domenica 25 novembre 2012

PRIMARIE PD. I PROGRAMMI DEI CANDIDATI. MATTEO RENZI IN 10 PUNTI





RITROVARE LA DEMOCRAZIA
La democrazia non è solo un insieme di regole e di procedure. E’, prima di tutto, l’idea che una comunità possa determinare il proprio destino, che non sia in balia degli eventi o di una qualche forza superiore. E’ questa idea che abbiamo smarrito negli ultimi tempi, tra spread e abusi della casta. Gli italiani non hanno più la sensazione di essere padroni del proprio destino. E, anziché rappresentare un fattore di chiarezza - lo strumento per valutare le opzioni e compiere una scelta - la politica è diventata un’ulteriore fonte di caos. Uno specchio deformante che rimanda agli italiani l’immagine peggiore e più confusa del nostro Paese. Ecco perché bisogna partire da lì. La politica non è credibile se continua a chiedere sacrifici senza mai farne. Non è demagogia: sono risparmi veri ed è il segnale che nessuno è al di sopra del rigore che la crisi ci impone. Soprattutto, è il modo per richiamare la politica alla sua missione: essere lo strumento attraverso il quale i cittadini decidono del proprio futuro.

a. Basta con il bicameralismo dei doppioni inutili.

Cominciamo dalla testa. Il Parlamento, la sede della rappresentanza in cui si riflette la sovranità popolare, è oggi tra le istituzioni più denigrate e screditate, anche perché è inefficiente. Quasi mille componenti e due camere che fanno lo stesso mestiere, entrambe titolate a dare e togliere la fiducia al Governo, con due serie di Commissioni che operano sulle stesse materie, due filiere dirigenziali, doppie letture su tutte le leggi, non hanno nessuna giustificazione. Una delle due camere va semplicemente abolita. Ne basta una sola, veramente autorevole, composta da non più di 500 persone. Al posto dell’attuale doppione serve un organo snello, composto da delegati delle Regioni e da sindaci, che possa proporre emendamenti alla legislazione statale su cui la Camera elettiva decide in ultima istanza, eventualmente a maggioranza qualificata.

b. Una legge elettorale per scegliere i parlamentari e il governo.
Adottiamo per il livello nazionale un modello istituzionale che consenta ai cittadini di scegliere chi governa, come già accade nelle nostre città, dove l’elezione diretta dei sindaci ha prodotto ottimi risultati. I deputati devono essere scelti tutti direttamente, nessuno escluso, dai cittadini. Allo stesso tempo, i cittadini devono poter scegliere un leader messo in condizione di governare per l’intera legislatura e di attuare il programma proposto alle elezioni, come in Gran Bretagna o in Spagna, dove non a caso i governi durano a lungo, i primi ministri entrano in carica abbastanza giovani e dopo al massimo dieci anni passano la mano ed escono di scena.

c. La politica non sia la via breve per avere privilegi.
Aboliamo tutti i vitalizi. La politica torni a essere assolvimento di un dovere civico e non una forma di assicurazione economica. Le risorse spese per i singoli Parlamentari, inclusi i compensi, devono essere allineate alla media europea.
d. Un costo standard per i consigli regionali, in modo da impedire abusi e squilibri.
I consiglieri regionali devono avere un compenso e un budget per le attività di servizio uguale in tutte le regioni. Deve essere definito il “costo standard” per il complessivo funzionamento delle assemblee legislative regionali.
e. Abolizione delle Province.
Le Province vanno abolite tutte. Nei territori con almeno 500 mila abitanti si può lasciare alle Regioni la facoltà di istituire enti di secondo grado, espressione dei Comuni, per la gestione dei servizi a rete.
f. Abolizione del finanziamento pubblico dei partiti.
Il finanziamento pubblico va abolito. Occorre favorire il finanziamento privato sia con il 5 per mille, sia attraverso donazioni private effettuate in maniera trasparente, tracciabile e pubblica. Siccome oggi, grazie a internet, chiunque può produrre a costo zero il proprio bollettino o il proprio house organ, i contributi alla stampa di partito vanno aboliti.
g. La sussidiarietà e la chiarezza delle responsabilità come principi di base.
Il potere e la responsabilità di dare ai cittadini risposte concrete devono essere nitidamente distribuiti tra centro e periferia, superando le confusioni dei ruoli e abbandonando la retorica fumosa sul federalismo. Diamo responsabilità effettive dove servono, a chi le può esercitare sotto l’impulso e il controllo dei cittadini: al governo centrale, alle regioni e ai sindaci. Eliminiamo le strutture inutili, completando l’opera appena avviata dal Governo Monti di aggregazione degli enti intermedi. Riformiamo da subito il Patto di Stabilità, in coerenza con il sistema dei conti europeo, premiando i Comuni virtuosi che hanno i conti a posto e vogliono investire sul loro futuro.
L’EUROPA DAL BASSO
L’azione del governo in carica ha coinciso con un netto recupero della credibilità internazionale del nostro Paese. In particolare, a livello europeo, l’autorevolezza di Mario Monti ha facilitato l’assunzione di decisioni importanti, che vanno nella giusta direzione. In una fase nella quale è necessario assumere decisioni di portata storica sul futuro dell’Europa, però, è necessario che queste godano della piena legittimazione democratica che solo un governo politico, scelto dai cittadini, può garantire. La crisi dell’euro ha mostrato che la costruzione europea è ancora imperfetta e deve essere completata, sulla linea di quello che avevano immaginato i padri fondatori. Per superare la crisi ci vuole più Europa, non meno Europa. Il problema è che la crisi ha fatto risorgere i nazionalismi, nelle opinioni pubbliche, nei media, nelle classi politiche. L’idea di poter costruire l’Europa dall’alto, attraverso meccanismi di natura puramente tecnocratica si è rivelata un’illusione.
Oggi l’emergenza richiede di attivare gli strumenti per far fronte alla crisi finanziaria, ma sul medio periodo è l’intero processo di costruzione europea che dev’essere ripensato. Proponiamo pertanto due linee strategiche: la prima legata all’emergenza finanziaria; la secon- da alla ripresa del processo d’integrazione su basi più solide.

a. Istituzioni europee al servizio della stabilità e della crescita.
Le decisioni della BCE hanno ridotto il rischio sistemico, per quei paesi che sono disposti a prendere le misure di risanamento finanziario e strutturali necessarie per far parte dell’Unione monetaria. Questo però non basta. L’euro ha mostrato altri elementi di fragilità. Il primo è la mancanza di un sistema finanziario e bancario integrato. A farne le spese sono stati i contribuenti, che hanno dovuto sostenere sistemi nazionali inefficienti e mal vigilati. Per far fronte a questo problema la Commissione europea ha proposto l’integrazione della vigilanza europea presso la BCE. E’ un passo importante, che va sostenuto. Ma anche questo non basta.

Ci vuole anche un sistema integrato di risoluzione delle crisi bancarie, a livello di unione monetaria, che riduca i costi per i contribuenti derivanti dalle crisi bancarie e favorisca soluzioni più efficienti e di mercato. Altrimenti saranno sempre i più deboli a pagare. Bisogna anche rafforzare il processo di integrazione dei bilanci pubblici. Il fiscal compact va bene, perché pone vincoli alla tentazione di aumentare il debito, ma non affronta il problema di come far fronte a shock sistemici come quello che stiamo attraversando, che si ripercuotono sulle finanze pubbliche dei paesi membri dell’Unione. Il fondo salva-stati (EFSF/ESM) non ha una dimensione sufficiente. Bisogna dunque lavorare su un sistema di assicurazione reciproca, che in ultima istanza può sfociare su titoli di debito comuni (Eurobond), la cui emissione sia soggetta a vincoli comunitari e venga svolta da un’agenzia del debito europea.
b. Un nuovo modello di integrazione: fare gli europei.
Bisogna riportare una vocazione europea nella cooperazione politica tra i paesi membri, ponendo obiettivi di unificazione politici di lungo periodo e individuando un percorso istituzionale che conduca:
1. all’elezione diretta da parte dei cittadini europei di una figura che sommi le cariche di Presidente della Commissione e di Presidente del Consiglio europeo;
2. alla piena iniziativa di legge per i componenti del Parlamento europeo e all’abolizione del potere di veto da parte del Consiglio dei Ministri;
3. ad una vera politica estera e di difesa comune. Nuovi attori globali sono emersi a livello internazionale. Non solo la Cina, ma anche l’India e il Brasile. La governance che produce risultati è oggi regionale: l’Europa, come ha mostrato l’attribuzione del Premio Nobel 2012 ha tutte le caratteristiche per aspirare ad essere un attore all’altezza di una geopolitica internazionale di pace. L’ingegneria istituzionale, però, non basta. I cittadini europei stanno vivendo una fase di grande diffidenza nei confronti delle istituzioni europee della quale bisogna tener conto. Fatta l’Europa, bisogna fare gli europei. Il progetto che ha dato i migliori risultati, contribuendo a formare un vero spirito europeo negli oltre tre milioni di studenti che ne hanno beneficiato in un quarto di secolo è il programma Erasmus. E’ su questa falsariga che bisogna proseguire, se vogliamo davvero arrivare a una vera integrazione dei popoli. Non nel corso di una legislatura, certo, ma di una generazione.
4. Investire sul capitale umano: un quarto degli studenti all’università siano di altri paesi europei. Proponiamo che l’Unione Europea finanzi un nuovo programma di mobilità internazionale, molto più ambizioso di quelli attualmente in essere, con borse di studio e prestiti d’onore, che consenta al 25% degli studenti di ciascun paese di studiare in un’università di un altro paese UE.
5. Un servizio civile europeo. 6 mesi, su base volontaria, per aiutare a costruire la nuova so- cietà europea sul modello della proposta avanzata da Daniel Cohn- Bendit e da Ulrich Beck.
6. L’Europa del lavoro e dei diritti. L’Europa deve porsi la questione di come venire incontro ai problemi di milioni di disoccupati, soprattutto giovani, e di come favorire l’inclusione sociale e combattere la povertà. Siamo favorevoli alla proposta della Commissione europea di destinare - nel nuovo budget 2014-2020 - il 25% dei Fondi di Coesione al Fondo Sociale Europeo (e di questi, di dedicarne il 20% a progetti rivolti alla lotta alla povertà e in favore dell’inclusione sociale).
7. Semplificazione dei bandi comunitari e delle procedure di accesso ai fondi comunitari – diventati ormai un fardello burocratico troppo pesante ed elaborato – per favorirne l’accesso e la fruizione da parte dei cittadini europei. I bandi e i relativi moduli debbono inoltre essere fruibili in tutte le lingue comunitarie e non solo in quelle principali, poiché ciò costituisce un ostacolo insormontabile per molti cittadini.

