sabato 19 maggio 2012

DEMOCRAZIA IN ITALIA. CACCIARI M., Ma in Italia c'è la democrazia?, L'ESPRESSO, 29 marzo 2011


Il 'potere esercitato dal popolo' funziona solo se questo è capace di scegliere i migliori, non gli idioti populisti. Altrimenti si svuota, perde senso: diventa piaggeria verso gli elettori e compiacimento di una massa di infanti


Oggi che, da non molto per la verità, siamo felicemente tutti diventati democratici, dovremmo forse cercare di spiegarci che cosa intendiamo con questo termine. Esso si adatta poco agli entusiasmi ideologici da neofita e ha più a che fare con sobrietà, disincanto e, soprattutto, realismo. la domanda radicale è allora la seguente: che cosa possono, quale potere detengono e a quale potere possono oggi realisticamente aspirare i principi democratici? Non c'è dubbio che i loro limiti risultano più evidenti di giorno in giorno.

Scelte decisive per la nostra vita avvengono in ambiti e attraverso procedure sottratte per loro natura a ogni forma di "legittimazione" democratica e spesso anche di semplice controllo ex-post. Tuttavia proprio questo dovrebbe spingere a cercare in ogni modo di sfruttare al meglio i margini ancora concessi per l'esercizio di un "potere democratico". Nulla potrà mai impedire, per fare qualcosa più di un esempio, a capitali e merci di muoversi sotto la bandiera dell'"ubi pecunia ibi patria" (e ai poveri di andare dove sperano di trovare pane e lavoro) ma sono sempre possibili severe norme antimonopolistiche, armonizzazione delle politiche fiscali (almeno nell'ambito dell'Unione europea!), leggi che colpiscano il conflitto d'interesse a tutti i livelli, ecc.

La debolezza conclamata dell'idea democratica nei confronti delle "grandi potenze" dell'epoca, del "complesso" economico-finanziario e tecnico-scientifico, dovrebbe rendercela ancora più preziosa e indispensabile, e ancor più urgentemente invitarci a dimostrarne, pur in tutti i suoi limiti, una sua attuale efficacia. O altrimenti rassegniamoci alla nobile "difesa" del suo passato.

Come sono esistite "rivoluzioni conservatrici", forse oggi viviamo, più modestamente, in "democrazie della conservazione", caratterizzate da pachidermici tempi nell'assumere qualsiasi decisione - ma come sapranno confrontarsi tali regimi con una storia mondiale che sta assumendo caratteri del tutto rivoluzionari, rimane misterioso.

E già qui tocchiamo un punto essenziale. Attualizzare e rafforzare l'idea democratica, renderla capace di confronto effettivo con le "grandi potenze", significa disporre di una classe politica formata dai "migliori". Migliori in greco si dice "aristoi". E' paradossale ma, a un tempo, del tutto logico: democrazia esige aristocrazia. Il popolo esige, o dovrebbe esigere, di essere rappresentato dai migliori; non vogliamo correre il rischio di essere governati da idioti per diritti divini o successori, o da caste che si autoperpetuano. E' un'idea regolativa, ma serve a ragionare: se a un certo punto si avverte che la procedura democratica non funziona più nel promuovere gli "aristoi", ma magari proprio a rovescio, e che la classe politica ha come proprio fine l'investitura di cortigiani e fedeli, l'idea democratica perde di senso, prima ancora che di funzione.

Quando i partiti politici si riducono a oligarchie e comitati elettorali, quando selezionano invece che competenze economiche, giuridiche, istituzionali, retori, ideologi e portaborse, possono proclamarsi democratici da qui all'eternità, ma agiscono nei fatti per precipitare la democrazia a demagogia e populismo. Questi non rappresentano infatti che l'esito della crisi dell'idea di rappresentanza agli occhi dei "rappresentati".

Ma tutto dovranno fare i "migliori" tranne che "piaggiare" (da cui "piaggeria") e cioè lusingare, blandire, compiacere i "rappresentati". Sono appunto i populisti di ogni colore a trattare paternalisticamente il popolo, come una massa di infanti incapaci di intendere e far proprio un discorso che aspiri a essere se non vero, almeno verosimile. E' del demagogo procedere per seducenti "immagini", invece che ragionamenti. Un popolo maturo rifiuta chi non è responsabile nei confronti delle domande che esso pone (oppure chi presuma che basti ascoltarle!), ma ancor più chi non lo tratta da responsabile.

La democrazia entra in una crisi senza sbocco allorché il politico irresponsabile si sposa a un'opinione pubblica che, per i motivi più vari, abbia rinunciato alle proprie responsabilità, e cioè ai propri doveri. Quando il popolo cessa di essere formato da persone responsabili, allora vince necessariamente il demagogo che gli dice: eccomi qui, faccio io, adesso ti prometto...

Quando, invece, la persona comprende che il suo stesso "privato" ha interesse e valore pubblico, quando essa esige che siano applicati rigorosamente i principi di sussidiarietà, cuore dell'autentico federalismo, e che i suoi rappresentanti politici dicano in modo competente ciò che ritengono realisticamente essere il "bene comune" perseguibile, e a che prezzo, allora e soltanto allora la democrazia potrà iniziare a funzionare

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