domenica 20 maggio 2012

SOCIOLOGIA POLITICA E DEMOCRAZIA IN CRISI. ADORNO T., Leadership democratica e manipolazione delle masse (1950)


Le origini autenticamente democratiche del leader

   L’autore esordisce sostenendo che “l’idea di leader ha fatto la sua comparsa con l’ascesa della democrazia moderna. Esso si riferiva all’elezione, da parte di un partito politico, di persone a cui veniva data l’autorità di agire e di parlare a nome di quest’ultimo e che auspicabilmente fossero capaci di guidare la base attraverso l’argomentazione razionale” (181).



L’erosione della leadership e della democrazia in direzione autoritaria

   E’ a partire da un testo della sociologia politica del primo Novecento (Robert Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna) che avrebbe inizio la progressiva erosione della democrazia e della figura del leader così come si erano venuti configurando nella versione datane da Rousseau. Un serie di motivi starebbe alla base di questo processo: l’aumento dei partiti; la loro dipendenza da interessi concentrati nelle mani di pochi; la riduzione della pratica democratica al meccanismo del voto; l’allontanamento dalla base; i tratti autoritari dei leader come hanno mostrato gli esempi del fascismo e del nazismo. Alcuni di questi meccanismi, scrive Adorno, sono stati descritti da Freud in “Psicologia di massa ed analisi dell’Io” (1921), specie quelli dell’identificazione e della introiezione autoritaria (Freud ne parla a proposito dell’organizzazione dell’esercito e della Chiesa). Il momento attuale, continua Adorno, dimostra il perdurare di queste tendenze cosicché continuo è il rischio che “la democrazia allevi dentro di sé forze e movimenti anti-democratici” (182).

Come recuperare l’autentico senso della democrazia: verso l’illuminismo democratico

   Che cosa non va delle pratiche democratiche attuali? In primo luogo il fatto evidente a tutti “che la maggioranza delle persone spesso agisce in cieca conformità con il volere di istituzioni potenti o di figure demagogiche andando contro sia ai concetti di base della democrazia che ai propri interessi razionali. Applicare l’idea di democrazia in modo semplicemente formalistico, accettare la volontà della maggioranza di per sé, senza riflettere sul contenuto delle decisioni democratiche, può portare ad una completa distorsione della democrazia stessa ed, in ultima istanza, alla sua fine. Oggi, forse più che mai, il compito della leadership democratica è rendere i soggetti, democratici, le persone, coscienti delle proprie necessità e bisogni, di contro alle ideologie che vengono martellate nelle loro teste dagli innumerevoli messaggi tesi a favorire interessi personali. I cittadini devono giungere a comprendere che, se i principi della democrazia vengono violati, l’esercizio dei loro diritti viene, a rigor di logica, reso impossibile; essi vengono ridotti, da soggetti capaci di autodeterminazione, a oggetti di torbide manovre politiche. In una epoca come la nostra, in cui l’incantesimo di una cultura di massa in grado di controllare le coscienze è diventato pressoché universale, la comprensione di un simile postulato assume caratteri quasi utopistici” (183). Come contrapporsi, allora, a questo incantesimo mistificatorio? Per Adorno esistono i mezzi per sottrarsi a questa presa incantatoria e mistificante; essi sono i mezzi che la cultura illuministica, razionale, scientifica e, come tale, demistificante, ha messo, da tempo, a disposizione di tutti: “Ciò che va perseguito è l’emancipazione delle coscienze, non un loro ulteriore asservimento. Un leader veramente democratico dovrebbe astenersi da ogni calcolo di tipo psico-tecnico, da ogni tentativo di influenzare le masse o gruppi di persone facendo riferimento sull’irrazionalità. In nessuna circostanza i soggetti dell’azione politica e sociale vanno trattati come oggetti a cui vendere idee (…) gli esseri umani non sono semplice materia grezza da plasmare a piacimento” (184).

Dalla propaganda alla pratica della verità

   Un errore che l’illuminismo democratico dovrebbe evitare è quello di imitare, copiare le pratiche propagandistiche così diffuse anche nel modo di fare politica. Adorno ricorda l’esempio di una organizzazione politica tedesca, la Reichsbanner Schwarz-Rot-Gold che, nel tentativo di contrastare il nascente movimento nazista, finì per copiarne, ma in modo ridicolo e fallimentare, le simbologie e le tecniche propagandistiche. Una autentica leadership democratica “non dovrebbe mirare ad una migliore e più estesa propaganda, ma sforzarsi di superare lo spirito stesso della propaganda attraverso una stretta adesione al principio della verità. Nella sua lotta contro Hitler, la leadership degli alleati riconobbe questo principio e contrastò la propaganda tedesca attraverso la semplice enunciazione dei fatti” (185).

   Certo l’obiettivo non è semplice. Adorno ricorda i meccanismi di cui si serve la propaganda e su quali leve psicologiche essa poggi: la propaganda “si pone al livello dei più stupidi, non è razionale e fa presa sulle emozioni”. Questa formula ha funzionato sia nei regimi totalitari che in quelli “commerciali” il cui esempio più evidente è rappresentato dagli USA: “Anche qui la propaganda è oggetto di forti pulsioni libidiche. In una cultura commerciale in cui la pubblicità è diventata una istituzione pubblica di dimensioni spaventose, le persone sono emozionalmente legate non solo ai contenuti che vengono reclamizzati, ma agli stessi meccanismi propagandistici” (186).

Le masse possono respingere le strategie propagandistiche

   Adorno ripete spesso, nel saggio, l’idea secondo cui le masse non sono immature o irrazionali come, invece, molti sostengono. C’è un potenziale, in esse, di autonomia e spontaneità enorme; inoltre oggi si vive in una epoca in cui il progresso tecnologico ha reso le persone “razionali, attente, scettiche, resistenti ad imbonitori di ogni tipo”. Per cui non è il caso di disperare: esistono forti controtendenze rispetto ai “modelli ideologici che pervadono il nostro clima culturale” (183).

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