LE PREMESSE DEL RILANCIO
Avere una visione per l’Europa non dev’essere un pretesto per non parlare dell’Italia. La crisi italiana trova solo in parte le sue origini nella congiuntura internazionale. Il nostro vero pro- blema ha carattere strutturale e deriva dal progressivo calo del potenziale di crescita italiano registrato negli ultimi 15 anni, connesso alla difficoltà di adeguare la struttura produttiva italiana ai cambiamenti avvenuti su scala globale. L’economia italiana è tra i paesi con il potenziale di crescita meno sfruttati d’Europa e sta soffrendo più di altri per il generale rallentamento ciclico.
Il debito pubblico italiano ha raggiunto circa il 126% del Prodotto Interno Lordo. I mercati sanno peraltro che il livello effettivo è più alto – di circa 3-4 punti – a seguito dei debiti della Pubblica Amministrazione nei confronti dei fornitori, i cui pagamenti vengono ritardati.
La credibilità del risanamento finanziario è la premessa di ogni ragionamento sul rilancio dell’economia. Tale credibilità richiede un impegno continuo per la riduzione del debito pubblico, che è il peso maggiore che le nuove generazioni devono sopportare, pagando un caro prezzo per gli errori del passato. Chi vuole governare deve prendersi un impegno chiaro di non scaricare sulla prossima generazione il peso dell’aggiustamento, come ha fatto chi ha governato in passato.
a. Ridurre il debito attraverso un serio programma di dismissioni del patrimonio pubblico.
Devono essere messe in atto tutte le misure necessarie affinché il debito pubblico cali in modo significativo, anno dopo anno, anche negli anni in cui la congiuntura è sfavorevole, in particola- re i prossimi due. Per mantenere tale impegno è necessario mettere in atto un’efficace politica di dismissioni del patrimonio pubblico. Stime credibili (Astrid) ritengono possibile una riduzione del debito al 107% del Pil entro il 2017 e un’ulteriore calo negli anni successivi attraverso un mix di interventi.
In particolare, sul versante degli del patrimonio è possibile ipotizzare:
1. l’individuazione di immobili pubblici per circa 120 miliardi di euro da valorizzare e gestire, così come da preparare per la vendita. Non vogliamo svendere i gioielli dello Stato, ma ridurne l’impronta finanziaria e immobiliare (nonché i relativi costi);
2. una indispensabile revisione delle procedure burocratiche e urbanistiche in assenza della quale ogni valorizzazione di questo patrimonio è impossibile);
3. la cessione di partecipazioni in aziende quotate e non quotate per circa 40 miliardi euro tenendo conto di considerazioni strategiche e di interesse nazionale;
4. la capitalizzazione delle concessioni statali per circa 30 miliardi.

b. Un Fondo per la riduzione della pressione fiscale e un’unica Agenzia per combattere l’evasione.
L’onere del risanamento deve ricadere soprattutto su chi ha finora evaso i propri doveri di cittadino. La lotta all’evasione deve essere rafforzata e i benefici di tale lotta devono essere distribuiti soprattutto a chi ha finora sempre pagato, in particolare le classi meno abbienti. Per questo proponiamo la costituzione di un Fondo per la riduzione della pressione fiscale (v. infra 7.c.): ogni anno i proventi annui della lotta all’evasione devono essere certificati, depositati nel fondo e da questo prelevati con la legge di stabilità per restituire ai contribuenti trasparenti e corretti parte del prelievo fiscale, corrispondendo loro un “bonus evasione”. I cittadini devono vedere in concreto che se tutti pagano le tasse, ciascuno ne paga di meno, ed essere così coinvolti nella lotta all’evasione.
Per rafforzare la lotta all’evasione proponiamo di integrare strettamente l’investigazione e l’esazione, oggi frazionate tra Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza da una parte e giustizia tributaria e giustizia ordinaria dall’altra. E’ necessario andare verso un’unica agenzia che abbia anche poteri di coordinamento della Guardia di Finanza. Il personale mobilitato nella lotta all’evasione dovrà essere di assoluta eccellenza, adeguatamente incentivato sul recupero dell’evasione e organizzato sia su base territoriale che per settori merceologici. Occorre un ridisegno del sistema delle banche dati informatiche del fisco, a partire da quelle relative alle fatture elettroniche e ai corrispettivi, così da consentire di incrociare tutti i dati rilevanti del contribuente (consumi di energia, transazioni bancarie, beni posseduti, collaboratori domestici, ecc.) per identificare i sospetti evasori su cui poter effettuare controlli mirati.
Occorre abbassare la soglia di tracciabilità dei pagamenti fino a 500 euro, dando incentivi alla diffusione di strumenti alternativi al contante.
Per incentivare la registrazione delle transazioni commerciali, possono essere previste delle misure di incentivo, come una lotteria abbinata agli scontrini fiscali o un meccanismo di restitu- zione al contribuente di parte dell’IVA pagata all’atto della transazione (scontrini premio).
Proponiamo inoltre la sottoscrizione di un accordo con il governo elvetico per un prelievo forzoso sui conti bancari intestati a cittadini italiani e non dichiarati.
c. Dalla spending review alla spending view.
La spending review varata dal Governo in carica ottimizza la spesa esistente, ma non entra nel merito della sua utilità: è un provvedimento tecnico e non politico. In particolare non mette in questione la strategia e l’entità degli investimenti pubblici -50/60 miliardi all’anno di spesa - né considera l’efficacia dei contributi europei - 15-20 miliardi di fondi all’anno - frammentati in centinaia di migliaia di trasferimenti di piccola entità e di dubbia utilità.
La nostra proposta ha invece l’obiettivo di ripensare sostanzialmente il modello di sviluppo fin qui seguito, riallocando risorse verso i ceti produttivi, riducendo in modo sostanziale l’area dell’intermediazione politica delle risorse dello Stato. Più mercato e più solidarietà, riducendo la spesa intermediata. Riteniamo realistici i seguenti obiettivi:
1. Una riduzione del 10% dei consumi intermedi (cioè acquisti di beni e servizi) per la spesa corrente. Base aggredibile: 120 miliardi. Obiettivo di risparmio: 12 miliardi all’anno;
2. Una riduzione del 20-25% degli investimenti e dei trasferimenti alle imprese. Base aggredi- bile: 60-70 miliardi. Obiettivo di risparmio: 12-16 miliardi;
3. Una riallocazione produttiva di 50% dei fondi europei. Base aggredibile: 15-20 miliardi. Obiettivo risparmio: 7-10 miliardi;
4. Una riduzione dell’area del pubblico impiego, senza licenziamenti e senza esuberi, ma con estensione del part time, riduzione del numero dei dirigenti e limitazione del turn over, con esclusione della scuola, e migliore mobilità territoriale del dipendente pubblico. Obiettivo di risparmio 4 miliardi;
5. Un recupero dell’evasione fiscale del 25-30 per cento. Base aggredibile: 120 miliardi. Obiettivo di risorse recuperate 30-36 miliardi.

INVESTIRE SUGLI ITALIANI
Oggi tutti invocano la crescita, ma invocare la crescita è come invocare la pace nel mondo: dà soddisfazione ma non vuol dire nulla. Il punto è capire come. Storicamente l'Italia è cresciuta grazie a un'unica cosa: il talento e le capacità degli italiani. Il vero problema del nostro Paese, oggi, non è la crisi dei mercati. E lo spreco più grave non è di natura economica. Il vero problema è che non stiamo valorizzando il potenziale degli italiani.
Una parte troppo ampia delle capacità degli italiani è mortificata da un sistema ingiusto e ottuso che, a tutti i livelli, schiaccia anziché favorire l'impegno e le aspirazioni di ciascuno di noi. Proviamo ad immaginare un ciclo vitale nel quale, ad ogni stadio, anziché distruggerlo, il sistema pubblico incoraggi la formazione di capitale umano, ampli lo spettro delle scelte a disposizione delle persone, liberi il loro potenziale. A cosa assomiglierebbe?
a. Partire col piede giusto: dare al 40% dei bambini sotto i tre anni un posto in un asilo pubblico entro il 2018. L'Italia combina attualmente due primati negativi: una bassissimo tasso di natalità e, al tempo stesso, un bassissimo tasso di occupazione femminile. In più, i test internazionali ci dicono che, da noi, lo sviluppo cognitivo dei bambini è più condizionato che altrove dalle origini familiari. In Italia, solo il 12 per cento dei bambini sotto i tre anni ha accesso a un nido pubblico, in un'età che tutti gli studi confermano essere la più importante di tutte per l'investimento in capitale umano. Ecco perché proponiamo di passare dal 12 al 40% di copertura creando 450.000 nuovi posti. Il costo stimato sarebbe di 3 miliardi l'anno di spese correnti. Elevato ma sostenibile in una manovra complessiva da 75-90 miliardi come quella che proponiamo. Il costo di investimenti (spesa in conto capitale) di 13 miliardi è anch'esso sostenibile se ripartito su 5 anni.
b. Una scuola dove si impara davvero.
La scuola è il terreno sul quale si gioca il futuro del nostro Paese.
Bisogna tornare ad investire, ma farlo con modalità nuove, che mettano al centro la qualità dell'educazione che diamo ai nostri figli. E' davvero un paradosso, quello di una scuola nella quale si danno voti a tutti, ma non alla qualità dell'insegnamento e delle strutture scolastiche. Gli istituti scolastici devono godere di un'ampia autonomia, anche riguardo alla selezione del personale didattico e amministrativo, con una piena responsabilizzazione dei rispettivi vertici e il corrispondente pieno recupero da parte loro delle prerogative programmatorie e dirigenziali necessarie. Questo obiettivo va preparato attraverso una fase transitoria nella quale si incominci a responsabilizzare gli istituti scolastici mediante una valutazione della performance gestita da una struttura indipendente centralizzata. Perciò proponiamo:
1. un forte investimento sulla scuola e, in particolare, sulla formazione e l'incentivazione degli insegnanti, sull'edilizia scolastica (v. infra 5. c.) e sull'upgrade tecnologico della didattica;
2. la valutazione degli istituti scolastici attraverso il completamento e il rafforzamento del nuovo Sistema di Valutazione centrato sull’azione di Invalsi e Indire, con la prospettiva di avvicinare gradualmente il nostro modello a quello britannico centrato sull’azione della Ofsted;
3. incentivi ai dirigenti scolastici basati sulla valutazione della performance delle strutture loro affidate;
4. una revisione complessiva delle procedure di selezione e assunzione dei docenti, basata sulle competenze specifiche e sull'effettiva capacità di insegnare;
5. una formazione in servizio per gli insegnanti obbligatoria e certificata, i cui esiti devono contribuire alla valutazione dei docenti e alle progressioni di carriera, basata su un mix di: aggiornamento disciplinare, progettazione di percorsi con altri colleghi, aggiornamento sull’uso delle nuove tecnologie per la didattica, incontri con psicologi dell’età evolutiva o con medici per capire come affrontare handicap o disturbi di apprendimento sui quali la scienza ha fatto progressi.
6. la valutazione e incentivazione degli insegnanti, attivando in ciascun istituto scolastico un meccanismo finalizzato all’attribuzione di un premio economico annuale agli insegnanti migliori, scelti da un comitato composto dal preside, da due insegnanti eletti dagli altri (cui andrà il 50% del premio e che non potranno ovviamente essere selezionati per il premio intero) e da un rappresentante delle famiglie eletto dalle stesse, sulla scorta del progetto pilota "Valorizza", già sperimentato in quattro province nel corso del 2010-2011.
c. Eliminare la formazione che serve solo ai formatori.
Esiste un’offerta molto ampia di corsi di formazione professionale che vivono solo per mantenere in vita le organizzazioni che organizzano i corsi senza nessun beneficio pubblico. Bisogna spostare le risorse da questo ambito in altri dove possono produrre benefici reali, in particolare sulle competenze tecniche e artigianali che rappresentano la vera forza del modello produttivo italiano. Rilevazione sistematica del tasso di coerenza tra la formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi, a sei mesi e tre anni dalla fine del corso, e pubblicazione online di questi dati in modo che tutti possano conoscere i risultati del passato recente prima di scegliere un corso.
d. Rilanciare l'università e la ricerca.
L’Italia, che in molti settori dell’industria e del commercio è ai vertici mondiali, non è ugualmente rappresentata ai vertici delle classifiche delle istituzioni universitarie e di ricerca. Nelle istituzioni estere che si trovano ai vertici di tali classifiche, invece, lavorano molti ricercatori italiani, incapaci di trovare una posizione adeguata in Italia, mentre – salvo rarissime eccezioni – non si trovano ricercatori stranieri nelle istituzioni italiane.
1. Mettere a punto un sistema di valutazione delle università e sostenere quelle che producono le ricerche migliori. L’Italia spende per l’università e la ricerca meno dei grandi paesi con cui dobbiamo confrontarci, ma questo non è il solo problema. Il reclutamento dei ricercatori è spesso viziato da logiche familistiche e clientelari. Le risorse vengono disperse tra centri di eccellenza e strutture improduttive. Anche in questo campo si devono introdurre meccanismi competitivi. I dipartimenti universitari che reclutano male devo sapere che riceveranno sempre meno soldi pubblici. Deve essere chiaro che chi recluta ricercatori capaci di farsi apprezzare in campo internazionale ne riceverà di più. È un risultato che si può ottenere usando indicatori quantitativi sulla qualità della ricerca prodotta sul modello dell'Anvur e il parere di esperti internazionali autorevoli e fuori dai giochi. L’obiettivo è avere una comunità scientifica meno provinciale, che esporta idee e attrae talenti.
2. Consentire la scommessa degli atenei e degli studenti sulla qualità della formazione. Agli atenei che vi sono interessati deve essere consentito di aumentare le tasse universitarie in funzione di progetti di eccellenza didattica, trovando al tempo stesso compensazioni per le famiglie con redditi medi o bassi. Agli studenti devono essere offerti prestiti per coprire integralmente i costi, prevedendo che la restituzione rateizzata - parziale o integrale - inizi solo quando essi avranno raggiunto un determinato livello di reddito.
3. Consentire a tutti gli studenti universitari di finanziarsi gli studi e le tasse. Obbligo per le Università di stabilire accordi con almeno tre banche (di cui almeno una locale e almeno una nazionale) per i finanziamenti agli studi universitari, garantiti da un fondo pubblico di garanzia.
4. Incentivi fiscali per contributi alla ricerca universitaria. Detrazione dalla base imponibile di quanto donato alle università e tassazione agevolata per chi investe negli spin-off universitari.
5. Un fondo nazionale per la ricerca gestito con criteri da venture capital. Istituire un fondo nazionale per la ricerca che operi con le modalità del venture capital e sia in condizione di finanziare i progetti meritevoli al di fuori delle contingenze politiche.
e. Promuovere l'accesso al lavoro di giovani, donne e over 55.
Da noi lavora solo il 57% delle persone tra 15 e 64 anni, contro il 70% della Germania o del Regno Unito - questo significa che ci sono da noi 5 milioni di lavoratori in meno. E' un dato ancor più allarmante di quello del tasso di disoccupazione. Vuol dire che in Italia molti hanno rinunciato: i ne-ne (né studenti, né lavoratori) giovani, le donne con o senza figli, i cinquantenni e sessantenni precocemente espulsi dal mondo del lavoro.
1. Per le donne, la maternità rappresenta una delle principali cause dell’abbandono del mercato del lavoro. Il nostro piano asili nido (v. supra 4.a.) ha l’obiettivo non solo di migliorare lo sviluppo cognitivo dei bambini ma anche di ridurre fortemente il tasso di abbandono del lavoro delle mamme. Inoltre, in funzione delle risorse disponibili, valuteremo la detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile secondo il modello proposto nel d.d.l. n. 2102 presentato al Senato che prevede un'azione positiva fino al raggiungimento del tasso di occupazione femminile del 60% (oggi è al 45%).
2. Per i giovani. Al fine di combattere la precarietà e ridurre il cuneo fiscale, tutti i nuovi contratti a tempo indeterminato avranno un bonus contributivo di 1000 euro l'anno, cioè quasi cento euro al mese, per tre anni, con una riduzione del costo contributivo di circa il 20 per cento per gli operai e del 15 per cento per gli impiegati secondo i dati della CGIA di Mestre. Il finanziamento di questo intervento pari a 1,5 miliardi avverrà tagliando la spesa pubblica. Tale bonus sarà aumentato di ulteriori 200 euro per le aziende che tramutino in contratti a tempo indeterminato una quota superiore al 40 per cento dei contratti a tempo determinato in essere alla fine dell'anno 2012. Sono inoltre necessari un forte impulso ai servizi di orientamento scolastico e professionale e la drastica riduzione dei costi di transazione relativi ai rapporti di apprendistato; il lancio di un programma di formazione mirata agli skill shortages, finanziato progressivamente secondo la straordinaria esperienza olandese dell’ultimo ventennio.
3. Per gli over-55, occorre consentire l'intreccio tra lavoro parziale e pensionamento parziale, flessibilizzazione dell’età pensionabile secondo il modello svedese, forte incentivazione economica dell’assunzione dei sessantenni, promozione della domanda di servizi che valorizzino l'esperienza degli over 55.
UN NUOVO PARADIGMA PER LA CRESCITA
a. Sostenere il potere d'acquisto degli italiani
Negli ultimi anni le famiglie italiane hanno visto il loro potere d’acquisto letteralmente crollare, tornando nel primo trimestre del 2012 al livello del 2000. Questo impoverimento ha portato a una riduzione del tasso di risparmio, mai così basso, e dei consumi. E’ purtroppo certo che ci aspetta, almeno per il prossimo futuro, un ulteriore peggioramento.
In una situazione come questa è assolutamente prioritario intervenire per sostenere il reddito disponibile delle famiglie, soprattutto dei lavoratori dipendenti con reddito medio e basso.
1) 100 euro al mese in più per chi ne guadagna meno di duemila. La nostra proposta è di ridurre l’imposizione tributaria sui lavoratori dipendenti che percepiscono meno di 2000 euro netti al mese per un ammontare di 100 euro al mese. Questo importo sarà finanziato con i proventi del recupero della lotta all’evasione fiscale (“bonus evasione”; v. supra 3.b).
2) Liberalizzare davvero per far scendere le tariffe. Nel corso degli ultimi anni, le tariffe delle attività regolate e dei mercati non pienamente concorrenziali sono cresciute a dismisura. Alcuni esempi: assicurazioni crescita prezzi del 48 per cento, banche 40 per cento, ferrovie 47 per cento, raccolta delle acque 67 per cento, rifiuti 57 per cento. E’ chiaro che una crescita delle tariffe sempre superiore alla crescita degli stipendi non è né equa, né sostenibile. Chiederemo quindi che le Authority di settore, cooperando con l’Antitrust, indaghino sull’evoluzione delle tariffe negli ultimi dieci anni e propongano azioni regolatori per allinearla all’andamento dell’inflazione programmata.
È necessario inoltre proseguire ed intensificare la politica di apertura dei mercati dei beni e dei servizi, ivi compresi quelli resi da lavoratori autonomi e liberi professionisti.

