In relazione all’articolo di A. de Benoist, dove quest’ultimo scrive una recensione sull’ultimo libro di Michéa1, ricordo che Michéa ha citato un vecchio libro: J. Baudrillard, La sinistra divina, Feltrinelli, Milano 1986, edizione orig. Francia 1985. Ma è incredibile come rimanga viva ancor oggi la carica polemica di tale agile pamphlet, arte nella quale i francesi eccellono, e Baudrillard in particolare era un maestro2. Quel che, a me, “personalmente”, mi lascia esterrefatto è che son passati (all’anno prossimo) ormai trent’anni, dico trenta lunghi anni, e pare “come se” questo libro non fosse mai stato scritto. Questi lunghi trent’anni caratterizzati dall’“indignazione a giorni alterni”, come qualcuno ha efficacemente scritto, ma sempre per ragioni polemiche ed immediate, come quasi tutto oggi: e sulle polemiche a me interessa non zero, ma sottozero d’entrarci. Dopo che hai vinto in una polemica, cos’è cambiato? Se non è cambiato nulla, se la situazione rimane statica, la polemica è stata inutile. Questo libro è molto utile anche per i tanti “protestatori” dell’ultima ora che, scusatemi, a me ricordano, tantissimo, la “rivolta senza scopo” di cui parlò, in illo tempore, lo stesso Evola.
1. "L'uomo e la donna che ignorano che cosa sia il mondo, non sanno dove essi stessi si trovino" (M. Aurelio) - 2. “Quel grande | che temprando lo scettro a' regnatori | gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela | di che lagrime grondi e di che sangue” (U. Foscolo)
giovedì 15 agosto 2024
SOCIOLOGIA DELLA POLITICA. BAUDRILLARD E UN PAMPHLET DEL 1986 IANNIELLO A. A., Baudrillard, la "sinistra divina" e il mito, ARIANNA EDITRICE, 22.05.2014
Ed allora esaminiamo, in breve, questo pamphlet. Vi è una “vis polemica” in senso buono, non le “incazzature” à l’italienne, veri “attacchi d’orso” ciechi e distruttivi, ma la precisa enucleazione, con linguaggio rapido ma sapido, dei punti deboli della sinistra che si pretende “divina” ed entrata nel “Gotha” del “sistema”: e già allora, quasi trent’anni fa! Ma ci rendiamo conto! E poi c’è il passo, detto en passant, che spiega l’“arcano” della vicenda, il perenne fallimento della “sinistra” che, come Poulidor, sta sempre lì lì per vincere, e poi, sotto al traguardo, perde sempre. La sinistra, sostiene Baudrillard, vuole liberarsi nei termini dei valori della borghesia, e dunque inevitabilmente fallisce, per una sua ragione intrinseca. La borghesia sì, al contrario, continua Baudrillard, instaura una cesura sul piano dei valori, quando ha sostituito i valori della casta e della nascita con quelli dello sviluppo e della produzione. Ed allora perché la sinistra ha oggettivamente avuto una sua fase di successo, seguita dal nulla in cui versa da più d’un decennio? Perché la sinistra opponeva al mito dello sviluppo – sì, quello cui oggi tutti rendon omaggio, pur essendo febbraio, lo sviluppo che tutti vogliono “rimettere in moto” ma che il “sistema” stesso ha annullato, ed oggi non è altro se non un simulacro di sviluppo -, la sinistra opponeva, si diceva, al mito dello sviluppo senza fine il mito della fine: ed era la “rivoluzione”, fatto mitico, non storico.
