
Ma cosa è stato Berlusconi per l’Italia? Ha segnato il primato del privato e del personale sul pubblico e sul politico. Partì dalla libertà come deregulation, fondendo la lezione di Reagan con la libertà dei costumi del Sessantotto, di cui fu il lato b. Berlusconi fu più l’effetto che la causa della mutazione italiana, la sua leadership oppose il presente al passato, gli anni Ottanta agli anni di piombo, l’America al Soviet, Drive in alla Sezione.
Non ha oppresso, semmai ha viziato gli italiani, è stato permissivo più che dispotico, vi ha assecondati e lusingati, non certo raddrizzati e sottomessi con la forza. Per bucare la vostra attenzione ibridò il lessico ludico-sportivo e commerciale col linguaggio domestico, sentimentale e televisivo, fu attore protagonista della via italiana all’americanizzazione, tramite una fiction politica fondata sull’appeal personale e sul mito del self made man. È stato la gigantografia dell’italiano medio, la sua amplificazione vincente, in talento e sbruffoneria; inventò la politica confidenziale in cui ogni messaggio era una richiesta d’amicizia. Volle compiacere, chiese simpatia più che rispetto e raccolse con la simpatia anche un odio diffuso e radicale, come nessuno. Partì dall’antipolitica ma poi rifondò la politica sul conflitto più aspro.
Fu il Nemico. Rappresentò l’irruzione del presente, della vita, della tv, fuori dalla drammaturgia nazionale e dal senso dello Stato. Re seduttore e un po’ sultano, lo colse il terrore della vecchiaia e della morte, cercò il lifting come categoria dello spirito, esibendo vitalità per esorcizzare il declino. Sostituì il carisma che attiene a epoche segnate dal sacro, dal mito e dalla storia, con la seduzione che attiene a un’epoca dominata dal mercato, dal sesso e dalla pubblicità. Dalla caduta del suo ultimo governo smise di far politica e curò solo i suoi interessi personali, circondato da un alone nefasto di badanti: il neoberlusconismo è il residuo amaro e risentito del berlusconismo. Alla fine della sua parabola lasciò il vuoto che aveva trovato e riempito: il berlusconismo si dissolve nel nulla anche se lui resta nella storia della nostra Repubblica. Il vuoto della politica partorì Berlusconi e lui la desertificò. E dal Nulla nacque Renzi.
Da uomo di destra da una vita non posso tacere il disagio davanti alla lunga, indecorosa agonia del centro-destra in Italia. In partenza quella Casa aveva quattro vani, anzi tre camere e un salone, cioè offriva agli italiani quattro varianti: la destra di Alleanza Nazionale, la forza popolana della Lega, i moderati ex democristiani, unite dal pragmatismo popolare e populista di Berlusconi. A uno a uno sono venuti meno i 4 bastioni e i relativi leader (solo la Lega è risorta in autonomia, la destra accenna a rialzarsi, ma fatica).

La monarchia popolare di Berlusconi si è tradotta in monocrazia egocentrica, una specie di emirato su un territorio di sabbia e video. È umanamente comprensibile l’amarezza che porta dentro di sé Berlusconi, nessun leader politico è stato così avversato e detestato come lui; ma non si può ritenere che le istanze, gli interessi, i valori di un’area civile, politica e culturale variegata, che va dai liberali ai conservatori, dalla destra nazionale e sociale ai cattolici moderati e non progressisti, possano essere cancellati nel nome di una fedeltà cieca e suicida a un leader e al suo regno “pascalizzato”.
Chi vi scrive non è mai stato berlusconiano e tantomeno anti, avendo ritenuto il centro-destra - con tutti i suoi limiti - l’inevitabile riferimento per chi proviene da una storia e una cultura di destra; e in questa chiave ha difeso Berlusconi dai massacri mediatico-giudiziari. Ma poi arriva il tempo necessario che il re abdichi. Berlusconi detiene ancora un residuo appeal: ma non esprime più una posizione che rappresenti quell’area, non intercetta più gli umori del Paese, non ha più l’età e non trasmette più energia, non ha lasciato eredi o eredità politiche e ha lasciato disperdere una classe dirigente; la solitudine è cresciuta intorno a lui e alla sua cerchia. E la sua competizione con Renzi è perdente perché il renzismo è una terapia omeopatica del berlusconismo, trattandosi di un berlusconismo dalla parte “corretta” e in versione aggiornata, giovanile.
Renzi riprende il suo ottimismo, i suoi annunci, il suo porsi come vincente, richiamandosi alla sovranità del Fatto e del Consenso rispetto alla iettatoria influenza del Pensiero e del Partito. L’unica vera differenza tra i due è che Berlusconi parlava al ventre largo dell’Italia moderata e radicale, ma non varcava i confini della sinistra che restava avversa; anzi su quel confine lui imbastiva la sua chiamata alle armi. Renzi invece si rivolge col suo Partito della nazione all’Italia tutta, da destra a sinistra, dai moderati ai progressisti, escludendo solo le ali radicali. Berlusconi permaneva nello schema bipolare e capitalizzava i consensi in chiave anti-sinistra, Renzi va verso il centrismo aspiratutto e si annuncia come il Presente contro il Passato. L’opposizione a lui è frammentata in più versanti e non concentrata in un polo antagonista: un leader-premier al centro e una costellazione di oppositori in periferia. Questa non è una democrazia, ma un sistema solare.
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