b. 250 miliardi di credito garantito per le aziende.
Oggi molte imprese, anche sane, soffrono, ed in alcuni casi chiudono, perché il credito non è disponibile e, quando disponibile, è erogato a condizioni molto onerose. Tante aziende sono inoltre messe in difficoltà dai crediti verso la Pubblica Amministrazione. In queste condizioni, competere con i tedeschi e gli olandesi è quasi impossibile.
Riteniamo che l’accesso al credito nel 2012 e 2013, sarà una delle leve principali per consentire alle piccole imprese di sopravvivere e per avviare un nuovo ciclo di crescita. Per questo motivo prevediamo di riallocare su fondi di garanzia del credito almeno 20 miliardi dei fondi europei, in modo da garantire almeno 250 miliardi di crediti a piccole e medie aziende, dando all’imprenditoria sana, in particolare nel Sud, l’ossigeno per ripartire, a tassi competitivi con le imprese tedesche e francesi. Il progetto è composto di due pilastri:
1. Costituire dei Fondi di garanzia del Credito in ciascuna Regione – capitalizzati con 20 Miliardi di Euro complessivi, sulla base del programma europeo Jeremie (Joint European Resources for Micro to Medium Enterprises). Verranno così garantiti al 50 o al 75% crediti fino a 5 milioni, lasciando una quota di rischio sulla banca d’origine che sarà quindi incentivata a selezionare imprese sane.
2. Chiedere alle banche partecipanti di applicare alla propria clientela prezzi “calmierati” che riflettano i vantaggi del programma (liberazione di capitale, riduzione del rischio creditizio in bilancio e accesso al finanziamento BCE).

c. Nuove regole per la finanza.
1. Riformare il settore bancario, inserendo una più netta separazione tra attività commerciali e di investimento, per garantire una maggior trasparenza e minori rischi a piccoli e medi risparmiatori.
2. Revisionare le regole per recupero crediti e interessi di mora per famiglie e piccole imprese, introducendo la rinegoziazione non vessatoria per crediti verso banche e settore pubblico.
3. Creare regole chiare e semplici per il crowdfunding, per permettere una vera finanza dal basso, dove le persone finanzino le idee di altre persone.

d. Smentire Longanesi: dalle grandi opere ai grandi risultati.
Leo Longanesi diceva che l’Italia è un Paese di inaugurazioni, non di manutenzioni. Noi proponiamo di smentirlo puntando sulle innumerevoli piccole e medie opere delle quali il Paese ha davvero bisogno. Non è detto che lo sviluppo dipenda solo da grandi opere per le quali non esistono, nella maggior parte dei casi, neppure le più elementari valutazioni d’impatto economico. L’Italia spende una cifra spropositata in trasporti e infrastrutture: quasi il 3% del Pil in confronto all’1,86% della Germania e all’1,70% della Francia. E’ una spesa non sempre necessaria e altamente inefficiente, se si pensa che il costo al chilometro delle autostrade è il doppio di quello spagnolo, mentre quello della TAV è stato stimato 3 o 4 volte quello francese e spagnolo. Negli ultimi vent’anni abbiamo speso l’equivalente di 800 miliardi di euro in infrastrutture, con risultati tutt’altro che soddisfacenti.
Noi proponiamo di invertire la rotta con tre mosse:
1. Dare la priorità alle manutenzioni e alle piccole e medie opere, come, a titolo di esempio: la costruzione di asili nido (v. supra, 4.a.), interventi per decongestionare il traffico e per il traspor- to pubblico locale, per il recupero ambientale, la messa in sicurezza di edifici in aree critiche o l’efficienza energetica.
2. Scegliere le grandi opere che servono davvero. Rivedere il piano delle infrastrutture chiedendo che una commissione internazionale di esperti fornisca un parere indipendente su costi, rischi vantaggi e benefici di proposte alternative. Mettere a punto un modello di co-partecipazione al finanziamento delle amministrazioni locali che beneficiano degli investimenti per evitare il fenomeno “tanto paga Roma”.
3. Puntare sulle infrastrutture del futuro. - Banda larga. Realizzazione di un Next Generation Network (NGN) messo a disposizione di tutti gli operatori di telecomunicazioni a parità di con- dizioni tecniche ed economiche e di proprietà di un soggetto esclusivamente pubblico senza fine di lucro e non scalabile promosso da Cassa Depositi e Prestiti. Impiego di un mix di tecnologie per coprire il digital divide effettivo. - Smart mobility. Sul modello delle esperienze sviluppate in diverse città europee. - Energia. Ammodernamento della rete elettrica e del mer- cato per ridurre il costo della bolletta, spingendo sullo sviluppo della generazione distribuita ad alta efficienza (così da minimizzare i costi di produzione), individuando un nuovo paradigma di sistema elettrico che superi il modello di produzione accentrata ed i conseguenti costi in infrastrutture, consentendo progressivamente di ridurre i costi di trasporto, dispacciamento e bilanciamento. L’obiettivo è di costruire una politica energetica che superi il livello nazionale, per integrare i sistemi energetici continentali e per realizzare l’interconnessione dell’intero spazio mediterraneo.

e. Riaprire l’Italia agli investimenti stranieri.
Se l’Italia riuscisse ad allinearsi a un Paese europeo in posizione mediana nella graduatoria per capacità di attirare gli investimenti stranieri come l’Olanda, questo significherebbe avere ogni anno un flusso aggiuntivo di investimenti in entrata di quasi 60 miliardi di euro, con la conseguente apertura di centinaia di migliaia di posti di lavoro e l’avvio di molti piani industriali fortemente innovativi. Per raggiungere questo risultato occorre, prima di ogni altra cosa, migliorare l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, semplificare la legislazione fiscale e quella del lavoro, armonizzandole agli standard europei e rendendole leggibili in inglese; occorrono inoltre precise politiche pubbliche di attrazione degli investimenti:
1. agevolazioni fiscali accompagnate dalla creazione di canali e procedure preferenziali in ambito amministrativo, con lo scopo di facilitare le procedure/ tempistiche per l’apertura di impre- se multinazionali estere che si impegnano ad effettuare un cospicuo investimento.
2. creazione di Business Hubs italiani con il coinvolgimento di coordinatori/agenti locali commissionati in base ai risultati, al fine sia di incentivare la vendita di prodotti e servizi italiani all’estero, sia gli investimenti stranieri in Italia.

f. Il Mezzogiorno come banco di prova.
Il Mezzogiorno non è un’area geneticamente modificata, ma il banco di prova delle nostre proposte: ricambio della classe dirigente e rottamazione dei privilegi, lavoro e potere d’acquisto delle famiglie, qualità della pubblica amministrazione e welfare, innovazione e legalità qui sono ancora più importanti. Noi non consideriamo il Paese diviso tra una “Questione Meridionale “ e una “Questione Settentrionale”. Pensiamo che l’Italia nel suo insieme debba confrontarsi con problemi che hanno caratteristiche e intensità differenti nelle diverse aree, ma che hanno una radice comune e devono essere affrontati insieme. Immaginare un futuro prospero per l’Italia, con il Sud - patria separata non è concepibile. Per questo non servono interventi più o meno straordinari calati dall’alto, ma riforme a 360 che facciano spazio al Sud che funziona e che ha voglia di crescere.
UN WELFARE COME INVESTIMENTO SULLE PERSONE
Un welfare orientato all’obiettivo di consolidare la coesione sociale e contrastare ogni fattore di discriminazione non si limita a fornire ai cittadini in condizioni di rischio assistenza e sussidi economici secondo una logica risarcitoria, ma guarda in maniera dinamica e attiva alla valorizzazione di ogni persona come risorsa per sé e per la comunità, qualsiasi sia la sua condizione: anagrafica, economica, formativa, di salute.
Così inteso, il welfare non si traduce in forme di sostegno episodiche, ma in un percorso di inclusione in un progetto di sviluppo e di “occupabilità” permanente, recuperando risorse sociali apparentemente compromesse, creando opportunità di formazione e crescita continua, concretizzando l’aspirazione di tutti alla piena realizzazione della propria esistenza.

