mercoledì 9 maggio 2012

SOCIOLOGIA DEL POPULISMO. DIAMANTI I., Avanti populismo!, L'ESPRESSO

L'antipolitica. La sfiducia nelle istituzioni. Il ruolo dominante dei leader e dei mass media. Sono sintomi di una imminente catastrofe? No, risponde un sociologo. E spiega come cambia la democrazia


I l distacco fra i partiti e la società, in Europa, appare largamente consumato, come emerge dalle indagini che riguardano i comportamenti e gli atteggiamenti della società nei confronti della politica. I partiti si sono centralizzati e, al loro interno, hanno guadagnato importanza gli eletti e le figure che hanno un ruolo nelle istituzioni. Ciò, tuttavia, è avvenuto parallelamente a numerosi fenomeni che segnalano il disagio della società verso questo modello di rappresentanza politica. Da un lato: l'astensione, la sfiducia e l'antipolitica, il populismo; dall'altro: i movimenti sociali, le esperienze di democrazia deliberativa. (...)

I populismi: si sono diffusi non solo in Italia, ma un po' in tutta l'Europa. Si tratta di una famiglia di movimenti e di attori politici eterogenei, accomunati da alcuni elementi ricorrenti: il richiamo al 'popolo sovrano', in particolare. Definito in opposizione con le sedi e le organizzazioni politiche istituzionali. I partiti, appunto, ma anche il Parlamento e i sindacati. Per questo i movimenti populisti sono anche fortemente 'personalizzati', in quanto promuovono il rapporto diretto fra il leader e il suo 'popolo', come reazione alla 'politica' monopolizzata dalle élite privilegiate, corrotte e lontane dalla 'gente'. Il 'populismo', nella nostra epoca, ha assunto caratteri specifici anche (e forse soprattutto) per l'importanza assunta dai media, che favoriscono la relazione diretta fra il leader e il popolo (trasformato in pubblico, o meglio: 'opinione pubblica'). Tanto che molti leader politici, senza distinzione di parte, hanno fatto ricorso al populismo come 'stile politico'. Il 'populismo' è, dunque, un fenomeno complesso e differenziato, che esprime disagio e opposizione nei confronti della democrazia rappresentativa. In Europa si è diffuso un po' dovunque, attraverso movimenti di protesta (sfociati, spesso, in partiti) contro l'unificazione europea, l'immigrazione, la globalizzazione. Si è sviluppato anzitutto nei Paesi nord-europei: in Danimarca e nella Penisola scandinava. Quindi, anche altrove: in Austria, Belgio, Olanda, Germania, Francia, Svizzera. E in Italia, dove la Lega Nord ha conquistato uno spazio politico ampio, negli anni Novanta, proprio ripercorrendo, in parte innovando, il repertorio della comunicazione e dell'azione populista.

Il malessere nei confronti della democrazia rappresentativa, infine, è sfociato nella ripresa dei movimenti sociali che, negli ultimi anni, hanno alimentato una nuova fase di protesta, orientata su questioni emergenti di grande portata. Dalla giustizia globale alla pace, all'antiliberismo, alla lotta contro la precarietà del lavoro. A differenza del passato, questi movimenti non tendono ad allinearsi alle famiglie politiche e alle ideologie tradizionali. Sostengono, invece, un'idea alternativa della politica: critica e anzi antagonista nei confronti della rappresentanza partitica; orientata a sostenere la 'partecipazione dal basso'.

Un altro flusso di esperienze che sottolinea il disagio nei confronti della democrazia rappresentativa è costituito dal diffondersi di esperienze di democrazia deliberativa e partecipativa. Che si realizzano attraverso una pluralità di pratiche e di metodi, che si moltiplicano a livello locale e territoriale. Ancora: si assiste al crescente ricorso alla Rete, come terreno di comunicazione 'critica' nei confronti del 'potere'. Una moltiplicazione di blog che fungono da canali per esprimere contenuti e per comunicare opinioni e pareri, agendo come fattori di 'democrazia informata', che operano, inoltre come 'rete organizzativa' per i movimenti. Ma funzionano, sempre più numerosi, come luoghi permanenti di controllo, di valutazione, di giudizio sulle decisioni, sui discorsi, sulle azioni dei diversi attori che esercitano il potere. Il che suggerisce l'emergere di una terza faccia della democrazia. Oltre la democrazia diretta e la democrazia rappresentativa: la democrazia della 'sorveglianza'.

