venerdì 14 marzo 2014

FILOSOFIA POLITICA. HEIDEGGER E IL NAZISMO. R. POLESE, Heidegger, antisemita e vero nazista, IL CORRIERE DELLA SERA, 14 marzo 2014

Martin Heidegger fu un nazista? Sì». «Martin Heidegger fu un antisemita? Sì». Sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» di ieri, Jürgen Kaube, dopo aver letto le quasi 1300 pagine dei famosi Quaderni neri — detti così per la copertina cerata come si usava una volta — che comprendono gli anni dal 1931 al 1941, da ieri in libreria e a disposizione di tutti, chiude così la questione che ha tormentato la storia della cultura europea dalla fine della guerra a oggi. 

Se già era nota l’adesione di Heidegger al Partito nazionalsocialista (primo maggio 1933, poco dopo esser diventato rettore dell’università di Friburgo), finora si era escluso che avesse avuto opinioni antisemite. E invece in quei Quaderni, negli anni di guerra, ricorrono frasi e pesanti considerazioni contro gli ebrei. Ma anche il nazismo di Heidegger, ricorda Kaube, era stato considerato una breve parentesi, visto che il filosofo si dimetteva dall’incarico del rettorato già nell’aprile del 1934. Ora, nelle pagine dei Quaderni, si vede invece che il periodo del ritorno agli studi, lontano da incarichi ufficiali, non fu un drastico ripensamento, l’ammissione di un errore — Heidegger lo disse nell’intervista concessa allo «Spiegel» nel 1966 — ma anzi il frutto di una delusione: i nazisti non erano all’altezza delle speranze che il filosofo nutriva nella loro azione. Sempre ieri, il settimanale «Zeit» pubblicava il lungo articolo di Thomas Assheuer su questo Heidegger non più segreto.
«Se anche in queste pagine fosse riconoscibile un pensiero, i Quaderni sono un delirio filosofico e un crimine del pensiero». Ricorda, Assheuer, i tanti tentativi di cancellare sospetti e dicerie sul coinvolgimento politico di Heidegger, salvando così il filosofo di Essere e tempo da accuse e infamie. Ora però questi taccuini, scritti senza cancellature né correzioni come i testi destinati alla pubblicazione, ci mostrano che il legame tra Heidegger e il nazismo si saldava con le esigenze del suo pensiero, in cerca di un «nuovo avvio», proprio come la Germania di quegli anni.

Le note dei Quaderni cominciano nell’ottobre 1931, anno di crisi per la Germania (6 milioni di disoccupati). Per Heidegger il popolo (Volk) ha bisogno di una rivoluzione nazionale, di una scossa che gli dia un «nuovo inizio». Finalmente arriva Hitler, «il Führer che ha risvegliato una nuova realtà, che dà al nostro pensiero la retta via e la forza d’urto». Nel 1933, dopo la presa del potere di Hitler, Heidegger, che già l’anno prima ha votato per il Partito nazionalsocialista, accetta la nomina a rettore dell’Università di Friburgo (21 aprile). Il primo maggio si iscrive al partito. Nel novembre, infine, partecipa a Lipsia alla riunione dei docenti tedeschi che affermano la loro fede in Adolf Hitler. Nell’aprile del 1934, però, si dimette dall’incarico di rettore. I Quaderni ci mostrano uno Heidegger deluso dal nazismo perché non sembra volere «il nuovo inizio» sperato. Non è il movimento che «supera l’età moderna», ma invece la «conduce a compimento» indulgendo all’«americanismo» della radio e del cinema portati nelle campagne a imbastardire la sana e antica gente contadina. L’orrore per la tecnica diventa così l’identificazione del nemico nel popolo inglese, che ha inventato «le macchine, la democrazia e l’utilitarismo». E la guerra, quando arriva inevitabilmente, per lui segna veramente il nuovo slancio dei tedeschi.

Gli ebrei — È alla fine degli anni Trenta che compaiono nei Quaderni delle riflessioni sugli ebrei, che «non hanno un territorio», che sono dotati di una «spiccata destrezza a contare, a infiltrarsi, a mescolarsi con gli altri». In una nota del 1938-39 si legge: «Gli ebrei vivono, considerato il loro rimarcato talento nel far di conto, da più tempo di tutti secondo il principio della razza, ragion per cui sono quelli che si oppongono più strenuamente alla sua applicazione illimitata». Frase che si comprende appieno tenendo conto del fatto che nel 1938 entravano in vigore ulteriori limitazioni ai diritti civili degli ebrei in Germania, e che ogni protesta, per esempio di imprenditori o negozianti (quelli che fanno di conto)
«Gli ebrei vivono da più tempo di tutti secondo il principio della razza»
costretti al fallimento, veniva brutalmente repressa. Ma anche — spiega Jürgen Kaube sulla «Faz» — Heidegger vuole difendere le leggi di Norimberga, promulgate nel 1935 per la «difesa del sangue tedesco», rinfacciando agli ebrei la loro secolare pratica della endogamia, del rifiuto cioè di matrimoni misti. Con la guerra, 1939, compare nei Quaderni la categoria del Weltjudentum, l’ebraismo mondiale che sta dietro i Paesi che combattono contro la Germania. «L’ebraismo mondiale, istigato dagli emigranti lasciati uscire dalla Germania, è dovunque imprendibile e non ha la necessità, nonostante tutto lo spiegamento di forze, di partecipare ad azioni militari. Invece a noi non resta che sacrificare il miglior sangue dei migliori figli del popolo» (1941). Dove si legge un chiaro accenno a una sorta di complotto mondiale contro la Germania dietro a cui stanno gli ebrei.

Quei terribili inglesi
— Non solo per lo Heidegger dei Quaderni gli inglesi personificano il male assoluto (tecnica, democrazia, utilitarismo). Ma hanno anche un’altra colpa grave. «Ma può essere un caso che il mio pensiero e le mie questioni nell’ultimo decennio siano stati rifiutati proprio in Inghilterra, e che non si sia fatta nessuna traduzione delle mie opere?».

Un’intervista per la storia
— Heidegger, comunque, continua a far da protagonista. Proprio in questi giorni è uscito un libro sulla famosa intervista concessa dal filosofo a Rudolf Augstein, fondatore e direttore di «Spiegel». Era il 1966, dopo una lunga trattativa, Augstein raggiunge Heidegger nella sua Hütte, nella Foresta nera. Parlano a lungo, l’accordo è che non siano domande accusatorie, Heidegger dà la sua disinvolta versione dei fatti (dopo le dimissioni del ‘34): il Partito lo avrebbe boicottato. Ricordando quell’incontro, Augstein parlava di Heidegger come di uno «sciamano» che l’aveva incantato e in qualche modo stregato.

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