lunedì 8 aprile 2013

UNA RICERCA DELL' UNIVERSITA' DI PADOVA SU ITALIANI E POLITICA. DANIELE MARINI, Né di destra né di sinistra l’Italia verso la post-politica, LA STAMPA, 8 aprile 2013


Gli italiani valutano positivamente soprattutto le leadership orizzontali: i responsabili delle associazioni con finalità sociali e del volontariato, al più gli esponenti del mondo della cultura e università.



Già sugli imprenditori si dividono, ma quando si passa a considerare le classi dirigenti delle rappresentanze organizzate e delle istituzioni, la valutazione scende sensibilmente. E, fra i bocciati, incontriamo accomunati i politici, i sindacalisti e i banchieri. È una società che si riconosce nella prossimità al territorio, in chi opera fattivamente nelle molte reti di solidarietà. È più diffidente, invece, quando pensa alle classi dirigenti che appartengono alle forme istituzionalizzate della rappresentanza e della politica. Percepiti distanti e distaccate, troppo particolari e autoreferenziali. Forse è per questo che nel delineare le caratteristiche della leadership del futuro per il nostro Paese mette in risalto soprattutto due aspetti: la capacità di una visione strategica, in grado di anticipare e affrontare i problemi, da un lato. Dall’altro, l’essere dotata di senso morale, di legalità: in una parola, la dimensione etica. Meglio ancora, se assieme a questi aspetti vi è anche una competenza professionale specifica. Lo sfondo di tutto ciò è poi costituito dagli orientamenti culturali politici espressi dai cittadini. Al di là dell’esito elettorale, di cui sono ben noti i risultati, le culture politiche degli italiani evidenziano un sommovimento in cui, oltre agli schieramenti tradizionali, emergono in modo significativo inclinazioni che potremmo definire tranquillamente «post-politiche». Questo è il quadro generale che emerge dalla prima rilevazione sulla popolazione italiana della ricerca LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) promossa da Community Media Research per La Stampa, realizzata da Questlab, di cui anticipiamo i risultati. È un’Italia provata da una crisi lunga, da una classe dirigente (non solo politica) che spesso offre il suo volto peggiore fra scandali, ruberie e un senso civico derubricato dal proprio lessico. Soprattutto dotata di un senso dell’irrealtà profonda.


La classe dirigente
Gli italiani in un Paese così spaesato, senza una leadership riconosciuta come tale, sembrano trovare forza più che nelle istituzioni, in loro stessi: in particolare nelle forme associative e del volontariato presenti sul territorio, in chi opera nella costruzione del capitale sociale e delle reti di solidarietà delle comunità. Le abbiamo viste spesso all’opera nelle situazioni più complicate: la protezione civile e gli alpini durante i terremoti, i giovani all’opera dopo le alluvioni, le cooperative sociali nell’aiuto alle persone marginali, le Caritas con i poveri e gli immigrati, solo per citare pochi esempi. Esprimono una classe dirigente orizzontale, territoriale: a loro va il massimo del gradimento e dell’apprezzamento degli italiani (66,1%), soprattutto da parte delle persone più anziane, degli inattivi, degli uomini e di chi risiede nel Nord Est del Paese, dove le forme del volontariato sono particolarmente diffuse. Segue, nella classifica degli apprezzamenti positivi, la classe dirigente espressa da alcune élite provenienti dal mondo della cultura e dell’università (59,3%), valutazione sostenuta in particolare dalle classi più giovani. Più distaccati, incontriamo gli imprenditori e i manager delle imprese che dividono quasi omogeneamente il campione: il 50,4% assegna un voto positivo a questa parte di classe dirigente nazionale.


Intuitivamente, le valutazioni positive provengono da quanti sono attivi sul mercato del lavoro e dagli stessi imprenditori interpellati, da quanti risiedono nel Nord Italia e da chi si colloca al centro e a centrodestra negli orientamenti politici. Fin qui, le valutazioni positive. Sotto questa soglia si posiziona la maggior parte dei gruppi dirigenti proposti, raccoglibile in due ambiti prevalenti. Il primo individua la classe dirigente di forme organizzative strutturate: i magistrati (48,7%, che ottengono significativamente un giudizio positivo molto elevato fra chi si colloca a centrosinistra, 53,9%; rispetto quanti si collocano a centrodestra, 36,5%), i giornalisti e gli opinionisti (41,8%), i dirigenti delle associazioni di categoria (39%) e la gerarchia ecclesiastica (35,3%). Il secondo gruppo, più schiacciato in fondo alla classifica, annovera accomunate le leadership delle istituzioni politiche e sindacali, oltre ai grandi imputati della crisi: i banchieri. I politici nazionali ed europei raccolgono solo un quinto dei consensi (20,7%) e un risultato analogo va a quelli regionali (20,1%), seguiti dai dirigenti dei sindacati (17,4%) e dai banchieri (16%). Risultato, quest’ultimo, che rimarca ulteriormente la distanza e il distacco dei cittadini dalle istituzioni, ma anche da un sindacato considerato schiacciato sulla dimensione politica. Volendo individuare una misura sintetica del grado di apprezzamento assegnato alle diverse leadership, abbiamo creato un tasso di apprezzamento complessivo. Poco meno di un terzo degli interpellati (31,6%) manifesta un buon livello di fiducia (voto maggiore di 6) nei confronti di tutte le classi dirigenti proposte e, per contro, ben il 68,4% assegna una valutazione generalmente negativa. Tale giudizio negativo alberga in misura maggiore presso gli uomini (71,5%), le persone in età attiva sul lavoro (fra i 35 e il 64enni, con punte fino all’80,8%), fra gli occupati (76,6%) e gli imprenditori (71,3%). Ma anche fra i giovanissimi (meno di 24 anni: 79%) e chi risiede nel Centro (74,4%) e nel Mezzogiorno (75,1%). Soprattutto, fra quanti non si riconoscono più nelle tradizionali culture politiche (79,9%).

