WASHINGTON - Nella clausura della Wye Plantation (una dimora coloniale del Maryland ora di proprietà dell' Aspen Institute) i sedici ministri degli Esteri della Nato hanno discusso la questione del deterioramento dei rapporti con l'Urss, i programmi militari dell'alleanza e la crisi del Golfo Persico, prima di rientrare ieri sera a Washington dove sono stati ospiti alla Casa Bianca per un pranzo offerto dal presidente Reagan. Oggi, a conclusione dei lavori, verrà pubblicata una "dichiarazione" comune sui rapporti Est-Ovest la cui stesura, pur avendo presentato alcune difficoltà marginali, ha evidenziato un ampio consenso sul concetto centrale secondo il quale l'Alleanza deve mostrarsi disponibile ad una ripresa del negoziato con l'Urss sul controllo degli armamenti senza però "fare concessioni preliminari - come ha spiegato un alto funzionario americano - che rappresenterebbero un segno di debolezza".
Accompagnati soltanto dai rappresentanti permanenti presso la Nato (per l'Italia l'ambasciatore Romano), i sedici ministri sono rimasti per 24 ore completamente isolati, tra pioggia e nebbia, nella remota Plantation. (Addoloratissimo, Giulio Andreotti non ha potuto seguire la finale della Coppa dei Campioni che qui veniva trasmessa in diretta da un canale televisivo di lingua spagnola, e l'ha fatta registrare in ambasciata su videocassetta per poterla vedere successivamente).
Per noi giornalisti, rimasti a 150 km di distanza, non è stato agevole ricostruire l'andamento del dibattito. Comunque, da indiscrezioni di varia fonte, abbiamo potuto mettere insieme un quadro sommario dei temi più importanti all'ordine del giorno e dello schieramento che su ciascuno di essi si è delineato.
Rapporti est-ovest. È stato l'argomento del quale si è parlato mercoledì sera. Tre ministri che hanno recentemente visitato Mosca (l'italiano Andreotti, il tedesco Genscher e lo spagnolo Fernando Moran Lopez) hanno fornito ai colleghi le loro "impressioni", tutt'altro che ottimistiche, sull'atteggiamento dei leader sovietici. Andreotti in particolare, ha detto di non aver riscontrato negli interlocutori moscoviti "indicazioni immediate di una evoluzione del pensiero in tema di disarmo" e di aver anzi individuato "una rigidità di fondo che lascia poche speranze di una revisione a breve scadenza".
Tuttavia il ministro italiano ha sostenuto che la Nato sbaglierebbe se si rassegnasse ad attendere "una improbabile evoluzione spontanea" da parte del Cremlino. I sovietici vanno invece incalzati e convinti ad assumere "un approccio più ragionevole, leale ed equilibrato" da un uso accorto, da parte della Nato, di "tattica e pazienza". La strategia suggerita da Andreotti è questa: se per ora non si può sciogliere il nodo centrale (ossia la questione dei negoziati sul disarmo nucleare) bisogna almeno utilizzare gli altri canali di comunicazione - ed in primo luogo la conferenza di Stoccolma - al fine di "bonificare il terreno circostante". Secondo il capo della diplomazia italiana, l'Occidente dovrebbe prendere in considerazione la proposta sovietica di 01931 una rinuncia reciproca dei due blocchi all'uso della forza nelle controversie tra Stati.
Di per sé non è un principio nuovo e sconvolgente: ciascuno dei paesi della Nato l'ha già sottoscritto unilateralmente in altre sedi (la Carta dell'Onu e l'atto finale della conferenza di Helsinki) e dunque, a certe condizioni, esso può essere riaffermato anche a Stoccolma. La principale condizione è che i sovietici accettino la distinzione tra rinuncia alla forza convenzionale (che può essere condivisa dalla Nato) e rinuncia al primo uso delle armi nucleari, che invece è inaccettabile perché la minaccia delle armi atomiche mira proprio a scoraggiare la tentazione di un attacco convenzionale.
Andreotti ha proposto che il comunicato finale del Consiglio ministeriale atlantico venga formulato in modo tale da indicare una apertura di principio degli alleati sul tema della rinuncia alla forza in modo da "segnalare all'Unione Sovietica la volontà di ricercare terreni di intesa per superare l' attuale momento di tensione internazionale".
Conviene osservare che se anche altri ministri, come il tedesco Genscher, sollecitano un atteggiamento più dinamico della Nato nei rapporti con l'Urss, la posizione americana fino a ieri mattina era rigida e schematica: secondo Washington occorre mostrare la massima disponibilità al dialogo, ma senza compiere alcuna mossa concreta suscettibile di apparire come un sintomo di paura o di cedimento ai tentativi di intimidazione sovietica. Va detto che anche il francese Claude Cheysson, nel suo discorso di apertura della riunione, aveva usato parole durissime contro il Cremlino, contrapponendo alla "terribile pressione psicologica e politica" esercitata dall'Urss sull'Europa, il "tranquillo coraggio" del quale hanno dato prova i paesi della Nato quando hanno dispiegato i primi euromissili americani.
STRATEGIA MILITARE DELLA NATO – È un tema affrontato ieri mattina e sul quale è stato mantenuto dai portavoce un più stretto riserbo. Si sa che il Dipartimento di Stato aveva intenzione di sollecitare un maggiore impegno degli alleati nei programmi di rafforzamento dell'Alleanza, soprattutto per quanto riguarda le armi convenzionali: "È arrivato il momento - aveva detto il vicepresidente George Bush, aprendo i lavori del Consiglio - di dedicare ogni attenzione al miglioramento degli armamenti convenzionali".
Secondo gli americani, un riarmo convenzionale della Nato (per il quale l' industria americana può offrire tutta una serie di nuove armi) presenterebbe il vantaggio di allontanare la cosiddetta soglia del pericolo nucleare. Su questo tema i portavoce europei hanno detto poco o nulla, segno che i rispettivi governi esitano ad assumere impegni che metterebbero a dura prova le loro economie in una fase di ripresa non ben consolidata.
GOLFO PERSICO - Pur essendo il Golfo Persico estraneo alla sfera di competenza della Nato, il tema è stato discusso ieri pomeriggio perchè in ogni caso una crisi in quell'area può provocare contraccolpi sull'assetto militare dell'Alleanza. Gli americani hanno sollecitato agli europei una maggiore "globalità di visione" nella difesa dei loro interessi. "Anche fuori dell' Europa - aveva detto ieri il vicepresidente Bush - le nazioni dell'Occidente hanno la continua responsabilità di aiutare gli Stati del Terzo mondo a proteggere se stessi". Per quanto riguarda l'Italia, Andreotti non sembra aver raccolto la sollecitazione americana: il conflitto tra Iran ed Iraq - egli ha detto - deve essere risolto con un negoziato "nel quadro regionale e senza interferenze esterne".
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