sabato 25 aprile 2015

70 ANNI DALLA LIBERAZIONE. G. SANTOMASSIMO, La resistenza incompiuta: il lungo addio, IL MANIFESTO, 25 aprile 2015

Il rap­porto tra discorso pub­blico e Libe­ra­zione ha cono­sciuto fasi molto diverse, a volte con­tra­stanti. Si pos­sono cer­ta­mente indi­vi­duare delle costanti, ma è ancora più utile riflet­tere sui muta­menti di fase e sulle loro impli­ca­zioni. 


Del resto è un feno­meno che si svi­luppa in forma sostan­zial­mente auto­noma rispetto alla sto­rio­gra­fia, che pro­cede in paral­lelo: non è certo inin­fluente, ma viene rece­pita, quando accade, molto tempo dopo.
È signi­fi­ca­tivo che una reto­rica uffi­ciale prenda forma prima ancora del com­ple­ta­mento degli eventi. Nasce infatti nel 1944, quando viene già isti­tuita una «gior­nata del par­ti­giano», fis­sata, per sot­tile e incon­sa­pe­vole iro­nia delle date, al 18 aprile. C’è una grande enfasi attorno ai com­bat­tenti ita­liani, in divisa e per bande, che deve ser­vire a faci­li­tare quelle che ven­gono imma­gi­nate nor­mali trat­ta­tive di pace. Non ser­virà a molto su que­sto ter­reno, ma per altri versi non sarà affatto inu­tile: la nuova imma­gine degli ita­liani si costrui­sce anche attra­verso il rico­no­sci­mento inter­na­zio­nale dell’esistenza di com­bat­tenti ita­liani per la libertà.
Ma notiamo subito alcune carat­te­ri­sti­che che reste­ranno a lungo impresse nel discorso pub­blico attorno a quella che poi, a cose fatte, verrà defi­nita, sull’esempio fran­cese, Resi­stenza. Il carat­tere pres­so­ché esclu­si­va­mente patriot­tico, da subito col­le­gato – come pro­ba­bil­mente era «natu­rale» che fosse – all’esperienza risor­gi­men­tale. E il carat­tere lar­ga­mente asso­lu­to­rio del richiamo ad essa: Resi­stenza uti­liz­zata come lava­cro delle colpe col­let­tive, delle com­pli­cità, dei ritardi e dell’acquiescenza della società ita­liana nei con­fronti del regime fasci­sta. L’illusione di far parte del novero dei vin­ci­tori («anche l’Italia ha vinto» tito­lava una rivi­sta già alla libe­ra­zione della Capi­tale). Infine, come era ine­vi­ta­bile in quel con­te­sto, il rilievo pre­pon­de­rante se non esclu­sivo attri­buito all’elemento della guerra in armi, sacri­fi­cando mol­tis­sime com­po­nenti dell’esperienza resi­sten­ziale che emer­ge­ranno len­ta­mente e con fatica nei decenni successivi.
Ma su tutto que­sto irrompe una bru­sca cesura a par­tire dal 1947, con la rot­tura dell’unità anti­fa­sci­sta e con l’ingresso a pieno titolo dell’Italia nel mondo che ci abi­tue­remo a defi­nire della «guerra fredda». Improv­vi­sa­mente la Resi­stenza cessa di essere una risorsa e diviene una com­pli­ca­zione, talora un far­dello per i gover­nanti. Si inau­gura quello che potremmo defi­nire il falso pro­blema della «guerra civile», che con­tra­ria­mente a quanto si dirà in seguito incombe nel discorso pub­blico (verrà dismesso solo a par­tire dagli anni Ses­santa) e in ter­mini ancor più depre­ca­tivi («guerra fra­tri­cida» sarà la for­mula ufficiale).
In gran parte falso pro­blema per­ché già ampia­mente risolto in ter­mini giu­ri­dici dall’amnistia del 1946, per­ché le sue dimen­sioni erano state cir­co­scritte in ter­mini minimi rispetto a «vere» guerre civili come quella spa­gnola o ad altri feno­meni, dif­fu­sis­simi, di col­la­bo­ra­zio­ni­smo nel corso del con­flitto. Infine per­ché il paese aveva già cono­sciuto un’autentica guerra fra ita­liani nel corso di quello stesso Risor­gi­mento cui la memo­ria pub­blica si richia­mava con acco­sta­mento pres­so­ché obbli­gato nelle cele­bra­zioni del 25 aprile.
Die­tro lo schermo della «guerra civile» si cela­vano però frat­ture desti­nate a rima­nere irri­solte nella coscienza nazio­nale. In primo luogo il pro­blema che potremmo defi­nire della lenta e dif­fi­cile meta­bo­liz­za­zione del fasci­smo da parte della società ita­liana: un lascito di men­ta­lità, cul­ture e con­sue­tu­dini che agiva sot­to­trac­cia ben al di là dell’apparente una­ni­mità del ripu­dio che aveva segnato i mesi della caduta di Mus­so­lini. In secondo luogo, dif­fi­cile da cogliere oltre l’ufficialità delle nar­ra­zioni, ope­rava la sovrap­po­si­zione tra Costi­tu­zione scritta sulla base dei valori dell’antifascismo e «costi­tu­zione mate­riale» anti­co­mu­ni­sta su cui si model­lava il nuovo potere delle classi diri­genti. Una ten­sione con­flit­tuale che rie­mer­gerà in mol­tis­simi momenti della vita repub­bli­cana, e che oltre­pas­serà anche i con­fini di quella che verrà defi­nita «Prima Repubblica».
