Il disegno eversivo progettato per decenni dalle forze di estrema destra, spesso in combutta con apparati dello Stato e servizi deviati, prova a trovare in questa fase storica un suo punto di caduta.
Penso non ci sia più dubbio. Una eversione, o meglio una avversione alla democrazia repubblicana, oggi diventa una possibile strada concreta dello Stato, per la presenza di un governo che non crede nei valori repubblicani, non avendoli mai condivisi e non partecipando neppure alla Costituente che fece nascere la nostra Costituzione.
Siamo di fronte, invece, ad una ideologia di destra-destra, a una classe dirigente che non solo prova a riaffermarsi attraverso le solite, sinistre parole, ordine e disciplina, ma ha un legame forte, fatto di storie personali, amicizie, esperienze, con quella destra eversiva che negli anni Settanta provò a rovesciare lo stato di diritto con la stagione stragista.
Siamo di fronte infatti ad una classe dirigente con una storia alle spalle, con una organizzazione di partito che ha attraversato il Novecento, con una ideologia conservatrice, autoritaria e regressiva sui diritti.
È una destra che non riesce a pronunciare la parola antifascismo perché educata al revisionismo storico e culturale. Non ci stupiamo dunque, ma proviamo a reagire contro questo disegno eversivo che, con il disegno di legge 1660, cosiddetto «sicurezza», prende forma e ci fa intravedere di cosa siano capaci in proposito.
Il disegno di legge parte da un principio già presente in altre iniziative legislative di questi ultimi due anni: criminalizzare il dissenso e colpirlo mandandolo in carcere. Facendo finta che gli articoli 3, 13 e 27 della Costituzione non esistano.
Un disegno di legge dove vengono introdotti nuovi reati, più numerose aggravanti e aumenti di pena, per reprimere tutte le più forti lotte sociali degli ultimi anni, di fatto vietando e colpendo ogni forma di dissenso.
Un disegno di legge che criminalizza la protesta, punendo con pene gravissime gli attivisti e le organizzazioni che manifestano, anche in maniera pacifica e non violenta, e le persone in condizione di marginalità sociale, dai migranti ai detenuti, dai senzatetto ai rom, fino a chi vive in occupazioni abitative.
Si passa dallo Stato di diritto allo Stato di polizia, un passo verso quella democrazia illiberale che piace evidentemente tanto al governo dato che, al contempo, non è in grado di dare nessuna risposta su tante questioni che toccano la pelle viva delle cittadine e dei cittadini.
A far da cornice a questo disegno di legge il combinato disposto, proposto dai tre partiti di maggioranza, della legge sull’autonomia differenziata, la riforma della giustizia e la proposta di premierato.
Un disegno che, se letto nel suo insieme, che non può non far tornare alla memoria quelle carte, quei dossier, quei propositi e quelle azioni che si scoprirono poi sotto il simbolo di Propaganda 2 e del suo grande capo Licio Gelli, il gran maestro capace di mettere insieme destra stragista, militari, servizi deviati, politici e imprenditori. Tutti uniti dall’avversione alla democrazia.
La redazione consiglia:
Cresce l’adesione contro il ddl sicurezzaCi saremo a Roma il prossimo 14 dicembre. Ci saremo portando nel cuore, come da molto tempo a questa parte, le parole di Primo Levi: «In forme diverse, il fascismo, anche sotto forma di razzismo sistematico, di odio verso i più poveri, ha continuato ad esistere subdolamente, arrivando ai giorni nostri, cercando ossessivamente il potere per ridiventare quello che era stato in quel tragico ventennio: la consacrazione del privilegio della diseguaglianza».
L’autore è il presidente nazionale dell’Arci
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