene. Dove scrivere bene non è scrivere ornato, in punta di penna, o conformandosi a un canone dominante, ma disporre di una scrittura necessaria e lontana dai cliché della comunicazione corrente, capace di restituire non solo il reale ma anche l’emozione del reale.

Infine: letteratura working class è fatta sempre più dai suoi protagonisti sociali, e anche storicamente nasce da una “rottura”, dalla presa di parola da parte di soggetti esclusi dalla parola. Ma può anche accadere che artisti e scrittori “borghesi”, in virtù della loro immaginazione e capacità di empatia, riescano a raccontare fedelmente il lavoro. Memoriale di Paolo Volponi e Working class hero di John Lennon hanno raccontato in modo memorabile la condizione operaia.

Nessun commento:

Posta un commento