lunedì 9 dicembre 2024

DITTATURE E DEMOCRAZIE IN CRISI, UN CONFRONTO. CAMPI A., La rigidità che condanna i dittatori, IL MESSAGGERO, 9.12.2024

 Una tema tragicamente affascinante nel campo degli studi politici è da sempre quello relativo alla crisi, ed eventuale caduta o trasformazione dei regimi politici. Processi ahimé quasi mai pacifici o indolori, anche se non mancano, per fortuna, le eccezioni. Perché – attraverso quali meccanismi e per quali complesse ragioni – si passa dall’ordine (reale o di facciata, liberamente accettato o imposto con la forza) all’instabilità e dall’instabilità – nei casi estremi – al crollo vero e proprio di un assetto di potere? 


In questi giorni stiamo assistendo a vicende tra loro molto diverse ma che hanno tutte a che fare, in qualche modo, con questo tema. Le violente proteste di piazza in Georgia tra filoeuropeisti e filorussi. La Francia che versa in una situazione di crescente caos politico-parlamentare grazie alla convergenza strumentale tra estrema destra ed estrema sinistra. La Corea del Sud portata sull’orlo dello stato d’assedio da un presidente della repubblica ora accusato di tentata insurrezione e abuso di potere. Le elezioni presidenziali in Romania annullate attraverso una sorta di colpo di stato legale preventivo. Infine, l’implosione rovinosa della cinquantennale dittatura del clan Assad in Siria sotto i colpi delle milizie islamiste.
Come mai qualcosa a un certo punto si spezza nella struttura politico-istituzionale di un regime o sistema politico, anche di quello che dava l’impressione di essere stabile o relativamente solido? Come la storia c’insegna, può dipendere da molti eventi, spesso combinati tra di loro. I contraccolpi di un conflitto armato. Il malessere sociale determinato da una grave crisi economica. Il desiderio collettivo di liberarsi da un governo iniquo, corrotto o violento. L’inettitudine e i ripetuti fallimenti dei capi e della classe di governo. L’assalto al potere costituito ad opera di una minoranza armata. 
Spesso questi fattori covano a lungo per poi esplodere all’improvviso. Anche quelle che appaiono accelerazioni spettacolari della storia sono in realtà l’esito di una lenta corrosione, di un movimento sotterraneo il cui senso si manifesta solo quando esso raggiunge la superficie. Il che non toglie che le difficoltà anche gravi in cui finisce per trovarsi un sistema politico nel corso della sua vita storica non ne implicano la necessaria dissoluzione o fine. Anzi, da una crisi profonda e strutturale esso può uscire certo trasformato ma persino rafforzato.
E qui veniamo alle differenze profonde che fortunosamente esistono tra le democrazie conclamate e le autocrazie manifeste anche quando si trovano ad affrontare crisi interne e difficoltà.
Le prime sembrano oggi più fragili e precarie. Da un lato debbono la loro tenuta istituzionale e la loro legittimità in termini di consenso al fatto di dover garantire ai cittadini, simultaneamente, libertà, sicurezza e benessere: tre cose che non è facile tenere insieme specie in un mondo come quello odierno in preda a convulsioni economiche e tempeste geopolitiche su scala globale. Alle dittature una simile prestazione non è richiesta: esse si limitano a compensare la povertà che creano con l’esaltazione nazionalistica che alimentano e a barattare la sicurezza per i singoli con l’ordine da caserma che all’apparenza la tutela mentre in realtà la minaccia.
Dall’altr0 le democrazie odierne – proprio in quanto sistemi politici aperti, basati cioè sul pluralismo e sulla difesa costituzionalmente garantita delle libertà – si trovano più facilmente esposte alle tecniche di disinformazione e manipolazione delle coscienze utilizzate, alla stregua di strumenti di guerra all’apparenza pacifici, dai loro nemici interni ed esteri (che spesso coincidono). Problemi che i dispotismi (anche quelli che si presentano con una facciata formalmente democratica) semplicemente non hanno nella misura in cui controllano essi direttamente, in chiave di propaganda, i canali di comunicazione e informazione, nonché ogni possibile accesso alla sfera pubblica.
Nonostante ciò, come dimostra proprio la cronaca di queste settimane, le democrazie, per quanto debilitate o in crisi come spesso vengono descritte, sembrano avere una flessibilità istituzionale, una capacità ad apprendere dai propri errori e una forza di ripresa del tutto sconosciute alle dittature.  E che dipendono proprio dal loro essere strutture complesse e articolate, fisiologicamente attraversate da tensioni ideali e dalla presenza al loro interno di una fitta rete di interessi sociali divergenti. La regolazione del conflitto è la loro essenza, laddove le dittature sono strutture rigide che tendono a negarlo e a sopprimerlo e nelle quali esso riesce ad esprimersi solo in forme violente e distruttive.
In Corea del Sud, come abbiamo visto, sono stati i cittadini e i partiti di opposizione che, mobilitandosi nelle strade e battagliando in Parlamento, hanno frenato la deriva golpista del presidente in carica. Così come in Romania, contro il rischio di un’elezione presidenziale eterodiretta da una potenza straniera e a garanzia dell’ordine democratico e della sovranità statale, è intervenuta la Corte costituzionale. 
Il regime siriano è invece caduto come un castello di carta dopo una guerra civile durata anni e non appena i suoi protettori esterni hanno smesso di foraggiarlo con soldi e armi. Esattamente come era accaduto con la Libia di Gheddafi. A conferma che i sistemi autocratici, anche quando appaiono capaci di un controllo politico-poliziesco totale sulla società, sono spesso dei gusti vuoti, sistemi di potere repressivi e feroci ma proprio per questo privi di legittimità e di un effettivo sostegno popolare. Anche quando appaiono solidissimi, basta poco in realtà per vedere i loro simboli finire repentinamente nella polvere, i loro capi darsela a gambe levate e i loro fedelissimi del giorno prima cambiare opportunisticamente bandiera. 
Insomma, le democrazie sono imperfette ma tenaci, fisiologicamente instabili ma aperte al cambiamento, divise al loro interno ma proprio per questo energiche e reattive. Teniamocele care e non smettiamo di tesserne le lodi soprattutto dinnanzi a coloro che vorrebbero convincerci che il loro tempo è finito e che il futuro appartiene alle autocrazie.

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