lunedì 25 giugno 2012

CRISI DELLA DEMOCRAZIA E RINASCITA DI BRECHT. FORTE L., Marx è morto ma Brecht si sente piuttosto bene, LA STAMPA, 28 febbraio 2012

Grande revival. Nell'era dello spread e degli indignados mette in scena l'utopia di un mondo trasformabile

LUIGI FORTE
Bertolt Brecht è tornato di moda. Riappaiono sulla scena italiana dopo molti anni testi come La resistibile ascesa di Arturo Ui , interpretato da Umberto Orsini con la regia di Claudio Longhi, e Santa Giovanna dei macelli che Luca Ronconi presenta al Piccolo di Milano. Ma ci sono anche novità assolute come il dramma incompiuto La rovina dell’egoista Johann Fatzer , messo in scena a Torino da Fabrizio Arcuri nell’ambito di un’originale collaborazione, sostenuta dal locale Goethe-Institut fra Teatro Stabile e Volksbühne di Berlino. Un progetto che ha dato vita, tra l’altro, a una mostra fotografica e a un convegno internazionale sullo stesso Fatzer , mentre a Roma altri studiosi si cimentavano su Brecht e i media.

Non è facile racchiudere in una formula questo revival brechtiano. Ma è certo che, tramontata l’ideologia, si riesce ora a cogliere nel suo teatro il fascino rigeneratore della dialettica, la rappresentazione di un mondo trasformabile. Quello che oggi molti, soprattutto giovani senza speranza e futuro, reclamano a gran voce, di fronte a laceranti e insanabili contraddizioni. Soggetti che il drammaturgo avrebbe accolto con entusiasmo come spettatori consapevoli e attivi di quei drammi didattici scritti verso la fine degli anni Venti, che rispecchiavano non solo la crisi del teatro nel mondo della Grande Depressione, ma ancor prima quella di un’intera società in cui affiorava, sui campi di battaglia come nelle adunate di massa, l’eclissi dell’individuo. È il destino del soggetto Fatzer che diserta con altri tre compagni, abbandona la follia della prima guerra mondiale per trovarsi catapultato tra insolubili interrogativi: come conciliare, ad esempio, radicalismo e anarchia con il progetto di una nuova e più umana società, sensibile alle differenze e tensioni di classe, nemica dell’ingiustizia e della repressione.

A dominare la scena resta il grande tema del capitalismo che attraversa tutta l’opera di Brecht. Alle sue varie fasi cicliche si ispira la struttura della Santa Giovanna : dalla prosperità alla superproduzione, dalla crisi alla stagnazione. Mancano solo spread e bond e sembra di essere ormai nelle tempeste economico-finanziarie del nostro presente, su un orizzonte vuoto e senza prospettive, «in un’epoca [ma, attenzione, sono parole di Brecht!] in cui il sistema sociale dominante regola per grandissime masse popolari l’accesso al lavoro e al pane». La protagonista Giovanna Dark, missionaria dell’Esercito della Salvezza, vorrebbe eliminare nella Chicago del 1929 la miseria e la disoccupazione e riportare Dio in un mondo sempre più simile a un macello. Ma la lotta dell’«anima bella» contro il magnate della carne in scatola Pierpont Mauler non ha speranze: la bontà individuale si dimostra inutile, quando non dannosa, in una realtà dominata da un rapace sistema economico. La satira dell’idealismo è feroce e ci riporta ai toni duri dello scontro fra capitale e lavoro, profitti e miseria dei nostri tempi. Ronconi, alla sua prima messinscena brechtiana, è attratto soprattutto dallo spirito caustico e dalla vena cinica che pervade il testo, dal suo tono disincantato. Ma l’uso che egli fa della tecnica cinematografica per rappresentare grandi masse di proletari sarebbe piaciuta al drammaturgo e al suo amico regista Erwin Piscator, che con proiezione di filmati dilatava in chiave didattica l’evento scenico a grande spazio storico.

Chicago e l’America sono i luoghi metaforici di un capitalismo che altrove, come nella Germania weimariana, in un periodo di grandi squilibri politici, generano mostri sull’onda di populismo e razzismo. Brecht voleva spiegare agli americani il fenomeno Hitler e lo rivestì con i panni del gangsterismo d’oltreoceano. La resistibile ascesa di Arturo Ui , scritto dal drammaturgo nell’esilio finlandese all’inizio del 1941, poco prima di raggiungere gli Stati Uniti, descrive la parabola di un piccolo boss che grazie al crimine, all’appoggio politico, alla corruzione diventa un pezzo grosso, un big shot , come si diceva allora di Al Capone che è qui il diretto riferimento. Nella messinscena del testo Claudio Longhi ha iniettato una buona dose di elettrizzante kermesse, ha avvolto la violenza, non senza intuito didattico, nell’atmosfera del cabaret di cui Brecht s’era nutrito in abbondanza. Lui sarebbe il primo ad applaudire perché qui lo spettatore si appassiona e non finisce di interrogarsi.

Pizzo, commercio di voti, manipolazione di fatti e prove, eliminazione di testimoni, estorsioni e omicidi, colpevoli silenzi: dove siamo, a Chicago negli anni della Grande Crisi o nel nostro terribile presente? Impossibile non leggere in trasparenza i molti mali della nostra stessa società così come non scorgere nell’asociale Fatzer un soggetto insofferente a tutto ciò che soffoca il dissenso e produce violenza. Proprio questo testo frammentario rappresenta il momento più radicale nella drammaturgia di Brecht e un modello di riflessione per il nostro stesso presente. Esso rispecchia le contraddizioni sociali di cui è pieno il mondo che ora più che mai risuonano attraverso le voci dei tanti indignados, dei milioni di disoccupati e di giovani derubati anche dei loro sogni. Brecht sale di nuovo sul palco per annunciare l’utopia d’un mondo mutabile in cui tutti sono attori, pronti a rivestire un ruolo e ad abbandonarlo, se necessario, nel costante confronto democratico.

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