Alle elezioni europee del 2019 Fratelli d’Italia si presentò con un simbolo elettorale in cui, insieme alla Fiamma tricolore, campeggiava la scritta “conservatori e sovranisti” per rappresentare il tentativo di sintesi tra queste due impostazioni politiche, diverse ma potenzialmente complementari. Fu quello il momento in cui il Movimento Nazionale per la Sovranità si sciolse e confluì in Fdi, in un processo di aggregazione molto più vasto che di fatto avviò l’inarrestabile crescita di consensi del partito di Giorgia Meloni.
Sono passati poco più di tre anni e Fratelli d’Italia ha compiuto una forte virata – culminata dopo lo scoppio della guerra in Ucraina – accantonando l’istanza sovranista e dando rilievo esclusivamente a quella conservatrice.
A sostenere questa scelta si sono delle verità profonde contenute nel messaggio conservatore. Citiamo Marco Tarchi in una recente intervista a Fanpage: “Ad aver ridato vigore e capacità di attrazione al conservatorismo sono gli eccessi dell’odierno progressismo. In un momento storico in cui quella parte politica, in tutto l’Occidente, preme l’acceleratore sull’indiscutibilità di qualunque diritto/desiderio individuale, in cui le tematiche Lgbt sono assunte come paradigma della “società giusta”, la cancel culture, l’ideologia woke, la gender theory, l’assolutizzazione dell’“inclusione”, l’elogio a prescindere dell’immigrazione, la celebrazione del multiculturalismo e del cosmopolitismo sono diventate la cifra identitaria di tutto ciò che si oppone alla destra, che quest’ultima si presenti come un argine e un’alternativa è addirittura ovvio.” Ed è questo infatti il cuore del messaggio di Fratelli d’Italia, quello che provoca l’indignazione pelosa della sinistra, le scomuniche dell’Unione Europea e, all’opposto, un forte grado di fascinazione nel mondo della destra e non solo.
Ma è sufficiente per costruire una politica di governo e, soprattutto, una prospettiva per la nostra Nazione? Basta accorgersi che questi temi non toccano direttamente la questione sociale e il problema dello sviluppo economico, per rispondere negativamente.
In realtà gli stessi temi identitari non sono indipendenti dalla sostenibilità del sistema economico e sociale. Domandiamoci, ad esempio, da cosa deriva il problema fondamentale di ogni popolo, in particolare del nostro, ovvero quello della natalità. Gli italiani non fanno più figli solo perché il consumismo e la gender theory creano un clima culturale avverso alla formazione delle famiglie e alla genitorialità? O, a livello popolare, non incide molto di più la mancanza di lavoro stabile e di tutele sociali che rende quasi impossibile alle giovani coppie sposarsi e crescere figli?
Ma c’è un’altra verità che Massimo Magliaro ha sintetizzato ricordando il motto “gratta il conservatore e trovi il liberale”. Nel corso del tempo, con l’avvento della globalizzazione, il conservatorismo classico – statalista e socialmente paternalista – ha lasciato definitivamente il campo al neo-conservatorismo di stampo anglo-sassone, liberal-liberista, ben oltre le prime devastazioni sociali dei modelli thatceriano e reaganiano (che rimanevano comunque ispirati da un forte nazionalismo). Il mercato globale impone una drammatica concorrenza economica tra i diversi Paesi, che alla fine si gioca sulla riduzione del costo del lavoro, dei consumi interni e delle tutele sociali e ambientali, una concorrenza resa ancora più feroce nell’Unione europea che ha privato i popoli della sovranità monetaria.
La libera circolazione dei capitali, delle merci e della forza lavoro – priva di ogni limite e controllo – distrugge ogni possibilità di costruire modelli di sviluppo fondati sulla crescita sociale, culturale e identitaria dei popoli. Così il neo-liberismo si mangia il conservatorismo, così come si è mangiato il popolarismo e le socialdemocrazie europee.
