domenica 30 settembre 2012

ITALIA. VERSO LE ELEZIONI. MONTEZEMOLO A SOSTEGNO DI UNA LISTA MONTI, CAZZULLO A.,Montezemolo: «In campo per un Monti bis», IL CORRIERE DELLA SERA, 30 settembre 2012

«Non rivendico ruoli, Italia Futura cercherà il consenso elettorale nell'agenda del premier»




Presidente Montezemolo, il premier Monti ha dato la sua disponibilità a restare a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni. È una buona notizia per il Paese? E per lei cosa cambia?
«È un’ottima notizia. La stagione delle riforme è appena iniziata. Mario Monti è riuscito a dare agli italiani l’idea che si possa voltare pagina, affrontando un momento drammatico della nostra storia. Adesso è necessario un passaggio elettorale per consolidare il lavoro svolto e andare oltre. Dobbiamo legittimare con il voto di milioni di italiani l’apertura di una stagione di ricostruzione nazionale, che sarà lunga e difficile».
Non crede sia arrivato per lei il tempo di dire una parola definitiva su quel che intende fare?
«Il progetto a cui è sempre stata interessata Italia Futura è contribuire al rinnovamento della politica nelle persone, nelle idee e nelle proposte. Per questo è necessario costruire una grande forza popolare, riformatrice e autenticamente liberale, che nasca dall’incontro tra società civile e politica responsabile e si ponga l’obiettivo di dare consenso elettorale al percorso avviato da Monti. Personalmente intendo impegnarmi perché questo progetto abbia successo, senza rivendicare alcun ruolo o leadership. La mia speranza e quella di molti cittadini è che il premier voglia continuare a guidare la fase che si aprirà dopo le elezioni, insieme a tanti altri italiani che dovranno abbandonare le tribune, impegnandosi in prima persona, senza nulla chiedere in cambio in termini di ruoli o ricompense».
Non teme che l’operazione possa essere considerata debole fin dalle premesse? Nelle democrazie occidentali si mette in campo un partito o una lista con l’ambizione di guidare il Paese, non di sostenere un premier che alle elezioni non è neppure candidato. «Il Paese è a pezzi, il sistema produttivo sopravvive solo quando esporta, il disagio sociale enorme e il distacco tra politica, istituzioni e cittadini non ha precedenti. Ogni giorno scopriamo con sgomento nuovi scandali, ruberie e inaccettabili privilegi. Lo spettacolo che sta dando la politica è passato dal cinepanettone di cui parlavamo due anni fa a un horror di serie b. Stiamo vivendo una situazione esplosiva. È ora che il governo intervenga subito e con determinazione, e quindi per decreto, sui centri di spesa regionali. La prossima legislatura non potrà che essere costituente, è impossibile pensare di tornare alla conflittualità permanente della Seconda Repubblica. L’Italia non ha bisogno dell’ennesimo partito personale, grande o piccolo che sia, e Italia Futura non è mai stata interessata a esserlo. Serve un ampio movimento civico che si ponga l’obiettivo di dare rappresentanza ai milioni di italiani che si sono riconosciuti almeno in parte nel percorso di Monti, che non credono alla retorica populista antieuropea della destra o ai neostatalismi della sinistra. Milioni di italiani che in assenza di una vera novità non andranno a votare».