C'è chi cataloga tutte queste esperienze, dai movimenti ai comitati, fino all'e-democracy e alla diffusione di autorità di controllo indipendenti, comprendendole nel contenitore della 'democrazia della sorveglianza'. La sfiducia, l'astensione, l'antipolitica, insieme ai movimenti di protesta, ai soggetti (anti)politici populisti e alle esperienze di democrazia partecipativa e deliberativa, sembrano definire, nel complesso, uno spazio 'esterno', critico nei confronti dei partiti. La società, attraverso la sfiducia e il sentimento antipolitico, 'isola' i partiti, ridotti a oligarchie e a 'funzioni pubbliche'. I partiti, d'altra parte, non solo hanno 'ceduto' il territorio e la società ad altri soggetti e ad altre forme di partecipazione politica. Ma tendono a essere, per altro verso, ridisegnati dalle nuove tendenze della democrazia rappresentativa. Che valorizzano la personalizzazione, rimpiazzano l'organizzazione con la comunicazione, l'identità con il marketing del consenso. In altri termini, i partiti non si sono solo 'cartellizzati' (diventati cioè un cartello per cui non sarebbero più concorrenziali fra di loro), ma anche - e sempre più - 'leaderizzati'. Trasformati in comitati al servizio di un leader. Il quale sviluppa le sue relazioni con la società, il suo rapporto con i cittadini servendosi dei media e delle tecniche del marketing politico-elettorale. (...) Alcuni studiosi concepiscono queste trasformazioni come segni che non rivelano il mutamento, ma il 'degrado' della democrazia. O meglio il suo deviare verso altri tipi di 'regime', diversi dalla democrazia. (...) Tuttavia, i 'segni' di questa crisi non sono nuovi, ma riemergono e si eclissano, ciclicamente. Per questo il filosofo Bernard Manin al concetto di crisi preferisce quello di 'metamorfosi'. Le tendenze recenti, che valorizzano il ruolo dei leader e della comunicazione, gli rammentano la fase genetica della rappresentanza democratica, fondata sulle persone e sulla comunicazione diretta fra notabili ed elettori. Nella quale, peraltro, i partiti non sono scomparsi, ma si sono, appunto, 'ripiegati' sui leader, personalizzati e presidenzializzati.

I populismi non possono venire etichettati come virus che aggrediscono la democrazia; una patologia dei sistemi democratici. Anzitutto, perché hanno la stessa origine, la medesima radice semantica. Il 'populismo' richiama esplicitamente il 'popolo sovrano'; costitutivo del mito democratico. Anche se poi lo traduce in modo 'critico' e, talora, antagonista rispetto alla democrazia 'rappresentativa'. Tuttavia, i movimenti populisti, il clima antipolitico di cui si alimentano (e che alimentano), crescono quando cala la credibilità e l'efficienza della democrazia rappresentativa. Quando la distanza fra i governi, i partiti e i cittadini diventa ampia. Allora, emergono e si affermano attori politici che oppongono la 'società civile' giusta e buona, al 'governo oligarchico', esercitato da cricche di potere, preoccupate solo di mantenere i privilegi di casta di cui beneficiano. I populismi agiscono come anticorpi della degenerazione della democrazia rappresentativa. Al tempo stesso, in molti casi, i populismi si 'arrendono' alla democrazia rappresentativa, ne divengono parte attiva. Visto che, spesso, divengono 'partiti', soggetti della democrazia rappresentativa, alla quale partecipano. I partiti 'populisti', d'altronde, dalla fine degli anni Novanta, hanno ottenuto grandi successi elettorali, che hanno permesso loro, in alcuni casi (come in Italia, in Svizzera e in Austria) perfino l'accesso al governo. Il che suggerisce di riflettere sui cambiamenti in atto, senza nostalgia di una 'età dell'oro', quella dei partiti di massa, che forse non è mai esistita. Che, comunque, si è sviluppata in modo diverso, nei diversi contesti europei. Accade infatti, sia nella vecchia che nella nuova Europa, che i partiti si presentino come organizzazioni 'forti' nelle istituzioni, ma perlopiù scollegate dalla società, mentre le nuove forme di partecipazione tendano a bypassarli, o quantomeno a realizzarsi attraverso canali esterni all'azione partitica. (...)

