venerdì 16 novembre 2012

ITALIA. TELEVISIONE E POTERE. RECENSIONE A L. ZANARDO, Senza chiedere il permesso. FRANCESCA RIGOTTI, Una tv da cambiare, oltre ogni vittimismo, IL MANIFESTO, 14 novembre 2012


Un saggio di Lorella Zanardo Di fronte a programmi manipolatori e scadenti, tocca a ciascuno esprimere le proprie scelte

Guarda il video: http://www.feltrinellieditore.it/SchedaLibro?id_volume=5100587



Ho letto l'ultimo libro di Lorella Zanardo, Senza chiedere il permesso (come cambiano la tv e l'Italia), (Feltrinelli 2012, pp. 235, euro 16), che mi ha lasciata colpita e sgomenta da una parte, perplessa dall'altra. Cerco di spiegare il perché, anche se non sono certo un'esperta del tema, concernente l'attuale miseria di gran parte della tv di servizio pubblico in Italia; in più non guardo la televisione di pomeriggio dai tempi in cui vedevo i telefilm di Rin Tin Tin, e anche di sera ne faccio poco uso. Guarderei volentieri Che tempo che fa, devo dire, se non ci fosse quel dannato problema col corpo delle donne; non perché venga offeso e bistrattato, ma perché non viene proprio considerato; da Fazio le donne non ci sono, non fanno parte della società civile italiana creativa e operosa di cui la trasmissione vorrebbe offrire uno spaccato. A meno che, a meno che...e qui viene il bello, non siano madri, mogli, sorelle o figlie di, a piacere: cantanti famosi (vivi o morti); vittime della mafia, vittime del terrorismo e simili. Ora, tutto questo corrisponde perfettamente al sistema familiare mediterraneo di tipo arcaico: nell'antica Grecia le donne non venivano mai nominate col loro nome in occasioni pubbliche, ma solo come mogli, madri, figlie, sorelle di Tizio e Caio. Peccato che siamo nel 2012.
Ma torniamo a bomba. In questo libro Zanardo sostiene, illustrando e argomentando le sue tesi in maniera brillante e convincente, che la televisione italiana di servizio pubblico produce programmi scadenti e manipolatori nonché lesivi della dignità maschile ma soprattutto femminile; proclama che la tv pubblica dovrebbe tornare a proporre trasmissioni di qualità che educhino con garbo e leggerezza, e non continuare a rincorrere al peggio la tv spazzatura dei canali berlusconiani; insegna infine, con l'aiuto di Cesare Cantù, a comprendere le immagini televisive osservandone bene l'angolazione dalla quale vengono prese, il montaggio e la relazione tra scopo e contesto. Ora, la mia ammirazione e il mio rispetto verso il lavoro di Zanardo sono sconfinati, bisogna dirlo; né intendo minimamente mettere in dubbio il coraggio e la generosità dell'autrice e nemmeno la sua capacità di enucleare e definire i problemi. Però un paio di punti non mi tornano e preferisco dirlo subito.
Punto primo. Nell'esporre la sua analisi e le sue considerazioni sulla tv Zanardo si riferisce spesso all'universo dei giovani che incontra nelle scuole, vittime innocenti di quei programmi nonché di un mondo dominato dai valori del profitto e del denaro, ma anche (alcuni/e di loro almeno), persone che sembrano essersi risvegliate dal sonno dogmatico per emergere all'uso della ragione (direbbe Kant). E fin qui tutto bene. È sul passaggio successivo di Zanardo che non concordo: «Non ritengo - scrive Zanardo - che le ragazze che lavorano in questa tv (la tv trash, ndr), possano essere considerate responsabili». Persino le giovani che allietano le notti del Cavaliere a Arcore o, aggiungo io, nella dacia di Putin, sono per Zanardo «incolpevoli ragazze, cresciute coi programmi che la nostra generazione aveva permesso che andassero in onda».
Ora, non usiamo magari il discutibile concetto di «colpa», ma quello di responsabilità sì e chiediamoci perché mai le donne, tutte le donne, dovrebbero essere non responsabili delle loro scelte. Perché poi, oltre a ciò, dovremmo esercitare una solidarietà trasversale con tutte le donne qua donne, con Aung San Suu Kyi come con Imelda Marcos? Certo che le donne sono oppresse, trascurate e maltrattate (e soggette a femminicidio) in genere, in Italia come altrove, ma questo non giustifica il fatto che debbano essere considerate non responsabili delle loro scelte e delle conseguenze delle loro scelte, altrimenti si ricade nella stessa mentalità che attribuisce alle donne la condizione di perenni fanciulle (vedi Schopenhauer o Nietzsche), di esseri domestici deboli e delicati (Levinas), insomma di eterne minorenni bisognose di tutori, mentori, padri spirituali, confessori e consiglieri di ogni genere. Certo che le donne sono oppresse, in primis dalle religioni nessuna esclusa. E tuttavia alcune donne si adattano al ruolo e magari lo sfruttano, altre invece si ribellano e cercano di modificare la realtà.
Sta o noi scegliere, impegniamoci, cambiamo la tv e l'Italia senza chiedere il permesso, invita, e giustamente, Zanardo. Ma proprio così dicendo si presuppone che le persone, le donne, possano scegliere. Dato questo presupposto, scelgo anche io da che parte stare: non con le veline, ma con le ragazze che studiano e lavorano e che scelgono di non vendere il loro corpo; scelgo di stare con i ragazzi che si danno da fare e criticano il mondo e cercano di divertirsi anche se magari tocca loro andar all'estero soffrendo di nostalgia lacerante, non coi razzisti e i picchiatori e gli hooligans del calcio che in Germania, dove li vedo all'opera, bevono e pisciano e vomitano nei vagoni ferroviari mentre i controllori guardano dall'altra parte e la polizia fa finta di niente. Ancora un appunto: le veline non sono puttane come gli hooligans non sono malvagi e sciocchi; le une e gli altri si comportano in alcune occasioni in maniera volgare e/o violenta, il che non vuol dire che non potranno magari ripensarci, scegliere e cambiare linea di comportamento.
Punto secondo. Per illustrare la mia seconda critica (che nulla toglie ecc.) riprendo il seguito della precedente citazione di Zanardo, ove ella parla delle incolpevoli ragazze che fanno tv spazzatura, e individua invece i veri colpevoli negli «adulti egoisti incapaci sia di svolgere il ruolo di mentore sia di proteggere la crescita delle nuove generazioni... incapaci di restituzione alle generazioni che li precedono e che li seguono, ingabbiati dal narcisismo e da un'autoreferenzialità che annienta ogni possibilità di dono e di cambiamento».
Ecco dunque i colpevoli e responsabili del malcostume, anzi il colpevole: il '68 e i suoi strascichi. Zanardo aggiunge qui la sua voce al coro dei denigratori di quella esperienza, alla quale attribuisce - in luogo della formidabile capacità emancipatoria che ebbe, al di là degli errori -, l'aver causato l'evaporazione di realtà e verità, l'aver trasformato il mondo in una bolla ermeneutica o in un perenne reality show, l'aver aperto di fatto la via all'individualismo, al berlusconismo, al neoliberismo e a tutti i peggiori orrori portati - dicono loro - dal postmoderno.
Non continuo perché un'argomentazione accurata delle ragioni del mio dissenso su questo punto sarebbe lunga e perderebbe di vista il tema specifico del libro, il cui pregio principale è l'esortazione a scegliere di cambiare, la tv e il mondo, coi mezzi che possediamo e inventandone di nuovi, e senza chiedere il permesso.

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