Que­sto clima comin­cia a incri­narsi in occa­sione del primo Decen­nale, mal­grado la divi­sione per­du­rante tra le stesse orga­niz­za­zioni par­ti­giane. L’elezione di Gio­vanni Gron­chi, con un richiamo diretto alla Resi­stenza, guerra di popolo, e soprat­tutto con la con­sta­ta­zione che una Costi­tu­zione esi­steva e andava attuata al più pre­sto (si par­tirà a breve con la Corte costi­tu­zio­nale) era un segnale di muta­mento. Nella lun­ghis­sima incu­ba­zione del cen­tro­si­ni­stra gio­cherà un ruolo anche il reci­proco rico­no­sci­mento nei valori riaf­fer­mati della tra­di­zione antifascista.
La vera svolta si avrà nel luglio 1960, con la prova di forza vinta da un anti­fa­sci­smo vec­chio e nuovo, fatto anche di gio­va­nis­simi, con­tro il ten­ta­tivo di tor­nare indie­tro da parte del blocco cle­ri­co­fa­sci­sta che si era rico­no­sciuto nell’avventura di Tam­broni. Da que­sto momento in poi Resi­stenza e anti­fa­sci­smo diver­ranno a lungo cen­trali nel nuovo discorso pubblico.
Con qual­che ambi­guità per­du­rante, che replica i vizi di ori­gine, a volte per­fino ingi­gan­ten­doli. La for­mula cano­nica del «popolo unito con­tro la tiran­nide» che diviene ricor­rente nell’oratoria uffi­ciale nel tempo della pre­si­denza di Sara­gat è ancor più asso­lu­to­ria e ingan­na­trice di quanto non fosse stata la reto­rica delle ori­gini repub­bli­cane. Men­tre una nuova Ger­ma­nia farà rie­mer­gere pro­prio a par­tire dalla fine degli anni Ses­santa la grande rimo­zione del pas­sato nazi­sta, met­terà sotto accusa la «gene­ra­zione dei padri» e intro­durrà il tema deci­sivo delle «respon­sa­bi­lità col­let­tive», in Ita­lia que­sto appun­ta­mento verrà man­cato e la pro­ble­ma­tica del «con­senso» al fasci­smo sarà desti­nata ad affio­rare sotto un segno com­ple­ta­mente diverso, non pro­durrà sensi di colpa ma invece il sol­lievo della con­ferma di un giu­di­zio bona­rio e mini­miz­zante nei con­fronti dell’esperienza fasci­sta dive­nuto ormai vox populi.
Le ambi­guità saranno pre­senti anche nel discorso di una «nuova sini­stra» che in gran parte anima le mani­fe­sta­zioni e che nel rap­porto con la sto­ria si muo­verà in ter­mini molto diversi rispetto ai coe­ta­nei tede­schi. A lungo la Resi­stenza verrà sot­to­va­lu­tata e quasi messa sotto accusa per non aver dato luogo a un esito «rivo­lu­zio­na­rio». Alla svolta degli anni Set­tanta sarà improv­vi­sa­mente rein­ven­tata in forma favo­li­stica, scam­biando una parte per il tutto e attri­buendo al popolo ita­liano una pro­pen­sione rivo­lu­zio­na­ria in gran parte illu­so­ria. Tra le oppo­ste reto­ri­che di Resi­stenza «rossa» e «tri­co­lore» corre spesso il rischio di venire stri­to­lata la Resi­stenza popo­lare e civile, delle donne e degli uomini comuni, nella sua plu­ra­lità di pra­ti­che e di moti­va­zioni, che con grande fatica e con un lungo e impo­nente lavoro di scavo e di rifles­sione gli sto­rici faranno emer­gere con chia­rezza negli anni suc­ces­sivi. E che com­pren­deva ine­vi­ta­bil­mente memo­rie diverse, anche «divise» e con­flit­tuali come si sco­prirà tar­di­va­mente in seguito, che pote­vano rico­no­scersi e ricon­ci­liarsi, ma non avreb­bero mai potuto con­ver­gere in una «memo­ria unica», stra­va­ganza con­cet­tuale degna di un regime totalitario.
A par­tire dagli anni Ottanta l’antifascismo e — per la prima volta — anche la Costi­tu­zione saranno visti come osta­coli sulla strada della «moder­niz­za­zione» del paese. L’Italia pren­derà, di fatto, una strada diversa rispetto all’evoluzione della coscienza occi­den­tale, che pro­prio in que­gli anni, anche attra­verso una nuova con­sa­pe­vo­lezza della por­tata della Shoah, riflet­terà sull’enormità del pro­blema sto­rico del fasci­smo euro­peo, del suo radi­ca­mento, del con­senso otte­nuto e della cata­strofe inne­scata. Si apri­ranno, anche su que­sto ter­reno, i ter­mini di una nuova «ano­ma­lia ita­liana», che segne­ranno una lunga fase della sto­ria italiana.