L’Italia non deve essere il Paese del privilegio e delle rendite di posizione. I cittadini, e soprattutto i bambini, devono avere le stesse opportunità in modo da poter sviluppare il loro potenziale e le loro inclinazioni e in modo da trovarsi tutti nelle condizioni di perseguire i propri ideali, i propri obiettivi e le proprie aspirazioni. Senza lasciare indietro nessuno e senza che la vita di nessuno dipenda dalla condizione professionale e dalle disponibilità economiche delle generazioni precedenti.
Un sistema di welfare così inteso può rivelarsi un formidabile fattore di sviluppo sociale ed economico, un vero e proprio “Investimento Sociale”, come previsto dalla Strategia Europa 2020.
a. Locale: la vera dimensione del welfare.
Quanto più la lettura dei bisogni avviene in prossimità dei contesti e delle situazioni in cui questi si manifestano, tanto più è corretta, tempestiva nell’individuare i cambiamenti, utile a organizzare risposte concrete.
È per questo che quella locale è la dimensione propria del welfare, dove il valore delle relazioni, dell’attitudine a collaborare e a condividere competenze e risorse costituisce un patrimonio riconosciuto, che consente di costruire sistemi efficienti.
Le numerose e positive esperienze maturate in molte delle nostre comunità nell’organizzazione e nella gestione di questi sistemi di welfare locale devono quindi orientare l’elaborazione di un nuovo modello di welfare nazionale, che diffonda le migliori pratiche e favorisca la sintesi dei tanti, spesso troppi livelli, che attualmente si sovrappongono nell’attribuzione delle competenze in questo cruciale settore.
Le forme di welfare pubblico dovranno essere integrate dalle esperienze più virtuose provenienti dal mondo del welfare privato (senza che quest’ultimo vada a sostituire il welfare pubblico). Sono ormai estremamente diffuse soprattutto nelle regioni del Nord forme di complementarità al welfare pubblico sviluppate, da parte delle imprese, delle cooperative, delle associazioni del non-profit (cd. “welfare aziendale, sindacale, cooperativo”).
Su questo versante, occorre:
1. semplificare la legislazione sul Terzo Settore a partire da una vera attuazione della legge sul- la Impresa Sociale bloccata da anni da veti ideologici, ma in grado di contribuire alla creazione di nuova e soprattutto “buona” occupazione;
2. riformare organicamente la disciplina delle associazioni, delle fondazioni e delle altre isti- tuzioni di carattere privato senza scopo di lucro riconosciute come persone giuridiche, delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche (libro I Titolo II del codice Civile);
3. favorire nuove formule per le “clausole sociali” negli appalti pubblici per garantire sempre più opportunità lavorative per le fasce deboli del mercato del lavoro;
4. creare patti territoriali nel sociale che superino gli attuali piani di zona e che abbiamo la capacità di coinvolgere tutti i soggetti pubblici,privati e del privato sociale (Terzo Settore e Non profit) per la costruzione di un Welfarplurale ed attivo.

b. Partire col piede giusto: dare al 40% dei bambini sotto i tre anni un posto in asilo pubblico entro il 2018.
(v. supra, 4. a.).
c. I nuovi servizi alla persona.
In Italia vi è una grandissima richiesta di servizi alla persona e alla collettività, che resta però inespressa, nel mercato del lavoro regolare ordinario: assistenza continuativa per non-autosufficienti, assistenza diurna per figli di madri-lavoratrici, insegnamento informatico per anziani e disabili, protezione notturna contro il vandalismo, manutenzione del verde urbano.
A fronte di una domanda per questo tipo di mansioni esiste un’ampia offerta di lavoro a basso costo. L’incontro di questa domanda e di questa offerta può essere notevolmente migliorato mediante due tipi di iniziative: - secondo il modello dei voucher dell’Agence des Services à la Personne francese, attivando strumenti efficienti di mediazione al livello regionale e comunale; - secondo il modello scandinavo, attivando servizi di fornitura di prestazioni personali di servizio in forma di collaborazione autonoma continuativa, gestiti dai Comuni, e attivando al contempo una forma efficace di monitoraggio cogestito con il sindacato, idonea a escludere che possa derivarne nel mercato un effetto di sostituzione di domanda di lavoro professionale con lavoro dequalificato e sottopagato.
d. Dichiarare guerra alla povertà.
Gli unici due Paesi che, in Europa negli ultimi quindici anni non hanno attuato riforme nazionali del welfare sociale nei settori della povertà e della non autosufficienza sono l’Italia e la Grecia. In Italia la spesa statale per misure contro la povertà è pari allo 0,1% sul PIL a fronte di una media europea dello 0,4%. Il motivo appare di facile comprensione: ogni categoria ha una sua lobby che si fa portatrice dei propri interessi, ma i poveri per definizione non hanno alcuna lobby che li protegga. Il valore della politica si colloca anche nella capacità di tutelare coloro che nessun altro tutela.
Le misure di contenimento della spesa non possono colpire ulteriormente i due settori più delicati del welfare che garantiscono la tenuta sociale del nostro Paese: è indispensabile pensare a definire nella prossima legislatura un Piano Nazionale contro la Povertà e un Piano di Sostegno per gli Anziani non autosufficienti, cominciando con l’integrare e coordinare meglio le forme di sostegno attualmente disponibili.
e. Sperimentare sul serio la flexsecurity.
Proponiamo la sperimentazione, in tutte le imprese disponibili, per i nuovi insediamenti e/o le nuove assunzioni, di un regime ispirato al modello scandinavo: tutti assunti a tempo indeter- minato (tranne i casi classici di contratto a termine), a tutti una protezione forte dei diritti fondamentali e in particolare contro le discriminazioni, nessuno inamovibile; a chi perde il posto per motivi economici od organizzativi un robusto sostegno del reddito e servizi di outplacement per la ricollocazione.
f. Sanità.
La qualità e disponibilità di servizi sanitari è sicuramente uno dei maggiori punti di tensione per gli italiani. Un problema centrale è la disomogeneità dei servizi sanitari nel Paese ed il sistema di ripartizione delle risorse in base alla sola spesa storica per abitante, anziché in base al livello e alla qualità dei servizi. Dobbiamo abbandonare il criterio dei tagli lineari a favore di una definizione di standard su costi/efficacia. Giova ricordare che a fianco della spesa per il Sistema Sanitario Nazionale, esiste una spesa sanitaria pagata privatamente dai cittadini (tickets, diagnosi e cure non coperte dal SSN, farmaci non rimborsati, spese odontoiatriche, etc.) che viene stimata per il 2012 in circa 45-50 M.di €.
Proponiamo un quadro di interventi strutturali coordinati come segue:
1. Finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale basato su costi di spesa standard resi coe- renti con le indicazioni nazionali attraverso i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) da razionaliz- zare e attualizzare.
2. Finanziamento dei vari Sistemi Sanitari Regionali derivante da fiscalità locale, cui aggiungere un Fondo di Perequazione nazionale (dalla fiscalità generale) per i costi Ministeriali e per perequare fra i vari SSR, le differenze dovute alle diverse capacità di tassazione regionale, gestendo questa perequazione come chiave di controllo dei vari SSR e facendo dell’appropriatezza delle prestazioni sanitarie un cardine per il controllo del Fondo di perequazione.
3. Punire forti perdite sino al default dei vari SSR, con il commissariamento delle Regioni, definendo un Albo nazionale dei Direttori Generale (di formazione dichiaratamente manageriale) ed Amministrativi e dei Direttori Sanitari cui dover attingere per le nomine, da parte delle Regioni.
4. Riorganizzare sul modello del NHS inglese la nomina dei Primari, dando spazio al merito ed alla revocabilità in base alle performances e riducendo l’influenza della politica. Riduzione degli apparati del SSN definendo standard numerici e qualitativi per il personale amministrativo e tecnico. Attivazione di un portale internet per tutti i cittadini ove verificare le performances delle strutture del SSN, in termini di quantità e qualità (esiti) delle procedure cliniche.
5. Ridurre in modo non lineare e non discriminante per le Regioni più virtuose i posti letto con un target complessivo nazionale del 10% pari a circa 20.000 posti letto, da trasformare in parte in posti di ricovero a bassa intensità assistenziale.
6. Promuovere un riassetto istituzionale delle ASL, introducendo criteri di accorpamento e semplificazione (una Asl per provincia e per città metropolitana). Con la creazione di network nazionali per le grandi tematiche di specialità dove far confluire le eccellenze ora sparse sul territorio, rivalutando lo strumento del project financing per gli investimenti di rinnovo infrastrutturale.
7. Valorizzare il lavoro di filtro medico-diagnostico svolto dai medici di famiglia sul territorio stimolando la formazione di strutture ambulatoriali anche in collaborazione con associazioni no profit.
8. Riconoscere la farmacia come presidio socio-sanitario di prossimità.
9. Utilizzare la leva delle spese sanitarie del SSN e dei vari SSR per incentivare lo sviluppo di una industria tecnologica italiana delle Life Sciences. La spesa per la Sanità non solo come costo ma anche come strumento di sviluppo.