Qui Baudrillard centrò, senza rendersene conto davvero, e portato soltanto dalla sua notevole, ma sapida ed intelligente, “vis polemica”, il nocciolo della situazione, l’essenza del problema. Senza un “mito” non si va da nessuna parte! A ben poco portano le “incazzature”, in nulla si risolvono le critiche della situazione attuale se basate solo su fattori politici ed economici3. No, senza un mito fondante non si va da nessuna parte. E noi viviamo di ed in tali “miti fondanti”, taluni molto aggressivi e per nulla miti. Quello della razionalità tecnico-scientifica, che domina il mondo, è anch’esso un mito. Attenzione: non sto proponendo di abbandonare la razionalità, ma equiparare ogni forma di razionalità a quella tecno-scientifica dominante è un mito, una narrazione fondante. Non è una verità storica. Ma la storia, da sola, non spiega se stessa. La storia implica e necessita di una meta-storia che dia senso ad essa. Né voglio pensare che il mito possa essere la realtà tout court, infatti Jünger sottolineava che il mitico può essere solo come una eruzione temporanea nella struttura del reticolo storico e, per di più, nella forma del “puer aeternus”, piuttosto che in quella dei “padri fondatori”. Accetto, concordo e sottoscrivo: solo una espressione temporanea del mitico e in quelle forme da lui dette (il “puer aeternus”, cioè) può impedire di ricadere nelle aberrazioni del “ritorno pieno e completo al mitico” che il nazionalsocialismo, più di altri, tentò, fallendo4. E tuttavia questa giusta osservazione di Jünger ed il fatto che un ritorno pieno al mitico sarebbe oggi senza dubbio regressivo, non toglie il fatto che noi abbiam bisogno della dimensione mitica per poter operare una opposizione con un senso. Dunque ristretta tale dimensione, indirizzata verso solo certi suoi aspetti, però assolutamente necessaria. Il nostro tempo, schiavizzato dal mito della razionalità tecno-scientifica, è al tempo stesso il tempo delle fughe nell’irrazionale più becero: fra i due fenomeni vi è correlazione diretta. Non è assolutamente un caso che le due cose coesistano.
Oggi sia il mito della “rivoluzione” sia quello della “razza” sono sviliti, chimerico richiamarcisi, nonostante le poche forze che resistono alla “Grande Mutazione” sistemica in atto si richiamino a tali ferrivecchi. Ma di un mito abbiam bisogno. Quale? Taluno ha proposto l’“euroasismo” à la Dugin, che ricordo leggevo una ventina d’anni fa: lo trovo ancora troppo moderno. Non si esce con forme moderna dalla “fine del mondo moderno”5, così come la febbre a trentanove non è una cura della febbre a quaranta ma solo una sua forma più blanda. Solo un mito che tragga le sue origini da qualcosa di non moderno ha oggi una possibilità di realmente incidere sulla e nella situazione. Per “realmente incidere” non intendo strillare o esprimersi o parlare: questo ne abbiamo a iosa, ma nulla cambia nella sostanza. E davvero questa emulsione di parole impotenti è silenzio: non porta che al nulla in cui già viviamo e siamo.
A la recherche du mythe perdu.
1Sul blog idee/inoltre: http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/01/alain-de-benoist-michea-basta-con-la.html.
2Ricordo, sempre di Baudrillard, Dimenticare Foucault e All’ombra delle maggioranze silenziose.
3Peraltro direi che sono venti o trent’anni di “critiche” che in nulla hanno scalfito il consenso verso un sistema che, come il Saturno del mito (mo’ ce vo’), ormai divora i suoi sottoposti (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Saturno_che_divora_i_suoi_figli).
4Su ciò cfr. http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/02/roberto-franco-giorgio-galli-e-il.html. Si tratta di quel genere di cose che i nostri cari amici della “destra rattrappita”, degni compari della “sinistra auto-divinizzatasi” ed entrata nel “Gotha” delle anti-élite al governo del mondo, trovano così difficile ed indigesto da ammettere, forse perché mette in questione certe loro convinzioni. Ma mettere in questione delle convinzioni che, alla prova dei fatti, hanno fallito è la cosa più sana del mondo. Purtroppo viviamo il tempo delle parole che, quali nere arpie svolazzanti, strombazzano ed attraversano il mondo come delle armi e cioè senza quasi più nessun legame con il significato delle parole stesse. E dunque i simulacri della “destra storica” oggi sono usati per sostenere l’esatto contrario di ciò che quelle parole dovrebbero significare e chi, come Haider, ha tentato una qualche attualizzazione di certe tematiche fuori dalle solite retoriche è stato fatto fuori, per lo meno politicamente (qualcuno anche fisicamente, si dice). Ci si è scordati che le parole devono il loro valore al loro senso. Non devono il loro valore all’essere usate strumentalmente, ma noi viviamo in un mondo di simulacri e del “falso radicale”.
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