domenica 15 novembre 2015

FRANCIA. LA SITUAZIONE NELLE PERIFERIE PARIGINE. G. SLAUNICH, Francia, le banlieue 10 anni dopo la crisi: «Non è cambiato niente», CORRIERE DELLA SERA, 26 ottobre 2015

Dieci anni fa allargava le braccia in un parcheggio tra un casermone e l’altro: “Ma come immagini che si viva qui, in una città da 20mila abitanti, con un tasso di disoccupazione giovanile del 40%, solo tre banche e neanche un commissariato di polizia?”. “Qui” è Clichy-sous-bois, il Comune in periferia di Parigi da dove, nella notte tra il 27 ed il 28 ottobre 2005, è partita la rivolta delle banlieue francesi. Lui è Samir Mihi: all’epoca aveva 28 anni, faceva l’educatore sportivo e aveva appena fondato l’associazione “Au delà de mots” in ricordo di Zyed Benna e Bouna Traoré, i due ragazzini (17 anni il primo, 15 il secondo: nella foto sotto una loro immagine d’archivio) morti in un trasformatore EDF dove si erano nascosti per scappare dalla polizia. Alle 18:12 del pomeriggio del 27 ottobre, ora in cui l’incidente causò un black out lasciando la città al buio.



2005: tre settimane di scontri e incendi

«Morti per niente«, come scandivano i partecipanti ai cortei in loro ricordo, nei giorni successivi all’incidente. «Morti per niente», come urlavano le bande di giovani che bruciavano automobili e assaltavano edifici pubblici, nelle notti successive all’incidente. Per tre settimane, a cominciare dal 27 ottobre. Prima a Clichy-sous-bois, poi nelle altre città del “93”, il dipartimento Seine-Saint-Denis spesso definito come il più pericoloso della Francia. Poi negli altri dipartimenti della regione Ile-de-France, da Seine-et-Marne a Val d’Oise. Infine, in tutto il resto del Paese: notte dopo notte anche a Tolosa, Lilla, Lione, Nizza, Marsiglia, Nimes, Montpellier, Perpignan, Bordeaux, Strasburgo, Metz, Nancy. Zyed e Bouna, a quel punto, erano solo il pretesto di alcuni giovani delle periferie per protestare contro lo Stato, contro la Francia. Contro i quartieri-dormitorio diventati quartieri-ghetto degli immigrati, contro la discriminazione dei loro abitanti e l’impossibilità di cambiare le cose, contro la disoccupazione, contro la povertà, contro l’esclusione. Perché Clichy-sous-bois è alle porte di Parigi, ma lontana anni luce dalle possibilità che offre il centro. Bruciare automobili non colma il divario, ma è un segnale: ci siamo anche noi.

Bruciate in una notte 1400 auto. E scuole, magazzini...

Nella notte peggiore, quella tra il 6 e il 7 novembre, ne verranno bruciate 1.400. Oltre a scuole, magazzini, mediateche. All’indomani il governo decretò lo stato d’emergenza, votando anche un progetto di legge che ne modificava la durata massima portandola da 12 giorni a tre mesi. Sarà ritirato solo a inizio gennaio. La protesta, a quel punto, si era sgonfiata da un bel po’, tra coprifuochi e decine di migliaia di poliziotti mobilitati. Della crisi se n’è parlato ancora, però. Soprattutto ne ha parlato Nicolas Sarkozy, all’epoca ministro degli Interni e subito dopo candidato all’Eliseo. Poi, per un po’, la questione banlieue è caduta nel dimenticatoio. E’ tornata sotto i riflettori a gennaio, quando l’attentato contro Charlie Hebdo e quello nel supermercato kasher hanno riportato all’ordine del giorno le problematiche legate all’integrazione e alla radicalizzazione dell’islamismo. Ma di banlieue, nella vita di tutti i giorni, oggi si parla poco. Dando un’occhiata agli open data del sito internet del governo francese, si scopre che «la nuova geografia prioritaria» (il progetto che lavora per il rilancio delle banlieue) è al quindicesimo posto nella lista delle venti azioni di governo più cliccate. Interessano di più la ripresa, la sanità, l’ecologia o la riforma dell’asilo politico.