Quindi l’alleanza con il Pdl, di cui si parla e si scrive da settimane, non ci sarà?
«Alleanza, no; del resto l’abbiamo sempre smentita. È opportuno invece dialogare con le persone responsabili che sono nel Pdl e guardano con preoccupazione al futuro di un partito che resta una realtà importante del mondo moderato. Così come abbiamo ottimi rapporti con la parte più responsabile del Pd». Ma il nuovo movimento dovrà pure fare alleanze. O no?
«È mai possibile che i tanti milioni di italiani che non si riconoscono nel Pd o nel Pdl siano condannati a disperdere il loro voto in piccoli partiti, la cui massima aspirazione sembra essere quella di accordarsi con questo o con quello, invece di ritrovarsi in un unico grande soggetto che abbia l’ambizione di essere il primo partito? Serve un movimento che nasca dalla scelta comune di tante personalità e associazioni, provenienti da matrici ed esperienze diverse ma unite dalla convinzione che nessuno degli attuali partiti sia da solo in grado di rispondere alla crisi italiana. Oltre la destra e la sinistra di questa fallimentare Seconda Repubblica occorre dare finalmente un approdo agli elettori liberali, democratici e riformisti».
Lei elogia il governo del rigore. Ma di troppo rigore non si rischia di morire? Quale sono le sue proposte per la crescita? «La crescita è il grande tema della prossima legislatura. Con molta franchezza, è su questo tema che dall’attuale governo sono venute le maggiori delusioni. Si è data l’impressione di perdersi in mille rivoli e annunci mirabolanti, mentre occorreva una visione netta e pochi obiettivi chiari. Io penso che dobbiamo rimettere al centro lavoro, produzione e cultura: i tre pilastri su cui costruire il rilancio italiano e sui quali concentrare ogni euro disponibile. E l’unica via per trovarne è ripensare radicalmente il perimetro dello Stato. Agli italiani serve uno Stato più forte nei suoi compiti fondamentali ma meno pervasivo. Un solo esempio: non è possibile con una spesa pubblica gigantesca a otto anni dall’ultimo indulto, siamo di fronte a una nuova emergenza carceri. Non è pensabile che si costituisca ogni giorno un nuovo fondo per questa o quella categoria d’imprese, quando a migliaia chiudono per il peso insostenibile del fisco. Meno incentivi, meno tasse e soprattutto molte più dismissioni. Agli italiani sono stati richiesti sacrifici immani. Ora è lo Stato che deve fare la sua parte».
La collocazione naturale del nuovo movimento sembra essere il centro. Che è già presidiato da Casini, contro cui Italia Futura ha preso una posizione critica. Perché? È vero che c’entra qualcosa la presenza della Marcegaglia?
«Non ho alcun pregiudizio nei confronti dell’Udc, di Casini che conosco da trent’anni, o di Emma Marcegaglia che è stata tra l’altro una mia vicepresidente in Confindustria per quattro anni. Anzi, ho apprezzato che l’Udc sia stato l’unico partito ad ammettere di aver bisogno della società civile, ed è positivo che Emma Marcegaglia si sia dichiarata disponibile a impegnarsi. Detto questo, esiste una questione che riguarda la credibilità oggettiva del progetto presentato a Chianciano. Non credo basti cambiare la cornice del simbolo, o reclutare due o tre figure dalla società civile o dal governo, per realizzare operazioni di vero rinnovamento. Se i partiti del centro hanno in testa qualcosa di diverso da una “Udc 2.0”, da un remake dello stesso film, e pensano invece a contenuti, idee e rinnovamento vero della classe dirigente, allora vale assolutamente la pena aprire un dialogo. Senza tatticismi o idiosincrasie, perché gli italiani non capirebbero operazioni all’insegna dello slogan “tutto cambi perché niente cambi”. Il tempo in cui si poteva essere per il rigore a Roma e per gli sprechi in Sicilia è finito».
Molti tra gli elettori delusi dai partiti guardano a Grillo. Che ne pensa?
«È inevitabile che sia così. E io penso che ogni nuova forza che affronta il giudizio degli elettori abbia il diritto ad essere rispettata. D’altra parte i partiti non sono riusciti, neanche di fronte al totale discredito pubblico e a un’emergenza economica che costringe gli italiani a enormi sacrifici, a realizzare riforme di una qualche rilevanza. Ma le risposte non possono essere distruttive o populiste, perché il populismo è una delle cause della crisi italiana. Affrontare una profonda riforma dello Stato è il migliore antidoto».
Renzi che impressione le fa?
«È un fatto nuovo, una bella dimostrazione di democrazia. È giusto che il sindaco di una grande città europea possa ambire a essere il leader di un partito. Non possiamo da un lato lamentarci dei professionisti della politica e dall’altro allarmarci se un giovane si fa avanti».
Della Valle, suo socio in Ntv e suo amico, ha usato un linguaggio molto duro verso Marchionne ed Elkann. Chi ha ragione?
«Guardi, con la famiglia Agnelli ho da quarant’anni rapporti di stima e di affetto che attraversano le generazioni, da Gianni Agnelli a Leone Elkann, il figlio di John. Mi sono sempre sentito orgoglioso di far parte di una quadra. Quando la famiglia mi chiese di assumermi responsabilità, non mi sono tirato indietro. Le lascio immaginare la mia profonda amarezza di fronte alle parole di Diego, che non condivido nella sostanza e tanto meno nella forma, in rapporto a una polemica nei confronti della famiglia e di Sergio Marchionne che considero dannosa e sbagliata. Sono stato presidente della Fiat per sei anni, e posso ben dire che Marchionne ha salvato l’azienda».
Ma della Fiat che sarà? Manterrà gli stabilimenti e la "testa" in Italia? O rischia di diventare la sottomarca europea della Chrysler?
«La Fiat opera in uno dei settori più difficili e competitivi del mondo, con un mercato europeo tornato indietro di trent’anni. Eppure ha confermato di voler rimanere in Italia. L’operazione Chrysler sarà fondamentale per il futuro di Fiat. E non dimentichiamoci mai che una grande azienda come Peugeot, e altre presenti in Europa, si trovano oggi in enormi difficoltà. La questione a cui dobbiamo dare una risposta è se l’Italia vuole continuare a essere un grande Paese industriale, con regole e condizioni da grande Paese industriale. Io sono sicuro di sì, e anche per questo ho investito in Ntv. Ma attenzione, Ntv è un’esperienza che se da un lato conferma che c’è grande potenziale di crescita, dall’altro mette in evidenza che fare impresa in Italia oggi è una missione quasi impossibile».
Perché dice questo?
«Perché tra barriere alla concorrenza e insufficiente attenzione da parte del governo siamo l’unico Paese al mondo dove sembra che la politica faccia una cortesia a lasciar investire i privati. Per questo dico: dobbiamo favorire e premiare l’Italia che rema e che continua ad avere fiducia nelle proprie potenzialità, restituendo al lavoro e alla produzione il posto che meritano, anche nelle politiche fiscali. Lavoratori e imprese sono legati in maniera molto forte in questo momento storico. Con una tassazione sulle imprese che è vicina al 70%, con un costo dell’energia del 30% superiore alla media europea, con una burocrazia asfissiante, una produttività bassa, norme spesso assurde e liberalizzazioni insufficienti o continuamente rinviate, come possiamo pensare che gli imprenditori continuino ad investire e l’occupazione cresca?

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