Gli anni della «Seconda Repub­blica» sem­bre­ranno per quasi un ven­ten­nio domi­nati dall’ansia di offrire una legit­ti­ma­zione sto­rica alla nuova destra, in larga misura estra­nea oppure ostile alla Libe­ra­zione, e che emerge con ampio con­senso dopo il dis­sol­vi­mento del vec­chio equi­li­brio. Ascol­te­remo nei discorsi uffi­ciali di pre­si­denti e mini­stri il richiamo ricor­rente alla «buona fede» dei fasci­sti scon­fitti, attri­buendo rilievo e cen­tra­lità a una con­sta­ta­zione di bana­lità disar­mante, per­ché la buona fede in genere sul piano sto­rico non si nega a nes­suno, ed era attri­bui­bile a giu­sto titolo anche alle SS. Negli stessi discorsi di inse­dia­mento dei Pre­si­denti della Repub­blica il richiamo alle «ragioni» della parte scon­fitta nel 1945 appa­rirà improv­vi­sa­mente pro­blema attuale di cui farsi carico, fino all’eccezione rap­pre­sen­tata da Ser­gio Mat­ta­rella che con un lim­pido e det­ta­gliato richiamo alla Costi­tu­zione anti­fa­sci­sta porrà fine a quella pra­tica discorsiva.
L’antifascismo appa­rirà ine­vi­ta­bil­mente sulla difen­siva, costretto a bat­ta­glie talora di retro­guar­dia, nelle lun­ghe pole­mi­che sul cosid­detto «revi­sio­ni­smo», ma in grado ancora di mobi­li­ta­zioni impo­nenti, come nella grande mani­fe­sta­zione pro­mossa da que­sto gior­nale a Milano nel 1994 subito dopo lo sfon­da­mento elet­to­rale della destra. E riu­scirà anche a respin­gere nel refe­ren­dum del 2006 (con uno schie­ra­mento ani­mato dall’ex-presidente Oscar Luigi Scal­faro) l’imposizione di una nuova Costi­tu­zione sbi­lan­ciata sul ter­reno del «deci­sio­ni­smo» e del pri­mato dell’esecutivo, e che pre­fi­gu­rava anche il venir meno della coe­sione nazio­nale attra­verso i mec­ca­ni­smi della cosid­detta «devo­lu­zione» a favore dei par­ti­co­la­ri­smi regionali.
Si era trat­tato, come oggi com­pren­diamo bene, di una vit­to­ria appa­rente. La fase che viviamo appare domi­nata, a ben vedere, dalla ten­sione tra l’affermazione, non più messa in discus­sione, dei valori sto­rici della Libe­ra­zione e il disgre­garsi in paral­lelo del mondo di idee e di prin­cìpi che ave­vano pro­dotto, dal venir meno delle con­qui­ste di una civiltà repub­bli­cana pro­gres­si­va­mente svuo­tata dei suoi carat­teri ori­gi­nari e qualificanti.
Ben oltre la chias­sosa destra ita­liana, la civiltà costi­tu­zio­nale del nostro paese (e non solo del nostro) è entrata nel mirino delle nuove entità imper­so­nali che gover­nano il mondo e tra­sci­nano l’Europa al sui­ci­dio. Nel mag­gio 2013 un gigante della finanza glo­bale dirà espli­ci­ta­mente che le Costi­tu­zioni anti­fa­sci­ste nate dopo la seconda guerra mon­diale vanno rite­nute un osta­colo per la «moder­niz­za­zione» e l’«integrazione» dei sistemi eco­no­mici in Europa. Poli­tici dive­nuti zelanti sud­diti di quella volontà met­tono in atto un mec­ca­ni­smo ine­so­ra­bile che con­duce in quella direzione.
Per que­sto negli ultimi anni la ricor­renza del 25 aprile appare sem­pre di più una mesta ceri­mo­nia degli addii. Un pren­dere con­gedo dal mondo in cui ave­vamo vis­suto, dalle nostre spe­ranze e dalle nostre conquiste.
L’ossequio este­riore alla Libe­ra­zione non è più messo in discus­sione, ed essa viene cele­brata da cor­tei di popolo, da donne e uomini che dif­fi­cil­mente pos­sono ren­dersi conto di vivere la stessa situa­zione descritta in una famosa poe­sia di Bre­cht, incon­sa­pe­voli del fatto che «alla loro testa mar­cia il nemico».
Con ogni pro­ba­bi­lità la nostra demo­cra­zia par­la­men­tare verrà abo­lita can­tic­chiando Bella ciao. La Libe­ra­zione tor­nerà a essere, come è stata a lungo nella sto­ria ita­liana, fuoco che cova sotto la cenere, in attesa di venire rivi­ta­liz­zato da nuovi eredi.

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