La proposta: «Coinvolgere i cittadini»

«La gran parte dei francesi tende a ignorare la situazione delle periferie», conferma il sociologo francese Michel Kokoreff, che nel 2013 insieme a Didier Lapeyronnie ha scritto il saggio Refaire la cité: l’avenir des banlieues. Parlando con il Corriere della Sera constata che «negli ultimi dieci anni non è cambiato niente, se non, appunto, il fatto che se ne parli meno. La situazione non esplode, ma implode: nel 2005 la gente è scesa in strada a bruciare automobili, oggi tende a ripiegarsi nelle proprie comunità finendo sempre più ai margini della società francese». La soluzione, secondo lui, è proprio quella di rendere gli abitanti dei quartieri difficili («in tutto 5 milioni di persone, su una popolazione totale di 60») i protagonisti del rinnovo delle banlieue: «Le politiche dall’alto finora non hanno funzionato, proviamo il paradigma inverso. Andando oltre la centralizzazione dello Stato francese: bisogna favorire le sperimentazioni locali, non c’è una ricetta sola che può andar bene per tutti».

L’esperienza della cité Coudraie

Come è successo a la Coudraie, cité del comune di Poissy nella periferia di Parigi: gli abitanti si sono opposti al progetto di rinnovo urbano con il quale non erano d’accordo e hanno proposto il proprio. Si ritrova la stessa ricetta nei progetti di Mohamed Mechmache, candidato per i Verdi alle regionali di dicembre presidente dell’associazione ACLeFeu nata all’indomani delle rivolte del 2005. «Le persone che vivono in banlieue vogliono partecipare alla vita dei loro quartieri. Non sono il problema delle periferie difficili, ma possono essere una parte della soluzione», spiega alCorriere. Anticipando che, sull’esempio di iniziative analoghe già messe in piedi nel 2006 e nel 2012 (nella foto sotto, il Ministero della crisi delle banlieue creato da ACLeFeu per le ultime elezioni) anche il prossimo anno vuole girare i quartieri difficili di tutta la Francia per raccogliere segnalazioni e idee da sottoporre ai politici. In tempo per le presidenziali del 2017.

2015: rinnovo urbano e trasporti

Intanto, sia Kokoreff che Mechmache lo confermano: se i problemi legati alle periferie non sono ancora stati risolti negli ultimi dieci anni molti quartieri, dal punto di vista dell’urbanistica, hanno cambiato volto grazie a progetti mirati. Il «Nuovo programma di rinnovo urbano 2014-2024» del governo Hollande, per esempio, ha stanziato 5 miliardi di euro per 200 quartieri difficili. Anche a Clichy-sous-bois non è la stessa di dieci anni fa. «Le banche sono sempre tre, ma adesso abbiamo il commissariato di polizia e anche una piscina comunale appena aperta. Il centro è stato ristrutturato, ci sono anche nuovi alloggi. Il 27 ottobre sarà inaugurata una via dedicata a Zyed e Bouna: ci lavoriamo dal 2005, finalmente ce l’abbiamo fatta». Oggi, parlando con il Corriere, Samir Mihi non allarga più le braccia. Anche se il suo bilancio di Clichy-sous-bois non è positivo: «Resta ancora moltissimo da fare», spiega. Dai trasporti (perché il progetto «Nouveau Grand Paris» per l’estensione delle linee di metropolitana dal centro alla periferia sia a regime ci vorranno almeno 14 anni) al lavoro.

Il lavoro e i giovani

Il presidente François Hollande la settimana scorsa ha inaugurato uno sportello per l’imprenditoria alla Courneuve (uno dei quartieri più poveri e pericolosi della banlieue parigina). Obiettivo: «Mostrare che ci sono dei talenti – ha dichiarato il presidente -. Noi dobbiamo parlare a questa Francia che non si vede, ma che ce la fa. In questi quartieri c’è tanta capacità d’innovazione e creazione». Ne è convinto anche Nicolas Hazard, imprenditore di 32 anni che due anni fa ha lanciato Le comptoir de l’innovation, una serie di incubatori d’impresa per startup. Il primo, a Parigi: «Ma ho cambiato subito idea: bisogna andare dove nessuno mette piede. Così ho aperto un acceleratore a Bobigny, nel ‘93», ricorda parlando con il Corriere. Il bilancio del primo anno è positivo: 20 startup sono diventate 20 imprese con 60 posti di lavoro. Il secondo è appena partito, con 30 startup. Secondo lui è nella banlieue che si deve guardare per trovare le imprese di domani: «Riceviamo tantissime candidature. Da chi non t’aspetti: soprattutto giovani dai 18 ai 25 anni, metà di loro sono ragazze». Lo sostiene anche Kokoreff: «I giovani e le donne hanno entrambi ruoli molto importanti nella vita delle periferie, anche se spesso sono invisibili. Dobbiamo trovare il modo di riconoscerli e rappresentarli nelle istituzioni: così le cose potranno cambiare».

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