domenica 15 febbraio 2015

NUOVI VECCHI PARTITI IN ITALIA. INTERVISTA CON MARIO MONTI. SCELTA CIVICA. G. A. STELLA, Monti: «Miei errori con Scelta civica? Deluso dai politici e da tanti neofiti», CORRIERE DELLA SERA, 15 febbraio 2015

«M i divertiva l’idea di farmi dei biglietti da visita con scritto “Mario Monti. Ex senatore a vita”. Poi non hanno abolito né il Senato né i senatori a vita...». Nel suo ufficio alla Bocconi, l’ex presidente del consiglio, ex leader di Scelta civica, ex predestinato al Quirinale, è un ex di ottimo umore. Qualche sassolino nelle scarpe, però, gli è rimasto: «Il loden! Alla fine era diventato una specie di simbolo spregevole. Cosa avrà mai, il loden! Finché, con l’elezione di Mattarella, c’è stato un revival. Anzi, una contrapposizione fra loden: il suo, positivo, e il mio, negativo. Un tweet diceva: Mattarella è così sobrio che porta i loden usati di Monti...». 
A Bruxelles no, il suo loden non è malvisto: «Vado spesso perché presiedo la commissione per la riforma del bilancio Ue, che oggi ricorda un mercato delle vacche». 

L’ha pagata cara, l’identificazione con l’Europa . «Fu una scelta. Piuttosto che prendesse certe decisioni la troika con la brutalità che si è vista in Grecia era meglio le prendessimo noi. Con tutti i rischi di impopolarità. Parliamoci chiaro: la troika è una forma di neocolonialismo... L’astio contro la Ue sarebbe stato incontenibile. Mi dicevo: “Tu passi, l’Europa resta”». 
Insomma, fece da parafulmine? «Sì. L’“Italia europea” è sempre stata la mia vocazione. Da opinionista, da professore, da commissario. Ed è stato un complotto del destino...». 
Allora c’è stato, il complotto! «Del destino: mi sono trovato lì, in quel momento, col mio bagaglio europeo, i miei rapporti europei... Era quasi fatale che mi chiamassero». 
E l’altro complotto? I poteri forti, la troika, le banche... «La troika, se permette, sono stato io a tenerla fuori. Sui giornali del 15 novembre 2011 c’era una frase di Alfano da rileggere: “Gli impegni assunti con l’Europa rappresentano il caposaldo del nostro appoggio”. Rivendicavano che il mio era anche il “loro” governo. Vuol saper la più bella?». 
Dica. «Quando andai da Berlusconi fu gentilissimo. Era assolutamente consapevole che la situazione fosse ormai insostenibile. Lì ci fu il ricciolo». 
Quale ricciolo? «Mi disse: “Vorrei agevolarla: si prenda, tranne me e Tremonti, tutto il mio governo”». 
Un subentro... «Chiavi in mano. Vedesse la faccia di Alfano e Letta! Basiti. Risposi: veramente non credo sia il mio mandato... Ci davamo ancora del lei. Passò al tu il giorno del rito della campanella e del passaggio delle consegne. Fu simpaticissimo. Mi riempì di cravatte». 
A pois... «Miste. Belle. Mi ero fatto, inizialmente, una lista. C’erano Gianni Letta (non alla Giustizia), Amato agli esteri (entusiasta), Ichino al lavoro... C’era perfino Brunetta... Poi sui politici scattarono i veti...». 
Ma Berlusconi visse il governo anche come «suo». «Certo. Con alti e bassi. Ma era “dentro”. Ogni tanto lo sentivo. Quando dissi di no alle Olimpiadi mi spiegò: i miei ti daranno torto ma hai ragione tu: meglio non prendere impegni, oggi». 
E per quelle «renziane» del 2024? «Anche Renzi, allora, avrebbe detto no». 
A farla corta, è lei a dirsi tradito dal Cavaliere. «Bisogna tornare all’autunno 2012. E alla accelerazione sulla corruzione. Ero certo che, in vista delle elezioni, c’era un solo provvedimento su cui non potevano dirci no: la lotta alla corruzione con la norma “Parlamento pulito”. Chi avrebbe osato schierarsi contro?». 
Invece osarono... «No: cambiarono cavallo. Non potendo sparare contro l’anticorruzione, a destra scaricarono la rabbia sulle scelte economiche che pure avevano votato. L’ha letta la Stampa sull’incontro del Cavaliere coi sindacati di polizia? Leggo: “Tremonti ha tentato un golpe contro di me” e “già da parecchio lavorava per diventare premier”. Fatemi capire: quanti golpe ci furono?». 

