mercoledì 9 maggio 2012

DEMOCRAZIA IN CRISI. DIAMANTI I., L'ARISTOCRAZIA DEMOCRATICA TRA LIMITI E VIRTÙ, LA REPUBBLICA, 19 dicembre 2011

Questa manovra non piace agli italiani, ma la fiducia nel governo - e soprattutto nel premier - resta ancora alta. È ciò che emerge dai sondaggi condotti dai principali istituti demoscopici in questa fase. La manovra appare poco equa, per non dire iniqua, alla maggioranza della popolazione.

Nell'insieme ma anche nel dettaglio: considerando i singoli provvedimenti. Soprattutto quelli che riguardano le pensioni, l'aumento dell'Iva e l'Irpef. Nel complesso: troppe tasse e pochi interventi che favoriscano la crescita. Le liberalizzazioni, la patrimoniale; anche gli interventi sui costi della politica e dei politici: rinviati a un secondo momento. Con il dubbio che il rinvio divenga permanente. Come altre volte - troppe volte - è già successo, in passato.

Nonostante tutto, però, la fiducia nel "governo dei tecnici", fra i cittadini, è ancora molto elevata. Intorno al 50%, se si rilevano solo i giudizi più positivi (come fa l'Ispo di Mannheimer). Superiore al 60% se si calcolano anche le valutazioni comunque "sufficienti" (secondo le stime dell'Ipsos di Pagnoncelli). La fiducia "personale" nei confronti del presidente del Consiglio, peraltro, risulta ancora superiore, di quasi 10 punti percentuali. Certo: rispetto ai giorni della fiducia al governo l'indice di soddisfazione è sceso. Ma il sentimento sociale, allora, era condizionato dal timore - per certi versi, dal panico - suscitato dai mercati. Dall'impotenza dimostrata dal governo Berlusconi, che ne avevano accentuato ulteriormente l'impopolarità. Ora le paure persistono. E, in aggiunta, è stata varata una manovra "costosa", sul piano sociale. Discutibile e discussa. Accolta dalle proteste del sindacato. Dall'opposizione della Lega e dell'Idv. Sostenuta dal Pd e ancor più dal Pdl con molte riserve. Senza che la credibilità del governo e di Monti sia stata compromessa. Anzi.

Provo a indicare alcuni motivi di questo contrasto.

1. C'è, anzitutto, la percezione del "male necessario". La manovra non piace, ma i mercati - meglio: i Mercati - e i governi europei più influenti (Bce compresa) la chiedono. Anzi, la esigono. Va inghiottita come una medicina amara. Poi, prevale fra i cittadini il sentimento del "sacrificio finalizzato". Come negli anni Novanta, quando gli italiani pagarono, senza lamentarsi troppo, finanziarie onerosissime. Per non essere esclusi dalla Ue. Per entrare nell'Unione monetaria. Amato e Ciampi, "responsabili" di quelle manovre, non vennero sfiduciati dai cittadini. Perché erano ritenuti "credibili". Come Monti e i suoi "tecnici", oggi.

2. È questo il secondo motivo. La "credibilità" riconosciuta a persone ritenute in grado di mettere gli interessi del Paese davanti ai propri e a quelli di partito. In grado, anche per questo, di riqualificare l'immagine dell'Italia - e degli italiani - in Europa (e non solo). Deteriorata fino alla caricatura dall'esperienza precedente.

3. La "credibilità" dei tecnici al governo è enfatizzata dal confronto con i soliti noti. Quelli che governavano prima. Quelli che stanno in Parlamento. I "politici". Mai tanto impopolari come oggi. Il clima antipolitico che pervade il nostro tempo ha agito, cioè, da fattore favorevole per il governo Monti. Gli stessi limiti delle scelte effettuate da questo governo, le marce indietro, i compromessi: vengono imputati ai "politici". Ai partiti e alle lobbies, che legano le mani ai professori. Le resistenze del Parlamento nei confronti del taglio dei vitalizi sono interpretate come un'ulteriore conferma del paradigma antipolitico. Hanno fatto della "casta" il capro espiatorio ideale della frustrazione sociale. Così, mentre la fiducia nel governo resta molto alta, la credibilità dei partiti è scesa ulteriormente. Ai minimi storici. Le stime elettorali, non a caso, premiano ancora il Pd, ritenuto il partito più "coerente" con l'esperienza del governo. Ma registrano anche la tenuta della Lega e dell'Idv: collettori del malumore sociale. A cui sarebbe difficile, però, affidare la missione "costruttiva" di guidare il Paese.

4. Il dibattito parlamentare sulla manovra ha allargato il contrasto fra tecnici e politici, agli occhi dei cittadini. L'immagine del ministro Giarda che legge la dichiarazione del governo, basito e attonito, di fronte a un Parlamento ridotto a una bolgia dalla plateale protesta leghista, è emblematica. Come la replica, pedante e puntigliosa, di Monti. Indisponibile a sentirsi definire "disperato". E impotente, come chi lo ha preceduto. Questione di stile. Ma anche di sostanza. In tempi dominati dalla "politica pop", dove per anni - e da anni - i politici hanno inseguito gli umori sociali, riproducendone vizi e debolezze, in modo iperbolico. Il governo "tecnico" appare, invece, un'icona della "normalità". Dove governano persone grigie (anche quando vanno in tivù). Ma competenti. Più di noi. (Altrimenti perché ci dovrebbero governare?).

Da ciò il paradosso di un governo che, per ora, non paga il prezzo "politico" delle sue scelte "politiche". Perché non sono considerate "politiche". Ma "tecniche". E dunque: ineluttabili. Semmai, condizionate dai "politici". Un governo "premiato" dalla differenza rispetto agli uomini politici e di governo del passato recente. Reclutati in base alla fedeltà. Titolari, agli occhi dei cittadini, di privilegi immeritati. (Se non sono migliori di noi, perché mai dovrebbero godere di trattamenti particolari?)

Naturalmente, questo "stato di emergenza" non può durare all'infinito. Questo governo, composto da tecnici, non potrà "scaricare" a lungo sul Parlamento e sui partiti l'insoddisfazione sociale sollevata dalle conseguenze della crisi. Né la frustrazione prodotta dalle politiche economiche e fiscali. Inoltre, difficilmente potrà promuovere interventi a favore della crescita e delle liberalizzazioni, senza il sostegno del Parlamento e dei partiti. Particolarmente sensibili agli interessi e alle pressioni di categorie sociali grandi ma anche piccole. Per la stessa ragione, gli riuscirà difficile realizzare, se non riforme istituzionali, almeno quella elettorale. Necessaria per restituire ai cittadini un maggiore controllo sugli eletti. Questa sorta di "aristocrazia democratica". Non può durare all'infinito. Ma può servire. Non solo ad affrontare l'emergenza economica. Ma a restituire fiducia e dignità alle istituzioni. A rivalutare la competenza, i comportamenti, la credibilità, lo stile come virtù democratiche. E non come meri accessori "tecnici". Di secondaria importanza per la politica e il governo.

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