I leader del futuro
A fronte di una valutazione negativa della classe dirigente istituzionale del nostro Paese, è possibile – per converso – individuare quali sono i caratteri di quella di cui gli italiani avvertono la necessità. Ed è qui che s’intravede come il giudizio negativo precedente non costituisca meramente un segno di anti-politica, quanto invece l’espressione del bisogno di una buona politica. Chiedendo quali debbano essere le caratteristiche della futura classe dirigente dell’Italia, le opinioni si concentrano in modo equivalente su due dimensioni. Da un lato, la leadership deve possedere una visione strategica ed essere in grado di anticipare e affrontare i problemi (35,3%). Sono, in particolare, gli uomini e i più anziani, gli imprenditori e quanti si collocano al centro e a centrodestra a sostenere tale opzione. Dall’altro lato, si auspica che sia dotato di moralità, legalità ed etica (33,6%), scelta sottolineata soprattutto dalla componente femminile, dalle classi di età centrali, da quanti risiedono nel Nord e si collocano politicamente a centro-sinistra e, all’opposto, fra chi non si colloca politicamente. In terzo luogo, viene la dimensione della competenza professionale (16,6%), desiderata soprattutto dai più giovani, da chi risiede nel Mezzogiorno e da quanti hanno un orientamento politico di centrodestra. Visione strategica verso il futuro, moralità ed etica costituiscono i due elementi chiave del profilo della leadership, meglio ancora se unita a una buona competenza tecnica. Ovvero, quello che è mancato all’Italia, almeno negli anni recenti.

Le culture politiche
Le recenti elezioni politiche nazionali hanno messo in luce un processo di polarizzazione presso l’elettorato. La ricerca LaST non voleva misurare ex post il voto, ma provare a cogliere gli orientamenti culturali verso la politica. Il risultato dell’autocollocazione degli interpellati, com’era plausibile attendere, rispecchia tendenzialmente il voto recentemente espresso, benché i due fenomeni non siano immediatamente sovrapponibili. Così, quanti si situano politicamente a centrosinistra (31%) sopravanzano di pochi punti quelli del centrodestra (28,5%), mentre quanti si dichiarano di centro (10,7%) costituiscono una minoranza, ancorché non marginale. Fino a qui, gli orientamenti che rimangono nel solco delle tradizionali culture politiche e vedono coinvolti complessivamente circa tre quarti (76,7%) della popolazione. Il fenomeno che desta interesse, tuttavia, è l’emergere di un terzo polo culturale dal peso di poco inferiore ai precedenti: si tratta di quanti dichiarano di non riconoscersi nei tradizionali canoni di schieramento e non si collocano in alcun spazio politico (23,3%). Il loro profilo è tendenzialmente trasversale rispetto al genere e alle condizioni professionali (benché i lavoratori flessibili e precari siano più propensi di altri: 28%). Tuttavia presenta una maggiore intensità nel Nord Est (22,6%), nel Centro (26,5%) e nel Mezzogiorno (26,1%), rispetto al Nord Ovest (18%). Soprattutto, è un orientamento inversamente proporzionale alle classi di età: fra i giovanissimi (meno di 24 anni) il 38,9% e il 31,8% fra i 25-34enni non riesce a collocarsi e via via a calare fino a giungere all’11,2% fra chi ha più di 65 anni. Dunque, si tratta di un’inclinazione tendenzialmente trasversale, ma che coinvolge soprattutto le generazioni più giovani. Focalizzando l’attenzione su quanti decidono di non collocarsi politicamente lungo gli assi tradizionali, è possibile evidenziare alcuni aspetti d’interesse. Gli interpellati sottolineano come il loro orientamento derivi dal non percepire più come significative le categorie politiche tradizionali. Sinistra, destra, centro non rappresentano più tipologie politiche utili a interpretare i fenomeni e a prefigurare indirizzi per le policies (58,9%). È la richiesta di nuove lenti per leggere la realtà, è la domanda di una politica rinnovata. Sono soprattutto gli elettori di genere maschile (64,4%), le giovani generazioni (25-34enni: 64,3%; 35-44enni: 60,3%), ma anche i più anziani (oltre 65 anni: 70%), le partite Iva e gli imprenditori (75%), i ceti produttivi del Nord (Nord Ovest: 66,2%; Nord Est: 72,5%). Se a questi uniamo anche quanti vorrebbero partiti più aperti alla partecipazione civile (12,9%) scopriamo come anche fra chi dichiari di non schierarsi politicamente, non si annidi lo spettro dell’anti-politica, quanto piuttosto la necessità di una politica che vada oltre le tradizionali culture politiche novecentesche: la «post-politica». Un terreno tutto da esplorare, ma inevitabilmente da attraversare, e che ha bisogno di classi dirigenti nuove in grado di guidare il percorso.


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