Le pesa, l’accusa? «Dice anche, in quello sfogo, che se io fossi andato con lui come mi aveva proposto sarebbe cambiato l’esito delle urne. “Invece Monti alle elezioni andò da solo e la storia della politica italiana è cambiata”». 
Insomma, senza di lei Berlusconi sarebbe al Quirinale. 
«Probabile. Ma non volevo fermare lui: volevo impedire che tutti i nostri sforzi fossero vanificati dalla vittoria di una delle due coalizioni dove nessuno avrebbe avuto il fegato di proseguire nel risanamento. Non volevo che l’Italia deragliasse e che di lì a pochi mesi arrivasse proprio la troika. Del resto c’è chi ha scritto che sarei stato il premier più di sinistra di sempre...». 
Addirittura... 
«Non andrò mai più a elezioni e possiamo dirlo: ho fatto l’unico pezzo di patrimoniale possibile. Sulla casa. Lo stesso Morando l’ha riconosciuto: “Noi di sinistra non abbiamo mai avuto il coraggio, poi è arrivato Monti e l’ha messa, poi Letta e l’ha tolta”». 
Era una condizione capestro di Berlusconi... 
«Sì. Ma una grande coalizione ha senso per chiedere ai partiti di “dare” qualcosa in più, non per regalare il mantenimento di “immantenibili” promesse elettorali... Cercai di dirlo, a Letta. Ma non potevo mordere: i “miei” capigruppo non erano già più montiani...». 
Fatto sta che lei piantò il suo partito. 
«Per forza. Feci un comunicato cauto sulle cose che non andavano nella politica economica di Letta e sull’Imu. E 12 senatori, contro di me, dissero che Letta andava sostenuto sempre e comunque. Avendo io un po’ di dignità...». 
L’ammetta: Scelta Civica è stata una delusione. 
«Sì. Ma non il risultato elettorale. Con il 10% ha impedito che l’Italia deragliasse». 
Valeva la pena fare asse, come si disse, con «vecchi rottami» come Casini e Fini? 
«Sì, la critica più diffusa fu quella. Loro, però, erano stati i più fedeli sostenitori del governo...». 
Col senno di poi era meglio andare da solo, con il suo manipolo di professori? 
«La delusione l’ho avuta sia da politici stagionati sia da tanti neofiti». 
Ne valeva la pena? 
«Per il paese sì, per noi non so. La persona che più di me l’ha pagata cara, fino ad essere dileggiata, è stata Elsa Fornero. In tutto il mondo la sua riforma è vista come “top class”. Senza di essa, Letta e Renzi si sarebbero dovuti dannare». 
E gli esodati: un infortunio? 
«Pesarono molte cose. Ma non basterebbe un’intervista intera su questo tema. Mi lasci solo dire: è stata anche montata molta panna. Senza quella riforma le pensioni non sarebbero state toccate, ma lo Stato avrebbe smesso di pagarle». 
Dice Brunetta che lo spread sarebbe calato lo stesso... 
«Eh eh... La Bce nel 2011 comprò un sacco di titoli nostri ma lo spread schizzò lo stesso da 120 a 545. Semmai avrei voluto fare di più sul lavoro». 
Il famoso Jobs act di Renzi? 
«Ecco, l’avremmo fatto noi. Se avessimo avuto Renzi e non Bersani, degna persona ma troppo condizionato da sinistra. Non avevamo voti. Dovevamo andarli a cercare». 
La coglie mai il pensiero «oggi potrei essere sul Colle»? 
« Mi fa piacere che tanta gente lo pensi. Devo dire: sarei stato davvero stupido, se non l’avessi messo in conto. Fu una scelta. Dovevo farla. E non è vero che ho perso...». 
Non dirà che ha vinto... 
«Cos’è la vittoria? E la sconfitta? Certo, ragionando coi vecchi schemi ho perso. Ma grazie a noi abbiamo avuto la conferma di Napolitano, due governi che non hanno deragliato... Anche se rimprovero loro due cose populiste. L’Imu a Letta e gli 80 euro a Renzi. Io avrei messo tutti quei soldi a riduzione del costo del lavoro». 
Umberto Veronesi ha detto: “Come ministro non ho potuto fare granché”... 
«A noi, semmai, rinfacciano d’aver fatto troppo... I nostri problemi si devono al fatto che i governi, per decenni, han detto troppi “sì”. Sono stati “troppo buoni”». 
E voi troppo cattivi? 
«Io direi necessariamente severi. Certo, avremmo dovuto forse fare più “didattica”, spiegarci meglio...». 
Non è la sua arte... 
«È vero. Non è la mia arte. Le risposte serie richiedono tempo Di più: sono diffidente sul mito di Twitter e della “narrazione”. Fra lo “storytelling” e il contar storie il confine è sottile...». 
È una frecciata a Renzi? 
«No, no. Ripeto: avrei dato più peso all’economia. Non vorrei che concentrarci su altre riforme distraesse da cose più importanti. Perché ero perplesso sul patto del Nazareno? Perché in vista di un beneficio teorico si è trattato con una persona condannata in via definitiva per frode fiscale». 
Non ci avrebbe parlato, lei, con Berlusconi? 
«Parlato sì. Ma da qui ad erigerlo a co-fondatore di una nuova repubblica... Che messaggio dai ai cittadini? Che una condanna per frode fiscale sia un peccato veniale? Questo mina il nostro sviluppo economico e civile molto ma molto più di quanto si immagini...». 

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