g. Pensioni.
La riforma previdenziale introdotta da Elsa Fornero non verrà messa in discussione. Era necessario ripristinare la sostenibilità finanziaria (soprattutto per le nuove generazioni) del sistema pensionistico, a fronte dell’aumento consistente dell’età anagrafica del nostro Paese. Il problema dei cd. “esodati” dovrà tuttavia trovare una immediata soluzione. Saranno inoltre da prevedere nuove regole per evitare il cumulo delle pensioni e un contributo di solidarietà del 10% per tre anni per le cosiddette pensioni d’oro.
IL FISCO
La pressione fiscale ha raggiunto un livello insostenibile: uccide le imprese oneste e deprime i redditi dei lavoratori; soffoca l’economia e riduce la crescita. Al tempo stesso abbiamo un fisco che “fa la faccia feroce” con gli onesti e con coloro che commettono uno sbaglio, sommerge gli italiani di norme complicate, ma ancora troppo spesso lascia i furbi indisturbati. Da sempre la questione dell’evasione fiscale è tra le priorità dei programmi di Governo, ma ancora oggi spesso gli evasori continuano ad evadere. Noi non crediamo ci siano delle “tare genetiche” che fanno degli italiani un popolo di disonesti, crediamo si possa e si debba rifondare il rap- porto tra gli italiani ed il fisco creando una grande alleanza tra Stato e ceti produttivi per avere: un fisco più facile e più umano, una maggiore fedeltà fiscale in cambio di aliquote più basse e, per chi non paga le tasse, la certezza di essere trovato. Vediamo come.
Oggi un cittadino o un’impresa che debbano compilare una dichiarazione dei redditi si trova di fronte a un vero rompicapo, spesso è obbligato a rivolgersi ad un’assistenza professionale, di un CAF o di un commercialista. Se un’azienda deve interagire con Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, Camere di Commercio ecc, ogni volta deve compilare dei moduli e rimandare gli stessi dati, spesso con formati diversi. Se il cittadino o l’impresa si trova poi a dover far fronte ad una richiesta di pagamento di Equitalia si trova ad interagire con una struttura burocratica, fredda, con pochissima disponibilità a trovare soluzioni che vengano incontro al cittadino. Non in tutti i paesi è così. Noi vogliamo semplificare l’Italia e per questo proponiamo di creare una Task Force del Ministero Economia che, collaborando con l’Agenzia dell’Entrate, le forze produttive e sociali, gli ordini professionali, introduca anche da noi le migliori tecniche sperimentate in vari paesi per facilitare la vita del contribuente. In particolare prevediamo di introdurre alcune innovazioni.
a. Ciascun cittadino ha diritto a ricevere una dichiarazione dei redditi pre- compilata dall’Agenzia delle Entrate.
In Cile, in Brasile, in Olanda e in molti altri paesi l’agenzia delle entrate manda ogni anno a ciascun contribuente un modulo precompilato con i redditi del contribuente, le deduzioni, come ad esempio gli interessi sui mutui, e le imposte da pagare. Il contribuente ricevuto il modulo può andare sul sito dell’agenzia, telefonare al call center o scrivere per modificare informazioni errate o integrare informazioni mancanti. Semplice, facile, umano. Come fanno gli altri paesi? Semplice usano l’informatica.
b. Un fisco semplice per le imprese.
1. Adozione per tutte le imposte del criterio di cassa per tutte le attività di impresa e di lavoro autonomo al di sotto di un certo volume d’affari. Possibilità per gli stessi soggetti di regolare mensilmente i propri crediti e debiti verso il Fisco, in linea con le proprie disponibilità finanziarie.
2. Comunicazione telematica almeno mensile dei dati al Fisco, con la progressiva introduzione della fatturazione elettronica e dell’invio telematico dei corrispettivi. Il fisco calcola le imposte da pagare ed invia una proposta di tassazione che il contribuente può accettare o modificare, discutendo i cambiamenti. Quale il vantaggio? Per l’azienda il fisco diventa facile. L’azienda manda i propri dati in automatico, attraverso il proprio software di contabilità, senza bisogno di lavoro e di fatica. Gli stessi dati che vengono inviati all’INPS, all’INAIL, alle Camere di Commercio, evitando duplicazioni. Per il Fisco si risparmia tempo e denaro che si può dedicare a cercare gli evasori.
3. Ridurre le sanzioni per lo “slittamento di competenza” che oggi rappresentano una quota significativa del contenzioso tributario ed assorbono risorse che sarebbero meglio impegnate nel contrasto alla vera evasione.
4. Semplificare concretamente gli adempimenti tributari relativi al reddito di impresa, agli obblighi IVA, ai versamenti, compensazioni, riscossioni, procedure, contenzioso. Le proposte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli esperti contabili sono una buona base di partenza.
5. Concordare preventivamente il reddito di impresa. Prevedere che le imprese che ancora non comunicano telematicamente i dati concordino un reddito di impresa con l’Agenzia delle Entrate, in aumento rispetto al periodo precedente, nell’ambito di un piano di rientro dell’e- vasione fiscale, basato su un progressivo adeguamento degli studi di settore, differenziati a livello provinciale.
6. Creare una “white list” delle imprese trasparenti. Si prevede l’estensione del “bonus evasione” per quelle imprese che rispettano dei parametri di trasparenza e di aderenza alle migliori pratiche contabili e che possano quindi rientrare in una lista delle “aziende fiscalmente eccel- lenti” tenuta dall’Agenzia delle Entrate.
7. Proponiamo inoltre una riduzione dell’erosione fiscale, con riordino e semplificazione dei regimi di favore per tutte le imposte, dirette e indirette, in base al censimento di tali regimi effettuato nel 2011.

c. Un Fondo per la riduzione della pressione fiscale.
In Italia l’evasione fiscale è di 120 miliardi secondo le stime di Istat e Banca d’Italia. Quello che non si dice è quanto dovrebbero essere le tasse pagate se non ci fosse evasione. In altri paesi, come ad esempio negli Stati Uniti, si calcola il Tax Gap, cioè quali sarebbero state le entrate in un certo anno se tutti pagassero e quanto manca all’appello. Il calcolo è fatto con metodi statistici. Noi proponiamo di definire un obiettivo a 5 anni di riduzione dell’evasione fiscale di un terzo. Cioè di arrivare a recuperare 40 miliardi l’anno di maggiori imposte e di utilizzare una quota significativa di queste risorse per ridurre il prelievo Ires e Ire.
I primi a beneficiarne saranno le famiglie di lavoratori dipendenti e ad essi assimilati che percepiscono (incluse altre forme di reddito) meno di 2000 euro netti al mese. L’agevolazione sarà poi estesa a tutti i contribuenti trasparenti e corretti che rispettano i requisiti sopra descritti. In una terza fase, una volta consolidati i risultati della lotta all’evasione, ci saranno le risorse per una riforma generale dell’Ire che riduca il numero e livello delle aliquote e razionalizzi l’insieme di detrazioni e deduzioni, consentendo di scaricare le spese familiari più rilevanti (acquisto e manutenzione casa, educazione figli, assistenza anziani, trasporto pubblico, spese sanitarie) e riconoscendo una detrazione fissa per le restanti spese quotidiane.
UNO STATO SEMPLICE
Investire sugli italiani, aiutare ogni singolo cittadino a realizzare il suo potenziale implica una rivoluzione copernicana dello Stato, con al centro la semplicità delle procedure, la qualità dei servizi, l’equità tra i bisogni dei cittadini e le risposte delle istituzioni pubbliche.
a. Una riorganizzazione dello stato equa e veramente redistributiva: liberare risorse per indirizzarle dove ce n’è più bisogno.
La riorganizzazione della spesa pubblica, iniziata con i decreti sulla Spending Review, non va considerata solamente con le lenti dell’aggiustamento finanziario e dei tagli lineari al personale e ai servizi, ma anche come un’opportunità di correggere le disparità esistenti e di ottenere una burocrazia migliore, più equa e democratica, e più a misura delle richieste dei cittadini. Proprio questo è il significato più profondo di una Spending Review permanente; eliminare e accorpare enti e unità periferiche ridondanti, fondere e razionalizzare strutture troppo costose (province, tribunali e tribunalini, prefetture, camere di commercio, ecc.), dare ossigeno a settori già fortemente colpiti dalle ultime leggi di stabilità (sanità, politiche sociali, istruzione, formazione, ricerca).
Solo mettendo in moto un meccanismo virtuoso di ridistribuzione seria e reale a favore delle categorie di cittadini/utenti più bisognosi, si potrà rendere più efficiente la pubblica amministrazione. I dati Ocse continuano a sottolineare come siano ancora troppo pochi e ininfluenti i ritocchi all’architettura complessiva della macchina pubblica, con un forte squilibrio rispetto ai servizi, costantemente ridotti. Fare meglio con meno è possibile, come hanno dimostrato altri paesi europei.
b. Trasparenza totale secondo il modello del Freedom of Information Act.
Qualsiasi documento, anche non ufficiale, e qualsiasi informazione inerente a qualsiasi amministrazione pubblica (con la sola eccezione dei documenti secretati con apposito provvedimento motivato) deve essere accessibile a chiunque, senza necessità di una richiesta motivata; nessun mandato di pagamento può essere efficace se non sarà disponibile on line, corredato da tutta la relativa documentazione.
c. Dal timbro al clic.
La Pubblica Amministrazione italiana è al 25esimo posto (su 34 paesi OCSE) nell’e-government. Oggi nell’informatica della pubblica amministrazione si spendono oltre 5 miliardi di euro l’anno. Soldi spesi male perché ciascun ente, ministero, comune, provincia, fa tutto da solo. E’ tutto frammentato. Si pensi che nella sola amministrazione centrale vi sono oltre 10.000 centri elaborazione dati. Le grandi aziende hanno un solo sistema informatico per decine di paesi. In Italia quasi ogni ASL ha un sistema informatico diverso.
Proponiamo:
1. Un Chief Information Officer (CIO) per la pubblica amministrazione. In Francia è stato creato un dipartimento presso l’ufficio del Primo Ministro, il DISIC, con l’incarico di gestire e razionalizzare l’informatica dei Ministeri. Anche in Italia dobbiamo fare lo stesso. Pensiamo che sia giunto il momento di introdurre anche in Italia il ruolo di CIO – Chief Information Officer – della PA, con il compito di coordinare l’informatica pubblica per digitalizzare i servizi e gestire meglio il welfare, l’educazione, la giustizia, la sanità, i trasporti, la sicurezza.
L’Italia deve replicare le migliori esperienze europee nei progetti di eGovernment, per ridurre burocrazia e costi, mettendo i cittadini al centro del servizio. Per le imprese, i servizi digitali aiuteranno a ridurre le incombenze burocratiche.
2. Inversione dell’onere della prova. Per ogni provvedimento, il default è il digitale. Per fare una cosa non in digitale, nella relazione economica di accompagnamento, bisogna dimostrare che costa meno non farla online.
3. Il digital lifestyle in televisione. Inserire nel contratto di servizio della RAI precisi obblighi di divulgazione del stile di vita digitale che non avvenga solo attraverso contenitori specifici, ma con un vero e proprio “product placement” a 360 gradi (TG, programmi d’intrattenimento, ecc.) in modo da familiarizzare anche le fasce di pubblico meno esposte all’uso quotidiano delle nuove tecnologie.

d. La qualità attraverso la valutazione e il merito.
Il grande vantaggio di essere un Paese arretrato, nel campo dell’amministrazione pubblica, sta nella possibilità di sfruttare l’esperienza dei Paesi più avanzati con tecniche di benchmarking, compiendo in poco tempo il percorso che gli altri hanno compiuto in decenni di sperimentazione e affinamento delle pratiche migliori.
Due esempi:

1. Dirigenti SMART. Nessun incarico dirigenziale potrà essere conferito se non in funzione del raggiungimento di obiettivi specifici e misurabili (SMART: Specific, Measurable, Achievable, Repeatable, Timely); l’attuazione progressiva del programma sarà resa visibile on line con tutti i relativi dati, in modo da poter essere oggetto anche di valutazione da parte di ricercatori, osservatori, associazioni di utenti, privati cittadini – il mancato raggiungimento degli obiettivi costituirà motivo di licenziamento del dirigente, come già prevede l’art. 21 del Testo unico del 2001, e motivo di non rinnovabilità dell’incarico nel caso di contratto a termine – corrispon- dentemente il management pubblico dovrà essere stimolato a riappropriarsi delle prerogative dirigenziali che gli sono proprie e a esercitarle incisivamente.
2. Una Task Force dei Risultati (Delivery Unit) presso la Presidenza del Consiglio. Valutare non basta. Bisogna istituire una “unità di risultato” presso la Presidenza del Consiglio, che sia responsabile del raggiungimento degli obiettivi strategici in materia di istruzione, sanità, trasporti e lotta alla criminalità sul modello della Delivery Unit britannica.

