martedì 4 settembre 2012

STORIA POLITICA DELLA PRIMA REPUBBLICA. GLI USA E TANGENTOPOLI. GALLO M., Bobo Craxi: "L'America voleva cambiare regime in Italia", IL TEMPO, 30 agosto 2012

L’attacco vero era all’autonomia dell’Europa e ai suoi alfieri. Nel Belpaese tra loro c’erano Bettino Craxi e Giulio Andreotti. E, «se le rivelazioni dell’ex ambasciatore americano Reginald Bartholomew fossero state pubblicate prima, si sarebbe reso un gran servizio alla democrazia e sarebbe stato possibile per l’Italia diventare un Paese normale». Bobo Craxi, che fu sottosegretario nel governo D’Alema, commenta così lo scoop del corrispondente Usa de «La Stampa» Maurizio Molinari sull’inchiesta Mani Pulite. (http://kikukula3.blogspot.it/2012/09/gli-usa-e-tangentopoli-molinari-m-cosi.html)




Che succede, onorevole?
«Succede che, dopo vent’anni, emergono i fatti nella loro interezza. E si tratta di rivelazioni impressionanti e, direi, scandalose. Ci fu un’evidente influenza straniera sull’azione dei giudici contro i partiti di governo dell’epoca. Noi lo dicevamo e oggi lo conferma un importante diplomatico, che si accorse dello strano intreccio fra il console Usa a Milano e i pm».
Era una cosa che già qualcuno sapeva?
«In quegli anni si sospettava che il console fosse il capo di una sorta di "cellula" che aveva orientato in perfetto stile sudamericano l’azione giudiziaria. Ma non si pensava fino a questo punto...».
Ha mai avuto occasione di parlare dell’inchiesta su Tangentopoli con i pubblici ministeri che la gestirono?

«Recentemente mi sono ritrovato assieme a Gherardo Colombo in un dibattito pubblico e gli ho detto che ormai quella "guerra" era finita e che sarebbe stato bene se i suoi protagonisti avessero rivelato come veramente andarono le cose. Aggiunsi che si diceva che lui fosse legato alla Cia e Di Pietro al Fbi. D’altra parte Di Pietro era stato negli Usa ben quattro volte durante l’inchiesta...».
E lui?
«Lui non smentì. Sbiancò in volto, ma non disse nulla, non replicò».
Perché Bartholomew ha detto quello che ha detto?
«Rientrata l’emergenza Mani Pulite, Bartholomew fece sparire le prove, come avviene in tutti i colpi di Stato. Alla fine della sua vita ha voluto levarsi un peso, probabilmente, rendendosi conto che il coinvolgimento Usa si era spinto troppo in là».
Ma le tangenti c’erano. Questa non era un’invenzione...

«Certo. Non si può negare la degenerazione del sistema partitocratico, che, peraltro, è aumentata in misura industriale con la seconda Repubblica. Però si creò un vuoto politico con influenze extraistituzionali ed extranazionali. Ora non c’è più dubbio».
Qualcuno pensa che l’episodio di Sigonella segnò una frattura collegata all’atteggiamento americano durante Mani Pulite. Le risulta?
«No. Tutto nasce dall’89, dalla fine della logica di Yalta, che ha imposto agli Usa un altro orientamento. Era utile sbarazzarsi di alcuni leader, come Andreotti e Craxi in Italia, che avevano contribuito a costruire l’Europa. Quelli che mostravano una certa autonomia dagli Stati Uniti, anche se non erano sleali o infedeli».
La Cia ebbe un ruolo importante?
«Sicuramente. Lo spiega anche Bartholomew, sottolineando le ragioni si sicurezza interna e internazionale. Ricordo un bellissimo discorso all’Onu del presidente cileno Salvador Allende nel 1972, in cui delineava con lungimiranza questo sistema, sottolineando come forze economiche sovranazionali che non rispondevano alle regole democratiche erano in grado di orientare e distruggere le sovranità nazionali dei Paesi».
Lo scopo era cambiare un «regime» con un altro?
«Esatto. E la sinistra comunista vi contribuì».
Perché?
«Mani Pulite parte da sinistra e finisce a destra. L’idea originale, coltivata dai comunisti, era quella di un’azione liberatrice dalla partitocrazia che si è conclusa nel populismo più becero. Un populismo tuttora presente in personaggi come Berlusconi, Di Pietro e Grillo. I comunisti commisero un errore clamoroso: pensarono di approfittare di tangentopoli per eliminare il "pericolo" socialdemocratico e s’inebriarono di quella sbornia. Bisogna ricordare che i rapporti di forza elettorali fra socialisti e comunisti erano quasi in equilibrio nel ’92. I comunisti, spaventati da una leadership socialista della sinistra intera, si vendicarono su mio padre. E ci fu anche un effetto pardossale...».
Quale?
«Chi aveva spinto l’Europa verso l’89, verso la dissoluzione del blocco comunista, usciva sconfitto dalla guerra fredda e dalla logica di Yalta. Tra loro, c’erano mio padre e i socialisti».
Come sarebbe andata senza queste influenze, secondo lei?
«Nel ’92 un governo di unità nazionale di Dc, Psi e Pds avrebbe portato a un sistema politico totalmente europeo. Ed era questo che si voleva evitare. Come sarebbe andata? Saremmo rimasti o diventati un Paese normale. Scelga lei il termine più adatto...».

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