Infine. La 'personalizzazione'. Piuttosto che una deriva della democrazia rappresentativa, ne definisce una tendenza, che accomuna tutti i principali attori: i partiti, i soggetti populisti, i movimenti. In una certa misura, costituisce una 'soluzione', una via d'uscita, un rimedio al distacco crescente tra i partiti 'cartellizzati' e la società; offre una rappresentanza ai 'populismi' e una risposta politica all'antipolitica. In generale, appare comunque improprio interpretare le tensioni che attraversano il rapporto fra società e politica come altrettanti segni di crisi della democrazia rappresentativa. La sfiducia, la protesta, la diffusione di pratiche deliberative a livello sociale e locale, gli stessi populismi. Lo sbriciolarsi della partecipazione politica in mille esperienze: collettive ma anche individuali. Ne denunciano, semmai, i vizi e le degenerazioni. Ma non sanciscono il rifiuto della democrazia. Segnalano, invece una tendenza opposta: l'emergere di una sorta di 'contro-democrazia', come l'ha definita lo storico Pierre Rosanvallon. Il quale, in questo modo, non intende indicare un sistema di attività ostili alla democrazia. Al contrario, delinea un insieme di pratiche di controllo, sorveglianza e deliberazione, attraverso le quali 'la società esercita poteri di correzione e di controllo'. Non sono queste comunità informate, non-burocratiche, dinamiche e aperte di cui si compone la 'polis parallela', una sorta di prefigurazione rudimentale, un modello simbolico di quelle più significative strutture politiche 'post democratiche' che potrebbero diventare la fondazione di una società migliore?

Tutto ciò suggerisce di andare oltre le classiche coppie concettuali che hanno caratterizzato la riflessione teorica e la ricerca: fra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, fra democrazia sostanziale e reale, fra partecipazione e personalizzazione. Perché, fra questi riferimenti, si osservano fitte relazioni di reciprocità più che di ostilità e antagonismo. Appare più opportuno, semmai, come ha suggerito di recente lo studioso francese Pascal Perrineau, ragionare "su un nuovo tipo di azione democratica: una democrazia degli interstizi, una democrazia intermedia che si situa fra la classica democrazia rappresentativa e la mitica democrazia diretta". Per questo è necessario osservare le diverse manifestazioni di disincanto democratico con altrettanto disincanto. Rinunciando ad assumere come riferimento l'età dei partiti di massa, della partecipazione e della mobilitazione collettiva, delle passioni, del coinvolgimento in ideologie avvolgenti, dei grandi e lunghi orizzonti di valore. Questa età è passata, lasciando dietro di sé un'eredità contraddittoria. Suscita nostalgia soprattutto perché è passata. Non è detto che una democrazia più tiepida, con partiti più esili, leader più forti, una pluralità di luoghi di controllo e di partecipazione più o meno informali, un cittadino scettico e anche un poco cinico, ci riservi un futuro peggiore. n


Se la politica diventa impolitica



Il testo che pubblichiamo in queste pagine è una versione abbreviata del lungo saggio di Ilvo Diamanti che apparirà sulla 'Rassegna Italiana di Sociologia', nel fascicolo (3/2007) in uscita nei prossimi giorni per i tipi de il Mulino, e dedicato a 'Società e politica in Europa dopo la caduta del muro'. Oltre all'introduzione di Diamanti, da segnalare l'articolo di Fabio Bordignon ed Elisa Lello in cui si analizzano le trasformazioni del rapporto fra società e politica, nella vecchia e nuova Europa. Gli autori fanno riferimento a una ricerca condotta in sei Paesi europei, realizzata dal LaPolis (Laboratorio di Studi Politici e Sociali dell'Università di Urbino), dalla Fondazione Nord Est e da Demos & Pi su campioni rappresentativi della popolazione adulta (nel complesso: 6 mila interviste). Mentre Donatella della Porta si concentra sul rapporto tra partiti politici e movimenti sociali a partire da alcune ricerche empiriche sul 'movimento per la globalizzazione dal basso' .

Nessun commento:

Posta un commento