lunedì 8 aprile 2013

LA MORTE DI M. THATCHER. MARCO PAOLINI, Cosa ci ha lasciato la Thatcher, L'ESPRESSO, 8 aprile 2013

Sembra che l'economia stia scivolando verso la "virtualizzazione". E non parlo solo della grande finanza, parlo della trasformazione dei cittadini in consumatori che solo acquistando beni e servizi, scarpe e wellness, emozioni e vestiti, possono far crescere il Pil. Alla ricchezza virtuale corrisponde un impoverimento sostanziale. Siamo un po' tutti miserabili, culturalmente più che economicamente, perché abbiamo scelto di abdicare ad ogni scelta per affidare al Mercato i progetti per il nostro futuro.



Così è nato, qualche tempo fa, il mio spettacolo "Miserabili". Non una analisi di teorie economiche, e si confronta con le persone e con il loro rapporto con l'onnipotenza del Mercato. L'interlocutore invisibile era lei, la signora Thatcher. Sì, proprio la "rivoluzionaria" Maggie, che ha inventato il superamento delle classi sociali dicendo: la società non esiste più, siamo tutti solo "uomini donne famiglie". Ovvero consumatori. Di energia e di benessere, di libri e di vacanze, di automobili e di hamburger. E siamo tutti investitori, ancora prima che risparmiatori.

D'altra parte, se il buon samaritano non avesse avuto un budget per le spese impreviste, chi si ricorderebbe di lui? E allora è bene compiere buone azioni, ma soprattutto comprare buone azioni! Le buone azioni non hanno mai ucciso nessuno, così disse Gesù tornando nel tempio a chiedere scusa ai Mercanti secondo il vangelo di Maggie Thatcher.

E' la finanza creativa, che è cresciuta come un tumore scommettendo sulla teoria per cui tutto si può vendere e comprare.

E noi? Cosa siamo noi? Consumiamo e investiamo da soli. Siamo individui senza una comunità alle spalle. Così, soli tra soli, ci siamo scoperti inadeguati davanti alla crisi che ha investito l'economia globale. E io mi sono trovato a dover ripensare "Miserabili", con i problemi che molti pronosticavano divenuti realtà. Ci siamo chiesti: è tardi? Siamo troppo oltre per poter riparare ai danni?

La legge dell'entropia ci dice che indietro non si torna. Credo però che oggi dovremmo rifondare una cultura della manutenzione. Perché è inutile mitizzare i "bei tempi andati". Non credo nelle oasi, ma preferisco i luoghi che abitiamo e che dovremmo cercare di rendere più vivibili.

Il 9 novembre 2009 - la sera in cui abbiamo scelto di collocare la diretta di "Miserabili" su La7 - era l'anniversario ventennale dalla caduta del Muro di Berlino. E' un momento che ha segnato la storia. Quella data per molti nuovi europei dell'Est, così come per la gente dell'ex Unione Sovietica, significa lo spartiacque tra il prima e il dopo, ovvero l'avvento di quel grande luna park che è il Mercato. Solo che oggi, di là, molti si chiedono se la cuccagna del Mercato non sia troppo invadente. A noi invece manca quel momento di passaggio tra il prima e il dopo. Con Berlino 1989 noi abbiamo proseguito sulla via tracciata dalla coppia Thatcher-Reagan dal 1979: la via del Mercato.

Ho chiesto alla Lady di Ferro: lo sa che, di tutto quello che passa in un giorno alla Borsa, l'1 per cento si investe davvero, mentre il resto si passa di mano, domani riprende a girare? Non mi ha risposto.

Così abbiamo pensato di portare la diretta di "Miserabili" nel porto di Taranto. In quel posto è come a Marghera, vicino a dove vivo io: di sera sembra Blade Runner. Siamo sul tacco dell'Italia. E non siamo nemmeno sulla terraferma. Siamo in mezzo ai container su una piattaforma che si allunga sul mare. Da una parte c'è il porto, la porta dell'Europa dalla quale entrano le merci dall'Oriente. Dall'altra c'è l'Ilva, icona della old economy, quella economia pesante che oggi sembra in via di estinzione. Insomma, siamo in mezzo ai mondi in movimento, siamo in un punto focale per l'economia del Sud e nell'area dove si registra la maggiore concentrazione di agenti inquinanti d'Europa (anidride carbonica, ma anche diossina).

Taranto è un nodo di contraddizioni ed è, forse, lo specchio dell'universo che ci ruota attorno. Però non abbiamo scelto Taranto perché è un simbolo, una città-porto, un'area industriale dalla storia controversa. L'abbiamo scelta perché volevamo scendere a Sud, rovesciando la prospettiva. Volevamo provare a guardare dal mare la crisi che colpisce la terra. Che colpisce il Nord Europa come l'Africa, la Svezia come la Bolivia, il Veneto, la Puglia e il Canada. E provare a interrogarci. Possiamo fare un po' di manutenzione di questo nostro mondo? Ho il dovere di sperarlo e di esser contagioso, a questo serve la cultura. L'unico modo di combattere la paura di tanti è costruire speranze non solo per pochi. Di speranze parlano anche economia e politica, ma spesso sono previsioni che se non succedono generano delusioni.

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