e. Semplificare a 360 gradi.
Le leggi statali in Italia sono oltre 21mila. È un numero troppo elevato, doppio o triplo rispetto a quello di altri paesi: in Francia sono meno di 10mila, quelle federali in Germania meno di 5mila. Alle leggi statali vanno aggiunte le circa 25mila leggi regionali, oltre agli atti normativi di livello inferiore. Le leggi e i regolamenti sono troppi, prodotti di continuo e modificati troppo frequentemente, poco coordinati tra loro, mal scritti, interpretati in modo incerto. Si pensa che i problemi si risolvano attraverso la modifica delle norme, piuttosto che la loro applicazione puntuale. La semplificazione normativa dovrebbe avvenire in 3 fasi, prendendo esempio dall’estero: raccolta ordinata delle leggi (Svizzera), consolidamento in testi unici per materia (Germania) e trasfusione dei testi unici in codici (Francia).
Il disegno di legge S-1873 del 2009 dimostra che il contenuto essenziale del diritto del lavoro può essere concentrato in poche decine di articoli, scritti per essere distribuiti in milioni di copie a tutti i lavoratori, imprenditori e consulenti e immediatamente comprensibili. Lo stesso si può fare in tutti gli altri campi, dal fisco (v. supra, 7) al diritto civile.
Si pensi al caso della Giustizia Civile. Com’è noto, siamo 126esimi dopo il Gabon nella classifica per la durata media dei processi. La relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione all’apertura dell’anno giudiziario 2012 contiene fra gli allegati i dati statistici del Ministero della Giustizia che evidenziano che nel 2011 la durata media dei procedimenti definiti con sentenza in Corte di Cassazione è stata pari a 36,7 mesi (ossia 1101 giorni supponendo una durata media del mese di 30 giorni), ai quali vanno aggiunti 1032 giorni di durata media del procedimento in Corte di Appello e 470 in Tribunale. Totale, 2603 giorni, pari a 86,7 mesi ossia a 7,1 anni.
Si propone:
1. la tendenziale unificazione dei riti. Ve ne sono attualmente più di 30, cioè 30 regole proces- suali diverse in relazione alla natura, all’oggetto, alla competenza e alla giurisdizione, ecc.. Non si vedono specifiche ragioni di differenziazione del rito per particolare cause. Non occorre specializzare i riti ma i giudici, istituendo sezioni specializzate presso gli organi giudiziari nell’ambito di un procedimento di specializzazione già da tempo avviato nell’organizzazione giudiziaria e imposto anche dalle risoluzioni consiliari di formazione delle tabelle;
2. la semplificazione della parte motivazionale delle sentenze, seguendo il sistema europeo;
3. l’applicazione del decalogo messo a punto dal Tribunale di Torino, che ha consentito una riduzione del 33% del carico pendente in 5 anni (2001-2006), ed è stato premiato dalla Commissione Europea. Esso prevede una serie di norme di comportamento rivolte a giudici e cancellieri, attinenti all’attività di direzione del processo, alla concentrazione delle attività, alla istruttoria del processo, alla conciliazione della lite, ecc;
4. facilitare la conciliazione all’interno del processo

CULTURA, TURISMO ED ALTRO
Il grande storico dell’economia Fernand Braudel fa risalire al Rinascimento l’emergenza di un “modello italiano” fatto di arte, di bellezza e dello spirito d’iniziativa che serve a trasformare questo patrimonio in un formidabile strumento di crescita, civile ed economica. Una cultura sostenibile che è alla base della nostra identità e del nostro sviluppo.
Il paradosso è che, proprio mentre si afferma nel mondo un nuovo capitalismo culturale, fondato sul valore dell’estetica, della creatività, dell’esperienza e della sostenibilità ambientale, l’Italia fatica a trovare il proprio ruolo. Noi proponiamo tre assi strategici per dare nuova vita al modello italiano.
a. Cultura
1. Più risorse pubbliche per la cultura. Bisogna invertire la tendenza a ridurre l’investimento pubblico in cultura. L’obiettivo tendenziale di medio periodo dovrebbe essere quello di arrivare all’1% del PIL fissato da François Mitterand e Jack Lang per la cultura francese.
2. Un nuovo regime fiscale per i finanziamenti privati. Per incentivare i finanziamenti privati alle istituzioni culturali occorre spostare l’onere della tassazione da chi eroga i finanziamenti a chi li riceve, garantendo parità di gettito fiscale ma mobilitando meglio le risorse con effetto moltiplicatore.
3. Una nuova governance: il Ministero della Cultura. L’Italia ha bisogno di un vero Ministero della Cultura, non di una farraginosa burocrazia dei “Beni e delle Attività Culturali”. Non si tratta di una disputa nominalistica, bensì di una profonda trasformazione che implica:
- La riconduzione del ruolo delle Soprintendenze alle sole azioni più rilevanti per la tutela, lasciando l’attività ordinaria ai Comuni che garantiscano livelli organizzativi adeguati.
- L’autonomia gestionale e di progetto delle singole istituzioni culturali, musei ecc.
- L’incentivazione della collaborazione pubblico/privato a tutti i livelli anche con la costituzione di nuove fondazioni

- L’applicazione sistematica di standard qualitativi (ISO) per la misurazione dei risultati di gestione.
4. Un’agenzia internazionale per i musei italiani.
Mobilitare risorse per la cultura attraverso un sistema analogo a quello istituito in Francia per i diritti internazionali dei musei.
5. Cambiare la Rai per affrancarla dall’influenza dei partiti, creare concorrenza sul mercato televisivo e rilanciare il servizio pubblico. I canali Rai che hanno una valenza “pubblica” vanno finanziati esclusivamente attraverso il canone. Gli altri, inclusi Rai 1 e Rai 2, devono essere da subito finanziati esclusivamente con la pubblicità, con affollamenti pari a quelli delle reti private, e successivamente privatizzati. Il canone va formulato come imposta sul possesso del televisore, rivalutato su standard europei e riscosso dall’Agenzia delle Entrate. La Rai deve poter contare su risorse certe, in base ad un nuovo Contratto di Servizio con lo Stato.
6. Dalla conservazione alla produzione. Una politica per le industrie creative nelle città e sui territori.
b. Turismo.
Negli ultimi venti anni l’Italia ha perso quote di mercato passando dalla prima alla sesta posizione come destinazione turistica nel mondo. Per tornare competitivi dobbiamo affrontare le criticità della nostra offerta, ricreando modelli originali e percorsi di qualità, consapevoli che investimenti di prospettiva, come sistema Paese, nel settore turistico possono garantire ritorni economici ed occupazionali anche di breve/medio termine, difficilmente assicurabili da altri comparti produttivi. Ecco le nostre proposte:
1. Reintrodurre una politica nazionale per il turismo, modificando la Costituzione per riportare il turismo tra le materie concorrenti, e rafforzando il ruolo dello Stato nella definizione degli standard di qualità e nella promozione e indirizzo dell’offerta turistica nazionale.
2. Una forte guida nazionale nell’ambito del governo ed un ruolo rafforzato per l’Agenzia nazionale del turismo (Enit), che deve diventare un centro di eccellenza e di attrazione di talenti per sviluppare le strategie di sviluppo della domanda turistica, di conoscenza dei bisogni dei diversi segmenti di turisti e di promozione del brand Italia sui mercati internazionali.
3. Riqualificare l’offerta turistica, operando per un innalzamento degli standard di accoglienza e di servizio sulle nostre eccellenze tradizionali (cultura, mare, gastronomia) ed investendo per occupare alcuni segmenti ad alto potenziale. In particolare occorre costruire un’offerta per il segmento dei grandi congressi (oltre i 2-3 mila partecipanti), sviluppare il sistema portuale per fare dell’Italia il centro della crocieristica mediterranea ed investire sul terreno dell’offerta di entertainment (parchi tematici, attrazioni cittadine) da affiancare alle nostre eccellenze tradizionali.
4. Affiancare al tradizionale circuito Firenze, Roma, Venezia, altre destinazioni turistiche d’eccellenza da 3-5 milioni di visitatori, adottando un modello simile a quello adottato con succes- so nel rilancio della regione tedesca della Ruhr di valorizzazione integrata di un’area. Proponiamo quindi di allocare quota parte dei fondi europei, circa 3 miliardi, a progetti integrati di valorizzazione evitando distribuzioni a pioggia ma selezionando 5-10 progetti ad alto impatto, presentati da consorzi pubblico-privato. Tali progetti saranno selezionati da una commissione indipendente nazionale, composta anche da esperti internazionali, in base alla capacità di attrarre capitali privati e alla capacità di aumentare il flusso turistico sulla destinazione.
5. La promozione turistica assorbe circa 800 milioni l’anno, dispersi su migliaia di enti territoriali, senza nessuna analisi di ritorno sull’investimento. Riteniamo che anche in quest’area occorra adottare sistemi di misurazione e di allocazione dei fondi in base ai risultati. Il Turismo oggi rappresenta l’8,8 per cento del PIL ed occupa direttamente oltre 860.000 lavoratori, noi riteniamo che adottando una strategia mirata il settore possa dare un contributo alla crescita del PIL nazionale di 0,5 punti l’anno e produrre in cinque anni, almeno duecentomila nuovi posti di lavoro.
c. Sostenibilità Il futuro non è una discarica.
È, prima di tutto, un’opportunità per compiere scelte coraggiose adesso, anche in materia ambientale. Scelte di temi e di metodo. È con questo spirito che affrontiamo le sfide che ci attendono: sicurezza energetica, rischi legati ai cambiamenti climatici, gestione delle risorse. Sfide da affrontare insieme alle amministrazioni locali, agli operatori del settore e alla società civile. Ciò che proponiamo è una forte, decisa via italiana alla “green economy”: che vuol dire far incontrare il meglio delle nostre vocazioni - la bellezza delle città e del paesaggio, il ricco e dinamico sistema dei parchi, la creatività che ha fatto grande il made in Italy, la coesione sociale - con le frontiere dell’innovazione ecologica, dell’energia pulita, del produrre senza inquinare, della mobilità sostenibile.
1. Le città intelligenti. Coinvolgere le amministrazioni cittadine nel raggiungimento degli obiettivi europei di riduzione delle emissioni, assegnando obbiettivi alle grandi aree urbane e ai comuni. Parte delle risorse per l’innovazione energetica deve essere destinata ai piani cittadini per le campagne d’introduzione delle tecnologie eco-efficienti (caldaie di nuova generazione, finestre a isolamento termico), della mobilità sostenibile e degli impianti solari e micro-eolici.
2. Rinnovabili per un’energia meno cara e più pulita. Come i più avanzati Paesi europei l’Italia deve portare nei prossimi vent’anni le rinnovabili sopra il 50% del fabbisogno energetico: questo ci farebbe risparmiare molti miliardi sulle importazioni di petrolio e di gas, consentirebbe di ridurre le emissioni inquinanti, aiuterebbe a creare centinaia di migliaia di posti di lavoro. Gli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili devono continuare fino al raggiungimento, ormai prossimo, della parità di costi con le fonti tradizionali, e vanno calibrati in modo da pesare il meno possibile sugli utenti e orientati a favorire le competenze e le eccellenze della ricerca e dell’industria italiana.
3. Ammodernare la rete elettrica e il mercato per ridurre il costo della bolletta. (v. supra, 5.d.).
4. Rifiuti. L’obiettivo è ridurre al minimo i rifiuti che finiscono in discarica; per raggiungerlo bisogna introdurre meccanismi fiscali che rendano meno conveniente questa forma di smaltimento e che penalizzino il consumo eccessivo di imballaggi, e al tempo stesso semplificare, liberalizzare le attività di recupero e riciclaggio da rifiuti. In Italia coesistono esperienze di assoluta eccellenza, che tutta Europa ci invidia, e situazioni di insopportabile degrado con i rifiuti ammassati per la strada: questa contraddizione va sanata puntando tutto sul recupero di materia, che tanto più per un Paese come il nostro povero di materie prime è una scelta anche economicamente vincente. Al tempo stesso bisogna spingere sulla riduzione dei rifiuti, partendo da esempi di successo come l’abolizione dei sacchetti per la spesa in plastica non biodegradabile.
5. Un territorio più sicuro. Il territorio italiano è minacciato da problemi antichi - scarsa manutenzione, abusivismo edilizio, eccessivo consumo di suolo - e da pericoli più recenti, primi fra tutti le conseguenze dei cambiamenti climatici. Per fronteggiare questi rischi vanno messe in campo azioni a breve termine (1 anno), come lo sviluppo di un servizio meteo-climatico nazionale allineato agli standard europei e una nuova legge d’indirizzo urbanistica che privilegi la riqualificazione del già costruito rispetto al consumo di suolo, e strategie a medio termine (3-5 anni), come un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e lo spostamento verso la manutenzione territoriale (lotta al dissesto idrogeologico, migliore gestione delle risorse idriche) e la mobilià sostenibile delle risorse finalizzate a nuove infrastrutture (v. supra, 5.d.).
6. Valorizzare il sistema agricolo e forestale, attraverso varie azioni: lo sviluppo di un mercato volontario dei crediti di carbonio agro-forestali coordinato a livello nazionale, legato al Proto- collo di Kyoto; la promozione dei prodotti legnosi per sostituire materiali ad alto consumo ener- getico (es. cemento, acciaio) e lo sviluppo di biomassa agro-forestale ad uso energetico (in particolare la filiera del biogas/biometano e i biocombustibili di seconda generazione), in linea con i criteri dell’Unione Europea; il sostegno all’agricoltura di qualità e multifunzionale quale presidio strategico dell’eccellenza italiana e della difesa del territorio; la tutela del prodotto agro-alimentare italiano nel mondo contro i falsi prodotti “italian sounding”, al fine di recupera- re fette di mercato che spettano ai prodotti della nostra terra.
7. Non auto blu, ma auto verdi. Imporre a tutte le amministrazioni pubbliche di acquistare solo auto a basso consumo via via che le attuali, a benzina o diesel, devono essere sostituite.
LA GARANZIA DELLA SICUREZZA
La sicurezza è un diritto essenziale, indissociabile da altri diritti quali il diritto al lavoro, all’inclusione sociale, alla salute, all’educazione e alla cultura. Occorre rifiutare qualsiasi strategia che faccia leva sulla paura, ricorrendo invece ad interventi atti a favorire una cittadinanza attiva, la consapevolezza dell’appartenenza al territorio urbano e lo sviluppo della vita collettiva. L’accesso ai diritti contribuisce a facilitare il diritto alla sicurezza.
a. Riduzione del numero delle forze di polizia.
Cinque sono troppe (polizia di stato, carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria, forestale e le varie polizie marittime). Per rendere più efficiente il sistema sicurezza non bisogna portare avanti solo una politica di tagli, ma quella della riorganizzazione investendo non tanto sul numero degli uomini quanto sulla loro specializzazione, sull’intelligence e sulle nuove tecnologie. Bisogna poi avere un solo numero per l’emergenza unificando tutti quelli esistenti. Un ruolo importante spetta alle polizie municipali, per la loro azione di “polizia di comunità e di prossimità”. A tale proposito andrà previsto un sistema integrato di sicurezza urbana che renda stabile e concreta la collaborazione tra le forze di polizia dello Stato e le polizie locali, eliminando competizioni e sovrapposizioni di competenze.
b. Coinvolgere i cittadini.
Attraverso la creazione di Comitati di Partecipazione per il coinvolgimento del pubblico sulle scelte in tema di sicurezza, degrado urbano e lotta alla microcriminalità. Il rispetto delle regole di convivenza è una delle questioni fondamentali. Occorre aiutare la comunità locale ad affrontare i conflitti culturali legati alla convivenza tra immigrati e autoctoni, stabilendo regole chiare e condivise. La semplice mediazione dei conflitti non basta: è necessario un lavoro dal basso per ricostruire nella comunità un senso delle regole che non sia solo difensivo, ma che si basi sia su una accettazione cosmopolita delle differenze che sul rispetto delle regole di base.
c. Un nuovo modello di ordine pubblico per la società multiculturale.
È necessario assumere agenti di origine straniera o di seconda generazione per favorire un modello di ordine pubblico adeguato ad una società sempre più multiculturale. Più in generale, le questioni complesse della criminalità e dell’immigrazione vanno affrontate con fermezza ma con razionalità, rifiutando ogni automatica assimilazione tra criminalità e fenomeni migratori. Il maggiore coinvolgimento che alcune tipologie di immigrati danno alla criminalità è innegabile così come è agevole la spiegazione del fenomeno: si tratta di maschi, giovani, senza radici familiari e in condizioni di irregolarità. Ridurre drasticamente l’irregolarità, in quanto potente fattore criminogeno, attraverso rimedi adeguati ed efficaci, che prevedano l’uso del sistema penale solo come extrema ratio. Questo è il modo migliore per ridurre il contributo dei gruppi immigrati al crimine. Capire perché altri gruppi riescono ad integrarsi e sostenere i fattori positivi di integrazione è l’altro passaggio fondamentale.
d. Combattere tutte le mafie.
La lotta alle mafie deve essere una delle priorità del paese, da combattere su tutto il territorio nazionale con strumenti innovativi, potenziando le attività di coordinamento, prevenzione e indagine. In particolare la questione dell’infiltrazione mafiosa nell’economia reale è un fenomeno da presidiare e contrastare. Basti pensare che secondo alcune stime “Mafia spa” fattura oltre 150 miliardi di euro l’anno grazie al traffico di droga, la prostituzione, il gioco d’azzardo e tutte le altre attività illecite. Una cifra immensa che poi si riversa nell’economia attraverso il riciclaggio, gli appalti, gli investimenti, l’usura. Le imprese mafiose, grazie alla disponibilità di enormi somme di liquidità, impediscono lo sviluppo delle aziende sane e in regola. Per questo bisogna cogliere la mutevolezza di questi fenomeni, valorizzando le esperienze di indagine condotte in alcuni contesti e la sperimentazione di osservatori locali finalizzati a leggere in maniera integrata i dati rilevanti in possesso dei vari attori istituzionali (procure, prefetture e forze di polizia, amministrazioni locali). Fondamentale anche aggredire con più efficacia i patrimoni illeciti della criminalità organizzata rendendo più snelle e meno burocratiche le procedure per la confisca dei beni mafiosi. Bisogna ridurre i tempi che passano dal sequestro alla confisca (attualmente ci vogliono dai 6 ai 10 anni), perché questi patrimoni (immobili, terreni, aziende ecc.), devono essere restituiti alla collettività sia per fini sociali che per riportare alla legalità intere filiere produttive, sostenendo le imprese confiscate e potenziando l’Agenzia dei Beni Confiscati.
e. Promuovere una cultura della legalità.
Per diffondere tra i giovani i valori di una nuova cultura della legalità in collaborazione con le tante associazioni di volontariato attive su questo tema, proponiamo di inserire all’interno dei percorsi didattici di ogni ordine e grado e trasversalmente alle materie, “l’ora di legalità”. In questo contesto lavoreremo per istituire un Forum nazionale sulla legalità con le migliori esperienze dell’antimafia sociale che si sono sviluppate in questi anni in molte parti del paese (associazioni di volontariato, cooperative sociali e scuole) con il compito di sviluppare e diffondere nei giovani le buone pratiche legate alle azioni di prevenzione e cultura della legalità.f. L’importanza del genere nelle politiche di sicurezza. Il tema della violenza alle donne va impostato in una prospettiva che riconosca la disuguaglianza esistente nei rapporti tra i due generi e i pregiudizi culturali dominanti. Politiche corrette di prevenzione della violenza sulle donne devono partire dal riconoscimento del conflitto di genere, dell’intreccio tra spazio pubblico e privato, dalla necessità di un’opera di prevenzione primaria e secondaria che si basi sulla responsabilizzazione degli uomini.
g. Giustizia penale nei tempi giusti.
Accorciare i tempi medi delle sentenze. Modernizzare i tribunali sul modello delle buone pratiche di Torino, Trento e Bolzano. Semplificare i processi e ridurre i riti con abbreviazione dei
tempi per ottenere la sentenza e la certezza di esecuzione della stessa (vedi supra, 8.e.). Superare l’attuale sistema della prescrizione del reato, oggi una delle maggiori fonti di ingolfamento
della giustizia penale.

