Ogni tanto, come un fenomeno carsico, affiora la proposta di una patrimoniale. È tempo buttato via. Anche perché in Italia ci sono già alcune patrimoniali. E forse ce le siamo dimenticate. L’Imu sulle seconde case è una patrimoniale. In altri Paesi europei si paga anche sulle prime. E poi c’è l’Ivafe sulle attività finanziarie all’estero; l’Ivie sugli immobili all’estero detenuti da soggetti residenti in Italia e l’imposta di bollo sui dossier titoli. Non è vero dunque che non abbiamo delle patrimoniali.
Perché è inutile parlarne? Perché quando si ha la certezza che non se ne farà nulla si favorisce solo la fuga dei capitali. Con danno per tutti. Ormai, giusto o sbagliato che sia, la patrimoniale è solo una
bandiera identitaria. Suggestiva, ma improponibile vista l’estrema libertà di movimento dei capitali grazie alla globalizzazione. Arricchisce solo l’ego politico di chi la propone. Con danno per tutti. Lo sanno bene i francesi. Solo il fatto che la proposta di legge Zucman (un allievo di Piketty) sia stata discussa e bocciata dall’Assemblea nazionale ha spinto all’emigrazione (dorata)
molti miliardari. E alcuni di questi hanno scelto l’Italia che come paradiso fiscale per i super ricchi batte addirittura alcuni cantoni svizzeri. E lo è anche per le successioni e le donazioni.
Ci accontenteremmo che si rispettasse solo il principio della progressività dell’imposta, della quale ormai sono prigionieri solo i dipendenti e i pensionati che hanno una ritenuta alla fonte. E
non possono nemmeno godere dei privilegi della flat tax che, oltre ad avere un’aliquota bassa, è anche molto evasa come dimostra l’ultima relazione sull’Economia non osservata (definizione sublime) che stima in 182 miliardi il valore delle attività in «nero».
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