Solo nel sovranismo c’è l’antidoto a questi mali: solo un forte recupero della sovranità nazionale, popolare ed economica può permettere di elaborare modelli di sviluppo in grado di puntare sulla piena occupazione, sui consumi interni, sui diritti sociali e sull’identità comunitaria dei popoli.
E non è ovviamente un caso che questa richiesta di sovranità, come reazione ai disastri della globalizzazione, stia crescendo ovunque come rivendicazione popolare e populista, ponendo le basi di un nuovo mondo multipolare contrario al dominio unipolare degli Stati Uniti. Gli USA – grazie alla loro forza tecnologico-militare e nel nome del pensiero unico liberista – hanno imposto la globalizzazione e da allora la globalizzazione sta divorando la supremazia americana, nata dopo il crollo del Muro di Berlino.
Tutte queste tendenze sono esplose con l’invasione russa in Ucraina. I popoli europei, chiusi nei vincoli – innanzitutto culturali, comunicativi e di intelligence – della UE e della NATO, sono stati trascinati in una guerra che sta distruggendo le loro economie, portando verso una recessione che si annuncia drammatica. L’Unione Europea, invece di reagire a questi pericoli, li amplifica con una politica economica ottusamente legata alle regole ordo-liberiste, scritte nei Trattati, che impediscono investimenti pubblici a sostegno delle famiglie e delle imprese. L’Italia, per colpa del Governo Draghi, si è esposta in prima linea in questo conflitto, ignorando i messaggi di pace di Papa Francesco e la contrarietà a inviare armi che emerge da ogni sondaggio sul popolo italiano.
Tutto il centrodestra – a parte qualche uscita estemporanea di Matteo Salvini – ha sposato in pieno i temi proposti dalla “propaganda di guerra” occidentale. L’”operazione militare speciale” di Putin, da sciagurata reazione ad una insostenibile situazione geo-politica e identitaria, è diventata una guerra tra il bene e il male, sul cui altare bisogna sacrificare il nostro interesse nazionale e la nostra tenuta economica, amplificando al massimo tutti i problemi che già avevamo a causa della nostra appartenenza all’eurozona.
Ad ottobre, quando entrerà in carica il primo Governo italiano guidato da una donna (oltretutto di destra), si preannuncia la tempesta perfetta: crisi energetica devastante alla vigilia dell’inverno, recessione e inflazione legate insieme, austerità e divieti di scostamento di bilancio imposti da Bruxelles, pena il blocco delle erogazioni del Next Generation EU, rischio mercati sul nostro debito pubblico e aumento dei flussi migratori causati dalla congiuntura internazionale (con pronte condanne europee se proveremo a frenarli).
Eppure basterebbe riprendere quel minimo di sovranismo che è iscritto nel Dna della destra italiana per uscire vivi da questa tempesta. Portare l’Italia verso una posizione di neutralità attiva – sospendendo l’invio di armi e riducendo l’impatto economico delle sanzioni – per diventare il naturale interlocutore di una mediazione verso il cessate il fuoco. Usare tutto il nostro peso economico e politico (tutt’altro che secondario nel Continente) per far saltare il precario equilibrio su cui oggi si regge il rigorismo europeo, ricominciando a fare investimenti pubblici e politiche industriali che ridiano fiato al lavoro italiano. Ricordarsi che siamo immersi in un Mediterraneo alla disperata ricerca di nuovi–antichi protagonisti europei per costruire una vasta area di sviluppo. Entrare a vele spiegate, primi in Europa, in un mondo multipolare, a cui gli stessi Stati Uniti cominceranno ad adattarsi quando nel 2024 Donald Trump (o chi per lui) tornerà presidente.
Altro che fedeltà euro-atlantica al deep state dell’Amministrazione Biden…
In fondo nel Regno Unito – tornato di gran moda nel mondo con la morte della Regina Elisabetta – la Brexit è stata possibile grazie ad una collaborazione competitiva tra sovranisti e conservatori. Perché non dovrebbe accadere la stessa cosa in Italia? E se la destra non vuole essere contemporaneamente conservatrice e sovranista, allora il sovranismo deve trovare un’altra casa per innescare questo processo e salvare l’Italia.
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