h. Tolleranza zero per la corruzione.
Sarebbe inconcepibile che, proprio mentre il nostro Paese è chiamato ad imboccare la strada della crescita e dello sviluppo, si possa indebolire la lotta alla corruzione. La corruzione è un potente fattore di impoverimento e produce crisi di credibilità del nostro sistema economico, oltre che di avvelenamento della vita democratica. Efficaci politiche di prevenzione e repressione della corruzione sono invece garanzia della salute di un sistema economico e politico,
dell’efficienza della pubblica amministrazione, della fiducia dei cittadini nello Stato e nelle sue regole. Non solo repressione, ma anche prevenzione:

1. Previsione di nuove fattispecie contro la corruzione sistemica: traffico di influenze, corruzione per la funzione, corruzione privata: va prevista un’unica fattispecie di corruzione che raccolga tutte le ipotesi.
2. Potenziamento delle pene accessorie e in particolare della interdizione perpetua dai pubblici uffici.
3. Tornare a punire seriamente i reati contigui: ampliare ambito applicativo dell’abuso d’ufficio; ripunire il falso in bilancio oggi nella sostanza depenalizzato. 4. Adottare nelle singole amministrazioni di modelli organizzativi anticorruzione sul modello di quanto avviene già negli enti privati con la 231. Elaborare regole per contenere il rischio: ad esempio, necessaria rotazione degli incarichi nei gangli procedimentali più a rischio; evitare una eccessiva frammentazione degli appalti; monitorare eventuali ritardi o resistenze da parte di pubblici impiegati.
5. Elaborare e prescrivere standard vincolanti in materia di conflitto di interessi e incompatibilità.
6. Istituire il reato di autoriciclaggio. Siamo l’unico paese in Europa a non prevedere come reato il reinvestimento di capitale illecitamente percepito da parte dell’autore del primo illecito. Si tratta di uno strumento fondamentale sia nella lotta alla corruzione che alle mafie.i. Nuove regole per il gioco d’azzardo. Creare una rete di assistenza per i soggetti a rischio di dipendenza attraverso una forma di
assicurazione obbligatoria del giocatore. Proteggere le fasce deboli della popolazione sanzionando più duramente i gestori che trasgrediscono. Assegnare ai Comuni un potere decisionale in materia di licenze/autorizzazioni.

l. Per una pena meno afflittiva e più effettiva.
La detenzione in carcere dev’essere limitata ai reati più gravi. Saranno incrementate le pene pecuniarie, le sanzioni interdittive, la detenzione domiciliare e gli strumenti risarcitori, riparatori e conciliativi come istituti estintivi.
m. Ripensare la legge Fini-Giovanardi sui tossicodipendenti.
Devono essere introdotte forme di depenalizzazione, accanto a forme di incentivazione all’utilizzo delle risorse messe a disposizione da molti istituti per l’aiuto ai tossicodipendenti.
n. Restituire la Protezione Civile ai territori.
Riportare sul territorio la titolarità delle risorse abbinata alla responsabilità del sindaco e del presidente della regione per consentire agli amministratori l’attività di manutenzione preventiva del territorio e di immediato ripristino in caso di emergenze, sul modello dell’Emilia Romagna e del Trentino Alto Adige.
o. DAVID per la sicurezza stradale.
Con l’estensione su scala nazionale di una vera politica di sicurezza stradale, sul modello del progetto DAVID partito da Firenze, si possono dimezzare i morti da 5000 a 2500 l’anno (in gran parte giovani) e ridurre di 50000 i feriti gravi in Italia con un risparmio per la comunità di 1% del PIL (20 Miliardi di €).
DIRITTI ALL’ALTEZZA DEI TEMPI

