lunedì 30 marzo 2015

PROFEZIE SOCIO-POLITICHE. INDOVINATE AUTORE ED EPOCA.

Il mondo sta finendo. La sola ragione per la quale potrebbe durare, è che esiste. Questa ragione è debole, in paragone a tutte quelle che annunciano il contrario, particolarmente a questa: che ha da fare ormai il mondo sotto il cielo? - Poiché, supponendo che continuasse a esistere materialmente, sarebbe un’esistenza degna di questo appellativo e del dizionario storico? 




Non dico che il mondo sarà ridotto agli espedienti e al disordine buffonesco delle repubbliche del Sud America, - che probabilmente anche noi torneremo allo stato selvaggio, e che andremo, attraverso le rovine erbose della nostra civilizzazione, a cercare il nostro pascolo, con un fucile alla mano. No; - perché questa sorte e queste avventure implicherebbero ancora una certa energia vitale, eco delle primitive età. Nuovo esempio e nuove vittime delle inesorabili leggi morali, noi periremo per ciò che noi abbiamo creduto di vivere. La meccanica ci avrà talmente americanizzato, il progresso avrà così bene atrofizzato in noi tutta la parte spirituale, che nulla tra le fantasticherie sanguinarie, sacrileghe, o antinaturali degli utopisti potrà essere comparato ai suoi risultati positivi.


 Domando a ogni uomo che pensa di mostrarmi ciò che sussiste della vita. Della religione, credo inutile parlarne e di cercarne i gesti, poiché darsi ancora la pena di negare Dio è il solo scandalo in materie simili. La proprietà era scomparsa virtualmente con la soppressione del diritto di primogenitura; ma verrà il tempo in cui l’umanità, come un orco vendicatore, arrafferà il loro ultimo boccone a quelli che credono di aver ereditato legittimamente dalle rivoluzioni. Tuttavia, non sarebbe lì il male supremo.
L’umana immaginazione può concepire, senza darsi troppa pena, delle repubbliche o altri stati comunitari, degni di qualche gloria, se sono diretti da uomini consacrati, da certi aristocratici. Ma non è particolarmente grazie alle istituzioni politiche che si manifesterà la rovina universale, o il progresso universale; dato che il nome poco m’importa. Sarà grazie all’avvilimento dei cuori. Ho bisogno di dire che il poco che resterà della politica si dimenerà miseramente tra le strette dell’animalità generale, e che i governanti saranno costretti, per mantenersi e per creare un fantasma dell’ordine, di ricorrere a dei mezzi che farebbero accapponare la pelle alla nostra attuale umanità, sebbene così indurita? – Allora, il figlio fuggirà la famiglia, non a diciott’anni, ma a dodici, emancipato dalla sua golosa precocità; la fuggirà, non per cercare delle avventure eroiche, non per liberare una bellezza prigioniera in una torre, non per immortalare una soffitta con dei sublimi pensieri, ma per aprire un commercio, per arricchirsi, e per far concorrenza al suo infame papà, - fondatore e azionario d’un giornale diffonderà i lumi e che farà considerare Le Siècle di allora come un agente della superstizione. – Allora, le randagie, le declassate, quelle che hanno avuto qualche amante, e che chiamiamo a volte angeli, in ragione e grazie alla sventataggine che brilla, luce dell’azzardo, nella loro esistenza logica come il male, - allora, quelle, dico, non saranno altro che spietata saggezza, saggezza che condannerà tutto, tranne il denaro, tutto, pure gli errori dei sensi! – Allora, ciò che somiglierà alla virtù, - che dico, - tutto ciò che non sarà l’ardore per Pluto sarà reputato un immenso ridicolo. La giustizia, se in quell’epoca fortunata può ancora esistere una giustizia, farà interdire i cittadini che non sapranno far fortuna. – La tua sposa, o Borghese! La tua casta metà la cui legittimità fa per te la poesia, introducendo ormai nella legalità un’infamia irreprensibile, guardiana vigilante e amorosa della tua cassaforte, non sarà più che l’ideale perfetto della femmina mantenuta. Tua figlia, con una nubilità infantile sognerà nella sua culla di vendersi per un milione. E tu stesso, o Borghese, - ancora meno poeta di quanto tu lo sia oggi, - tu non vi troverai niente da ridire; tu non avrai alcun rimpianto. Perché vi sono cose nell’uomo che si fortificano e prosperano nella misura in cui le altre si rendono delicate e si sminuiscono, e, grazie al progresso di quei tempi, delle tue budella non ti resterà che le viscere! – Questi tempi sono forse assai prossimi; chi sa che non siano già venuti, e se l’ispessimento della nostra natura non è il solo ostacolo che ci impedisce d’apprezzare l’ambiente in cui respiriamo!
Quanto a me, che sento talvolta in me il ridicolo d’un profeta, io so che non vi troverò mai la carità di un medico. Perduto in questo mondo villano, urtato col gomito dalla folla, sono come un uomo stanco il cui occhio non vede dietro, negli anni profondi, altro che disinganno e amarezza, e davanti a sé altro che una tempesta in cui niente di nuovo v’è contenuto, né insegnamento, né dolore. La sera in cui quest’uomo ha rubato al destino qualche ora di piacere, cullato nella sua digestione, dimentico – per quanto possibile – del passato, contento del presente e rassegnato all’avvenire, inebriato del suo sangue freddo e del suo dandismo, fiero di non essere così basso come quelli che passano, egli si dice contemplando il fumo del suo sigaro: che m’importa dove vanno queste coscienze?
Io credo che ho deviato in ciò che la gente del mestiere chiama un capolavoro. Tuttavia, lascerò queste pagine, - poiché voglio datare la mia tristezza.

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