sabato 22 settembre 2012

ITALIA. PARTITI, MOVIMENTI E TEORIE POLITICHE . BELPOLITI M., Renzi, il giovane di professione, L'ESPRESSO, 21 settembre 2012

La foto che ritrae il giovane sindaco di Firenze sul podio della sua campagna per le primarie è maliziosa, ma qualcosa di vero intorno a lui lo dice comunque. Porta le mani alla testa, come a cercare un pensiero, a ricordare qualcosa, una forma di concentrazione improvvisa, un gesto da adolescente, a suo modo informale, là dove i politici del passato, ad esempio Aldo Moro, utilizzavano il gesto della disputa, ovvero il pollice e l'indice della destra che si chiudono ad anello stringendo l'anulare della sinistra, che serviva a mettere in risalto la precisione dell'argomentazione. Non si argomenta, si manifesta: Adesso! Nello slogan con cui Matteo Renzi si presenta possiamo cogliere qualcosa d'altro. Il punto esclamativo, vero segno della sua propaganda, vale ben più dell'avverbio "adesso". Verso questo segno d'interpunzione, divenuto un vero e proprio logo, il Novecento ha manifestato biasimo e forti riserve.




Forse perché figurava nella propaganda mussoliniana, per cui l'esclamazione era la marca stessa della sua intonazione sonora e visiva. Pur nella concitazione delle campagne elettorali del dopoguerra Togliatti e De Gasperi evitavano di usare il corpo e i gesti, oltre le esclamazioni, per convincere, o rassicurare, i propri simpatizzanti, o militanti. Personaggi pacati - Togliatti secondo Italo Calvino manifestava una "assenza di nervi" -, per i due leader carismatici del dopoguerra la pacatezza valeva più di ogni altra cosa, mentre il punto esclamativo, come dicono i linguisti, è indice evidente d'agitazione. Erano dei professori o, come è stato detto, topi di biblioteca. Ve lo figurate voi Renzi con gli occhiali? Se anche avesse un deficit visivo, ricorrerebbe alle lenti a contatto. Gli si addice infatti il volto sgombro, con la sua facciona rosea, la corporatura robusta, un poco rotondetta, nonostante qualche dieta dimagrante. Non vuole essere, né lo è, un intellettuale; non ne reca alcun segno specifico, anche se gli piace circondarsi di scrittori, intellettuali: il pensatoio. Renzi vive in un'epoca post-berlusconiana, in cui la politica si fa con la concitazione e soprattutto con il look.
Ecco le maniche arrotolate, non fino oltre il gomito, come il suo concorrente, perché Renzi non ha nulla a che fare con il mondo contadino, con l'arrotolata del provinciale di Piacenza, in cui si legge ancora l'eredità del passato. La manica di camicia ripiegata del sindaco di Firenze vuole essere da manager, cui s'addice. Renzi, del resto, viene dal marketing, si presenta come ex imprenditore.

Non ha il look da creativo, come Marchionne, tutto maglioncino e sciarpetta, o la barba incolta; Matteo è glabro, ben sbarbato. L'aspirante segretario esprime piuttosto il tipo dell'italiano medio così come si è manifestato nello stereotipo cinematografico degli ultimi vent'anni, cinepanettoni compresi: volto aperto, casareccio. Finito il proletariato operaio, in canottiera, tuta blu, basco, ecco apparire l'uomo in braghe corte, appena sopra il ginocchio, scarpe sportive, camicia fuori dai calzoni, e magari un paio d'infradito nei piedi, di cui Bossi ci ha fornito un esempio populista e sbracato. Renzi alterna perciò la divisa da sindaco -giacca e cravatta di un unico colore - che esprime eleganza, ufficialità, coerenza, con quella più informale del giovane leone, che tiene aperta la camicia bianca sul petto di due bottoni quale segno di libertà e spensieratezza. Ha qualcosa del guascone, ma non troppo, perché è pur sempre un rappresentante delle istituzioni, che sa mettersi "comodo" fuori dai contesti cerimoniali.
Ha acquisito la lezione berlusconiana della informalità formale: farfallino e jeans, frac e T-shirt, tuta e cravatta. E' anche un uomo post-ecologista, che inforca la bicicletta, e si fa fotografare mentre guida una ruspa piuttosto che una fuoriserie: sportivo, casual, mai solenne. E' in posa, anche se la sua è la posa di non aver posa: spontaneità glamour. La giovinezza è la sua arma migliore. Una giovinezza che è più alla Kennedy che non alla Obama, designata dal ciuffo (anche se nella sua prima campagna elettorale il presidente americano si è avvalorato per il suo stile alla Kennedy, con moglie e figlie). La giovinezza del competitor di Bersani è quella del bamboccione che ce l'ha fatta, che ha trovato un lavoro, che è diventato sindaco, ma che è pur sempre uno-di-noi, un ragazzo che ha fatto carriera e che ora vuole dare - o restituire - ai suoi elettori (i coetanei) quello che gli spetta. L'epica del dono è uno dei motivi sottotraccia della sua campagna elettorale, in questo perfettamente a suo agio in un'epoca post-berlusconiana che non ritorna al passato, come propone l'etica di Mario Monti, una sorta di austerità imposta dalla razionalità dei mercati, piuttosto che dal francescanesimo berlingueriano e comunista. Renzi vuole andare avanti, o almeno così lascia intendere, e non ha davvero dei modelli certi né nel look né nella politica. Assembla, mescola, ibrida, congiunge, nello stile e nelle parole

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