L'altra faccia della medaglia dello sviluppo economico è rappresentato da quello civile. E' il legame indissolubile tra diritti civili e sociali una delle condizioni per la crescita dell'Italia. Le libertà appartengono a tutti i cittadini perché sono le fondamenta di una società aperta, dinamica, inclusiva. L'Europa da anni sollecita l'Italia ad attrezzarsi per combattere efficacemente qualsiasi tipo di discriminazione, superando le sterili contrapposizioni ideologiche e soffermandosi esclusivamente sui diritti, la dignità e le libertà della persona. Il nostro impegno sarà di lavorare nella direzione della piena realizzazione del solenne principio di cui all'articolo 3 della Carta Costituzionale, per cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, indipendentemente dalle loro caratteristiche individuali.
a. Immigrazione e cittadinanza.
1. Chi nasce e cresce in Italia è italiano. Come ha affermato Giorgio Napolitano, le seconde generazioni sono parte integrante della nostra società; si tratta di «giovani che, nati o cresciuti nel
nostro Paese, rimangono troppo a lungo legalmente "stranieri", nonostante siano, e si sentano, italiani nella loro vita quotidiana». Non solo praticano gli stessi sport, tifano per le stesse squadre di calcio, usano lo stesso gergo e indossano indumenti simili ai loro coetanei figli di cittadini italiani. Hanno aspirazioni simili, spesso non hanno conosciuto nessun altra cultura. Chi è nato nel nostro Paese, se ha almeno un genitore straniero legalmente soggiornante da almeno cinque anni, deve essere riconosciuto cittadino italiano. Chi è arrivato in Italia da piccolo e ha
frequentato due cicli di istruzione nel nostro Paese deve poter diventare cittadino italiano.
2. Immigrazione intelligente. Si aprano le porte alle competenze delle quali il nostro Paese ha bisogno, da valutare nelle ambasciate e nei consolati italiani nel mondo.
3. Regolare? Permesso veloce. Per permettere a coloro che hanno un lavoro regolare di acquisire un mutuo e di accedere alle altre attività che ne stabilizzino la residenza nel nostro paese.
b. Servizio Civile obbligatorio.
In attesa del Servizio Civile Europeo (v. supra, 2 b), introdurremo un tempo di servizio agli altri coincidente con la maggiore età, della durata di 3 mesi, per far riscoprire alle nuove generazioni il senso di appartenenza alla comunità nazionale.
c. Quote rosa a tempo.
Le donne per vivere il futuro con tutti i motori accesi e con tutte le vele spiegate, ci sono già. Aspettano di trovare uno spazio. Per questo ci vuole una legge che completi il percorso avviato con la l. 120/2011: estendere le quote di rappresentanza equa anche agli enti pubblici e alle liste elettorali, oltre che ai cda privati. Si propone una legge a tempo, perché le quote non sono un orizzonte, ma solo uno strumento: quote da rispettare per legge in tutti i cda, organismi collegiali, liste elettorali per 10 anni, in percentuali gradualmente tendenti al 50, entro 5 anni, attraverso una legge che "scade" e si auto elimina salvo verifica e riproposizione nel 2025.
d. Civil partnership.
Creazione nei primi 100 giorni di governo di un istituto che riconosca giuridicamente il legame d'amore ed il progetto di vita delle coppie dello stesso sesso garantendo da questo impegno pubblico diritti e doveri assimilabili a quelli discendenti da matrimonio: di cittadinanza, di assistenza, di successione e di equiparazione a livello fiscale e pensionistico. Una risposta concreta che supera divisioni strumentali e conferisce pari dignità ad ogni tipo di coppia.
e. Convivenze.
Registrazione delle coppie di fatto di qualunque orientamento sessuale al fine di riconoscere diritti, doveri ed interessi di carattere patrimoniale ed amministrativo.
f. Famiglie omogenitoriali.
Riconoscere ai bambini nati e cresciuti in famiglie omogenitoriali gli stessi diritti di tutti gli altri bambini, a cominciare dal diritto di adozione da parte del genitore non biologico ("stepchild adoption"), similmente a quanto previsto dalle legislazioni tedesca e finlandese. Questa soluzione garantisce l'interesse del bambino in quanto evita traumi nel caso di perdita del genitore biologico e garantisce la possibilità al bambino di non perdere il contatto con la figura dell'altro genitore.
g. Divorzio veloce.
Una forte riduzione dei tempi per divorziare quando c'è il consenso fra le parti e in assenza di figli.
h. Famiglie in crisi.
Riconoscimento ed effettivo rispetto del diritto indisponibile dei figli di genitori separati a ricevere pariteticamente da ciascuno di essi educazione e cura, attribuendo compiti certi a ciascuno dei coniugi. Un equilibrio di tempi, di sacrifici e di responsabilità che potrà anche concorrere ad assicurare alla donna pari opportunità sul lavoro e nella vita privata.
i. Violenza domestica e omofobia
Approveremo una legge contro la violenza commessa verso le donne, dentro e fuori dal nucleo familiare. Saranno introdotte aggravanti a sanzione dei reati con movente omofobico e transfobico. Saranno finanziate specifiche campagne informative e formative, anche nelle scuole, per l'educazione al rispetto e all'inclusione e contro la violenza.
l. Fecondazione assistita.
Adeguamento della legislazione corrente alla giurisprudenza europea ed italiana. Costituzione di una apposita autorità sul modello della Human Fertilisation and Embryology Authority.
m. Testamento biologico
Nel pieno rispetto dell'articolo 32 della Costituzione riconoscere la libertà di ciascuno di indicare sino a che punto si intende essere sottoposti a terapie nel caso si perda la coscienza e la capacità di esprimersi senza una ragionevole speranza di recupero. La nutrizione e l'idratazione artificiale siano garantite per tutti coloro che non le rifiutino esplicitamente nelle dichiarazioni anticipate di trattamento.
n. I diritti delle idee.
Come spiegare ai nostri figli che se prestano un libro cartaceo compiono un'azione commendevole, mentre se prestano un ebook commettono un reato? Bisogna rivedere il diritto d'autore per garantire non solo i diritti delle multinazionali, ma anche quelli degli utenti e del mercato italiano (intermediari ed editori
PIU’ ITALIA NEL MONDO
Siamo partiti dall’Europa e chiudiamo con l’Italia globale. Perché siamo convinti che un Paese profondamente rinnovato come quello che abbiamo in mente abbia un ruolo da giocare sulla scena internazionale. C’è bisogno di più Italia nel mondo. La nostra cultura, la nostra tradizione e la nostra collocazione geopolitica possono consentirci di svolgere una funzione unica: basta volerlo. I vecchi strumenti di politica estera, governati dalle diplomazie e dalle cancellerie, non sono più sufficienti a cogliere la complessità di un mondo sempre più globalizzato. Non solo esistono nuovi e importanti attori (la società civile internazionale, i media e i social network, le multinazionali, ma anche le centrali transnazionali del crimine), ma la proiezione internazionale di un Paese è ormai definita dall’insieme delle sue politiche domestiche e globali: da quelle commerciali alla promozione dell’immagine e dei propri prodotti scientifici e culturali (soft power), dalla politica ambientale internazionale al contributo ai temi dello sviluppo umano e della globalizzazione dei diritti, dai temi dell’immigrazione a quelli del controllo della finanza speculativa. In questa nuova dimensione, l’Italia ha i mezzi per contribuire ad una nuova “agenda democratica globale”, nell’ambito dell’Unione Europea, diventando protagonista nella promozione dello sviluppo sostenibile, della pace, della democrazia e dei diritti umani.
a. Un vero impegno per la governance globale.
Attraverso un’iniziativa italiana per la riforma di istituzioni come il Consiglio di sicurezza dell’ONU, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. L’Unione Europea deve dotarsi di un’unica, autorevole voce nei grandi fori multilaterali con un seggio unico.
b. Una strategia per il Mediterraneo in trasformazione.
Siamo nel mezzo di una rivoluzione che sta travolgendo i vecchi equilibri politici e sociali del Mediterraneo, dall’Egitto alla Siria. La giusta ricerca della libertà e della democrazia si mescola con la paura di arretrare sul piano del rispetto dei diritti civili e del pluralismo.
L’Italia deve svolgere un ruolo di leadership nello sforzo europeo di stabilizzare l’area, sostenendo le forze democratiche, promuovendo il dialogo politico e l’integrazione economica, costruendo gradualmente protocolli di sicurezza collettiva.
In particolare, dobbiamo sostenere concretamente la Primavera araba, anche attraverso accordi di partenariato Ue sulla mobilità delle persone con Marocco e Tunisia e una maggiore apertura del mercato Ue ai prodotti agricoli dal Mediterraneo meridionale, accanto a interventi per la sicurezza transfrontaliera, la lotta al terrorismo e la non-proliferazione di armi di distruzione di massa. Dobbiamo rilanciare la cooperazione con la Turchia, anche attraverso l’impegno a favorire la sua adesione all’UE. Dobbiamo salvare la soluzione dei due stati in Israele/Palestina, chiedendo a Israele che rispetti gli impegni sottoscritti nei suoi accordi con l’Ue e facendo leva sugli aiuti economici profusi dall’Ue per chiedere una riconciliazione tra le fazioni palestinesi imperniata sulla democrazia e la nonviolenza. Più in generale, dobbiamo promuovere la sicurezza e lo sviluppo in Africa, che sono anche condizioni necessarie per il nostro benessere, avvicinandoci all’obiettivo europeo di destinare per l’aiuto pubblico allo Sviluppo lo 0,7 % del PIL. Dobbiamo sostenere la trasforma-zione e l’integrazione europea dei Balcani, affinché si chiuda quanto prima la lunghissima fase post-jugoslava e si completi l’integrazione europea, puntando esplicitamente sui giovani e sulle leadership emergenti con sostengo finanziario, capitale immateriale d’esperienza politica, mediazione democratica, integrazione subnazionale e lotta antimafia.
c. Un’Agenzia indipendente per la Cooperazione.
La Cooperazione allo Sviluppo dovrebbe essere gestita - come in altri paesi - attraverso un’Agenzia indipendente. Le risorse della Cooperazione devono essere incanalate laddove l’Italia abbia interessi strategici. Inoltre, i fondi della Cooperazione dovrebbero essere legati alla negoziazione di obiettivi specifici da raggiungere da parte dei paesi riceventi, in termini di democratizzazione, rispetto dei diritti umani, protezione delle minoranze indifese (bambini, anziani, donne, minoranze etniche e religiose); trasparenza; rule of law.
d. Una sola voce per la cultura italiana all’estero.
Vi sono nel mondo 89 Istituti di Cultura, dotati di mezzi ridotti e con mandato incerto. È necessario ridurne drasticamente il numero, dislocando strategicamente quelli rimanenti, dotandoli di risorse adeguate e facendoli gestire da un’agenzia indipendente, sul modello del British Council. La mission degli Istituti deve essere ridefinita: da una parte polo di attrazione e di tessitura di reti per le eccellenze italiane presenti nei paesi ospitanti, dall’altra strumento di punta per la promozione del paese e di tutto quanto esso possa offrire. Per quanto riguarda la promozione linguistica, è necessaria una certificazione unica per la conoscenza della lingua italiana – come per le altre lingue – e la fusione degli Istituti con la Dante Alighieri, che potrebbe costituire il braccio operativo per la gestione dei corsi di lingua.
e. Sburocratizzare e snellire le Forze armate.
Promuovere il ricambio anche ai vertici di quel mondo, assicurare maggiori controlli sugli acquisti di armamenti e dare un nuovo impulso al processo di integrazione della difesa europea, la cui mancanza è fonte di grave debolezza dal punto di vista strategico e di enormi sprechi dal punto di vista economico.
f. Ridurre la nostra dipendenza energetica dall'estero.
Soprattutto dai paesi geopoliticamente instabili del Medio Oriente, del Nord Africa e dalla Russia, attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la promozione di nuove filiere tecnologiche nazionali, principalmente nel campo delle energie rinnovabili (v. supra 5 d, 9 c).
g. Una rete per i nuovi e vecchi italiani all’estero.
Un network di esperienza e di antenne sensibili che, andando oltre l’immagine delle vecchie comunità italiane, potrebbe diventare un catalizzatore di interesse per il nostro Paese e uno strumento di diplomazia culturale ed economica
LA PROPOSTA PIU’ IMPORTANTE
A proposito di esperienza e di reti: è chiaro che questo è solo l’inizio. Viviamo in un’era nella quale perfino il Pentagono affida ai social network il compito di riscrivere i manuali di proce- dura militare. Figuriamoci se, in un contesto del genere, può avere un senso che una o più teste pretendano di stilare un programma per il futuro dell’Italia. Per quante persone in gamba si riescano a mettere intorno a un tavolo, le idee migliori stanno sempre al di fuori. È questa la logica della Rete, ed è anche la logica alla quale saranno improntate le nostre scelte.
Scaturita dai Cento Punti della Stazione Leopolda 2011 e dal Big Bang degli amministratori loca- li, la bozza del Programma di Matteo Renzi è vissuta in rete per più di un mese, generando qua- si diecimila proposte, critiche e commenti. E’ il frutto di questa vasta condivisione che presen- tiamo oggi, alla vigilia delle Primarie del Centrosinistra. Ma non ci illudiamo che il percorso sia concluso. Al contrario, vi invitiamo a continuare a contribuire attraverso i comitati o il sito www. matteorenzi.it. L’unico requisito è sempre lo stesso: l’ambizione di cambiare l’Italia. Adesso!

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