martedì 2 giugno 2015

ELEZIONI REGIONALI. LE RAGIONI DELL'ASTENSIONE. A. GILIOLI, Se tu mi escludi tutta la vita, L'ESPRESSO, 2 giugno 2015

Come previsto, è già quasi sparito dal dibattito pubblico il vero macrofenomeno emerso dalle elezioni del 31 maggio, cioè la diserzione delle urne. Eppure non era mai accaduta una cosa così: ad esempio, che in due grosse regioni come Toscana e Marche l'astensionismo superasse il 50 per cento, una roba che se fosse un referendum abrogativo, la consultazione non avrebbe neppure valore. Ma anche altrove le cose non sono andate molto diversamente e in nessuna regione si è arrivati al 58 per cento di votanti.


L'Istituto Carlo Cattaneo ha diffuso qualche dato storico, in proposito, mostrando come da vent'anni la partecipazione sia in calo rapido in tutte le consultazioni (europee, politiche e amministrative), con un'accelerazione negli ultimi dieci. L'Swg ha invece cercato di capire da quali partiti provengono i nuovi astenuti, cioè quelli che un anno fa avevano votato e domenica no: in Liguria, ad esempio, il 30 per cento di questi aveva votato Forza Italia, il 23 per cento M5S, il 20 per cento Pd. In Veneto il Pd ha ceduto il 6,2 per cento del suo elettorato al non voto, in Campania il M5S ha regalato all'astensionismo 12,4 punti rispetto alle europee, mentre in Puglia è Berlusconi che perde cinque punti verso i non votanti (dati qui).
Ma aldilà dei casi specifici, l'emorragia verso il non voto riguarda tutti i partiti tranne uno: quello di Salvini. Che dagli astensionisti ha più preso che ceduto.
Che cosa sta succedendo, allora, al netto delle diverse concause a cui si èaccennato ieri? Probabilmente un fenomeno molto interessante e altrettanto inquietante, a cui si può accennare per via intuitiva ma sarebbe meritevole di analisi più scientifiche.
Sta cioè accadendo che vediamo gli effetti nelle urne (anzi, nell'abbandono delle urne) di quel nuovo confuso blocco sociale che è stato chiamato "maggioranza invisibile", l'aggregato enorme degli esclusi: i precari, i disoccupati, i lavoratori occasionali, i giovani "neet", le partite Iva da mille euro al mese (se non si ammalano) - e così via.
Si tratta di 20-25 milioni di persone, lontanissime dall'avvertirsi come corpo coeso e come proposta politica: è solo un immenso pulviscolo disperato e senza rappresentanza. Che ogni giorno si convince di più (e chi può dargli torto?) che la politica non fa nulla per loro: in parte perché svuotata di buona parte dei suoi poteri, in parte perché più interessata a coltivare blocchi sociali più omogenei al loro interno quindi più facilmente raggiungibili da provvedimenti che creano immediato consenso (pensate agli 80 euro, ma anche al "bonus" per i pensionati).
Questa mezza parte del Paese si sente appunto esclusa: dall'economia e dalla politica. Che avverte - entrambe - come lontane e nemiche.
E se tu mi escludi tutta la vita, perché pretendi di coinvolgermi solo il giorno delle elezioni?
Segue l'effetto spirale: se tu non voti, non sei considerato bacino di consenso né la politica avverte alcuna accountability nei tuoi confronti, quindi sarai sempre più escluso. E così via all'infinito, con una crescita continua del fenomeno: dato che la robottizzazione della produzione aumenta(strutturalmente e progressivamente) l'esclusione dal lavoro, quindi economica, quindi sociale.
In questo quadro però c'è una variante, un'eccezione: Salvini. Che è riuscito a vendere mediaticamente a molti la formula secondo la quale se tu sei economicamente un escluso è colpa dei migranti, degli zingari e dell'euro: tolti questi ostacoli, tutto andrebbe molto meglio. In questo modo Salvini ha raccolto una parte, seppur non maggioritaria, della fetta di cittadini propensi al non voto.
In altre parole Salvini si è inserito nel modo più semplice e diretto - per quanto menzognero - all'interno della dialettica tra cittadini esclusi e Palazzo. Offrendo ai primi una spiegazione molto semplice della loro esclusione e una soluzione altrettanto facile per superarla: via l'euro, via gli zingari, via gli immigrati. Con la ruspa.
È presto naturalmente per dire  quanto a lungo questa formula funzionerà. Anche il Movimento 5 Stelle, ad esempio, aveva attratto e coinvolto una fascia (pure maggiore) di esclusi, nel 2013: ma ne ha poi persa una parte per strada quando la protesta non ha rapidamente portato ai cambiamenti concreti che stavano nelle aspettative degli elettori. I quali oggi vogliono vedere in fretta qualche risultato (altro che l'eterna pazienza degli operai comunisti di mezzo secolo fa), altrimenti tornano a non votare o guardano altrove. Infatti a questo giro anche il M5S ha subito un'emorragia verso l'astensionismo.
In tutto questo, per chiudere, non è pervenuta in alcun modo la sinistra, più o meno radicale. La sinistra che per ragione sociale dovrebbe essere la maggiore rappresentanza degli esclusi. E che invece è fuori gioco, dato che la partita degli esclusi si gioca tra astensionismo, Salvini e Movimento 5 Stelle. E uno di questi due alla fine rastrellerà una quantità di esclusi sufficiente a sfidare, al prossimo ballottaggio, il rappresentante degli inclusi, di quelli che stanno un po' meglio: cioè Renzi. Ed è inevitabile che sia così, in assenza di una sinistra che si pone come prioritaria e urgente la questione degli esclusi: dei loro interessi veri, della loro consapevolizzazione sociale e quindi della loro rappresentanza.

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