mercoledì 9 maggio 2012

PARTITI E DEMOCRAZIA. DIAMANTI I., C'è democrazia senza i partiti? LA REPUBBLICA, 27 febbraio 2012

Il proscioglimento di Silvio Berlusconi dall'accusa di corruzione nel caso Mills, per prescrizione del reato, ha sollevato, inevitabilmente, polemiche. E un sottile senso di inquietudine. Non solo perché, in questo modo, il Cavaliere è riuscito a sottrarsi, di nuovo, al giudizio.

Ma soprattutto perché ha rammentato a tutti che Berlusconi non se n'è andato, ma è sempre lì. Anzi, qui. Con gli stessi vizi di sempre. Da ciò l'altro motivo di preoccupazione (o, per alcuni, di speranza). Potrebbe rientrare in scena. Da protagonista. Visto che il ruolo di comprimario al Cavaliere non si addice. D'altronde, Berlusconi resta il leader del Pdl. Tuttora il primo partito in Parlamento. E, insieme, la principale forza politica della maggioranza che sostiene il governo Monti.

Tuttavia, anche questa vicenda suggerisce che il vento è cambiato. Che il tempo di Berlusconi e del berlusconismo è finito.

Anzitutto, l'attenzione intorno al caso appare meno accesa rispetto al passato. Quando Berlusconi era il capo del governo o dell'opposizione. Quando era il dominus della scena politica. Il conflitto di interessi che si portava - e si porta dietro - appariva, allora, insopportabile, sul piano pubblico. Oggi è altrettanto intollerabile, ma la posizione politica del Cavaliere, passato dalla ribalta al retroscena, ha sdrammatizzato le tensioni. Peraltro, i principali attori politici (e istituzionali) che sostengono il governo temono episodi e fratture che possano minare la tenuta della legislatura.

Un'eventualità avversata, per primo, da Berlusconi. Al quale conviene che Monti governi almeno fino alla scadenza naturale della legislatura. E magari oltre. Per una ragione su tutte le altre: se si votasse oggi, il centrodestra non avrebbe speranze. Il Pdl (citiamo le stime di Ipsos dell'ultima settimana) galleggia intorno al 22%. L'alleanza con la Lega, inoltre, appare complicata, logorata dal sostegno di Berlusconi al governo Monti. E, comunque, i partiti del centrodestra (Pdl, Lega e Destra), tutti insieme, sono accreditati di poco più del 33% dei voti. Quattro punti meno del centrosinistra (Pd con Idv e Sel).

Ma in una competizione a tre, con il Terzo Polo in campo (stimato intorno al 20%), la distanza fra i due poli principali salirebbe a 10 punti percentuali. Troppi per rischiare il ricorso anticipato alle urne in questo momento. Tanto più perché, da quando ha avuto avvio il governo Monti, il divario fra centrodestra e centrosinistra si è stabilizzato e, anzi, un po' ridotto. Morale: l'esperienza del governo tecnico non fa male a Berlusconi. Gli permette di riorganizzare le fila. In un periodo politicamente difficile, per lui e per il Pdl.

Ma il ritorno di Berlusconi è improbabile soprattutto perché è cambiato il clima d'opinione. Il berlusconismo è fuori moda, inattuale. Come Berlusconi. Verso il quale il grado di fiducia dei cittadini è basso quanto mai, in passato. Poco sopra il 20%. Come i consensi verso il Pdl. Il suo partito "personale".

È arduo, d'altronde, distinguere e dissociare il destino del partito da quello dell'inventore. Lo testimoniano le difficoltà del Pdl in questa fase congressuale. Lacerato da tensioni e accuse interne: di corruzione, tessere false, condizionamenti. A Sud e a Nord. D'altronde: quale identità può assumere un partito identificato "da" e "in" Berlusconi senza Berlusconi alla testa?

Il mutamento del clima d'opinione riflette, a sua volta, il mutamento sociale. Berlusconi ha interpretato e impersonato una fase "affluente" della società italiana. A cui ha imposto, con l'amplificatore dei media, la propria biografia e la propria immagine come riferimenti e modelli. Ha, così, accompagnato e segnato una fase, lunga quasi vent'anni. Ben raffigurata dall'infotainment televisivo. I programmi che mixano informazione e intrattenimento, nei quali ogni distinzione di ruoli è saltata. Politici, cuochi, personaggi della fiction, ballerine, calciatori, veline, criminologi e criminali. Tutti insieme. Appassionatamente. A parlare di tutto.

Quella stagione è finita. La crisi ha spezzato il legame tra immagine e realtà. Ha reso l'immagine in-credibile. Il mondo rutilante e a-morale espresso da Berlusconi è divenuto troppo lontano rispetto al senso comune. I suoi valori: in contrasto con gli interessi degli elettori. Soprattutto e tanto più per quelli, fino a ieri, attratti da Berlusconi. In larga misura appartenenti ai ceti popolari. Si pensi alla crescente impopolarità dell'evasione fiscale, socialmente tollerata, negli anni scorsi - e giustificata dallo stesso Berlusconi. Ma guardata - oggi - con ostilità. Perché la crisi ha trasformato la furbizia in un vizio dannoso: per i conti dello Stato e per i bilanci delle famiglie.

La crisi ha, inoltre, delegittimato il modello del politico-senza-qualità. Non migliore di noi ma come noi. Anzi: peggio di noi. Reclutato per meriti estetici, piuttosto che etici. O per fedeltà al capo.

Per questo è difficile - a mio avviso improponibile - un ritorno di Berlusconi. Il quale è, semmai, alla ricerca di uno spazio nel quale "difendersi". Negli affari ma anche nelle questioni giudiziarie in cui è ancora coinvolto.

Il Paese, d'altronde, ha voltato pagina. L'esperienza di Monti - "promossa" da Napolitano - ha rivelato e trainato una domanda di rappresentanza politica diversa. Non parlo dei contenuti della sua azione di governo - per alcuni versi discutibili, a mio avviso. Parlo, invece, dello "stile". Che in quest'epoca, è "sostanza". Monti esprime un nuovo modello: il Tecnico che fa Politica. E viceversa: il Politico Competente. Che si misura con i partiti ma non ne fa parte. Ne è fuori e, al contempo, al di sopra. Monti annuncia e interpreta il post-berlusconismo, che si traduce in una sorta di "Populismo Aristocratico". Dove il premier si rivolge e risponde agli elettori direttamente, attraverso i media. In modo sobrio. Mentre i partiti - e i loro leader - restano sullo sfondo. Defilati. Monti: è un leader di successo, i cui consensi appaiono in continua crescita. Oggi superano il 60%.

Berlusconi non tornerà: perché il berlusconismo è finito. Ma anche l'antiberlusconismo lo è. Il che induce a spostare le nostre preoccupazioni "oltre" Berlusconi.

In questo Paese: dove i partiti - privi di credito - contano molto meno dei leader. E dove i leader dei partiti dispongono di un livello di fiducia molto scarso. La questione vera è se sia possibile una democrazia rappresentativa senza partiti.

Io ne dubito. Anzi: lo escludo. Neppure se al berlusconismo succedesse il montismo.

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