domenica 19 giugno 2016

LICENZIARE E' DI SINISTRA. B. MANFELLOTTO, Ora è di sinistra licenziare 
i furbetti del cartellino, L'ESPRESSO, 18 giugno 2016

E in effetti  fa una certa impressione vedere sulla prima pagina dell’“Unità”, quotidiano pur sempre fondato da Antonio Gramsci, un editoriale dal titolo “Quando licenziare è di sinistra”. Già, quando? Leggiamo: «Licenziare chi non lavora non solo è giusto, ma è anche di sinistra. Può sembrare scontato che mandare a casa chi non fa il proprio dovere rubando tempo e denaro anzitutto ai propri compagni di lavoro sia un atto così normale da non meritare commenti. Purtroppo non lo è se l’ovvio (“Gli assenteisti saranno licenziati”) diventa un titolo per tv e giornali: nella pubblica amministrazione non è detto che è licenziato chi non si presenta in ufficio o timbra il cartellino e poi va in palestra o a fare la spesa».



Un altro tabù che cade? L’ennesimo colpo di Matteo Renzi alla vecchia Italia? La seconda puntata della sua “violenta lotta alla burocrazia” (Salone del mobile di Milano, 2015)? Il Cinico, variante del Gufo, avanzerebbe dei dubbi. Se non altro perché di guerra contro una pubblica amministrazione lenta, farraginosa, inefficiente e magari pure corrotta si parla almeno da un secolo. Invano. Dello strapotere dei mandarini di Stato si lamentava già Mussolini; dopo la guerra, don Luigi Sturzo mise al primo punto di un programma di governo proprio la riforma della pubblica amministrazione; più tardi Guido Carli se la prese con i “lacci e i lacciuoli” che frenavano l’impresa; all’argomento hanno dedicato il loro impegno di governo studiosi come Massimo Severo Giannini e Sabino Cassese; il leghista Roberto Calderoli, bagnato dalle sacre acque del Po e sceso a Roma dal produttivo nord, non andò molto oltre un pirotecnico fuoco di cartacce in un cortile ministeriale, simbolo della missione - ahimè fallita - di disboscare il groviglio di leggi che bloccano la macchina pubblica; poi toccò a Renato Brunetta che partì lancia in resta, ma portò a casa molte polemiche e scarsi risultati.

Già, Brunetta. A sentir lui era già tutto scritto nella sua riforma del 2009, che bisogno c’era che Marianna Madia ne facesse una tutta sua? Intanto a sinistra regna la massima confusione. Secondo Francesca Balzani, candidata a succedere a Pisapia al Comune di Milano, «è solo demagogia»; Stefano Fassina, invece, leader degli scissionisti del Pd, è d’accordo non con lei ma con Renzi; sul fronte opposto a lui Susanna Camusso, leader della Cgil che, a differenza di suoi illustri predecessori, si trova a giocare una partita a ruoli invertiti: Lama o Trentin faticavano a smuovere il Pci dalla difesa dello status quo, lei dice di no a ogni novità provenga dal suo partito di riferimento (articolo 18, Jobs Act, assenteisti).

Finora, però, diciamo la verità, è stato tutto un chiacchiere e distintivo. Certo, è vero che grazie a Brunetta già ora si può licenziare, ma i tempi lunghi dell’istruttoria (venti giorni per incastrare il reo, altri venti perché si difenda) e della macchina giudiziaria (da 60 a cento giorni per una sentenza), senza contare la marea di ricorsi, ha fatto sì che su circa 7mila denunce per assenteismo solo un centinaio si siano tradotte in interruzione del rapporto di lavoro. Come se la legge non ci fosse.

Adesso si vorrebbe fare più presto: entro 48 ore sospensione cautelare dal lavoro e dallo stipendio a fronte di reati gravi (rubare, timbrare il cartellino per altri, attestare il falso), cinque giorni per il diritto alla difesa.

Funzionerà? Presto per dirlo. La norma, come accade spesso con la via renziana al governo, ha soprattutto un forte valore simbolico e psicologico. Tanto che sarebbe bello non ci si fermasse qui, anzi che fosse l’occasione per una bella ramazzata al peggio della burocrazia. Breve elenco: i certificati falsi firmati da medici disonesti e compiacenti, invogliati anche dallo scarso controllo esercitato dall’amministrazione; la corruzione dilagante e non punita (250 colletti bianchi in carcere in Italia, 7mila in Germania); dirigenti che rifiutano di assumersi le responsabilità legate alla carica, ma che a fine anno si autoassegnano un premio di produttività. Tutti.
E sì, la lotta alla burocrazia deve essere davvero “violenta”, e per combatterla ci vuole molto coraggio. Nessuno finora c’è riuscito. Giulio Andreotti addirittura la sconsigliava, lui i burocrati piuttosto li curava e li coccolava. Anzi per centinaia di loro (“Andreotti”, Massimo Franco), in carica o no, organizzava ogni anno una grande “festa del ringraziamento”. Perché anche da ex respirassero l’aria del Potere.

Twitter @bmanfellotto

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