martedì 21 agosto 2012

MOVIMENTI, PARTITI E IDEE POLITICHE IN ITALIA. DE RITA G.,Il deserto dei leader, IL CORRIERE DELLA SERA, 19 agosto 2012

Forse per un indelebile riflesso di memoria il ruolo attivo di Mario Monti negli ultimi vertici europei mi ha fatto tornare in mente la strategia usata negli anni 50 e 60 dai nostri migliori politici meridionali: la strategia di «espatriare per contare», darsi cioè da fare sul potere romano per orientarne le decisioni di intervento, in modo da crescere di prestigio nella propria realtà locale.
Era gente che capiva che il potere (specialmente finanziario) stava a livello centrale; che lo si poteva influenzare acquisendo relazioni (e relativi linguaggi) con le poche decine di persone che lo gestivano; e che ottenendone i benefici si poteva tornare nella propria realtà locale e «contare», in immagine e voti. I grandi politici meridionali hanno fatto così, per tutta la Prima Repubblica e non gli è andata male, anche per i loro territori.


Giuseppe De Rita è un sociologo presidente del CENSIS.

Con tutte le differenze del caso, specialmente di cultura e di stile, il nostro premier ha adottato la stessa strategia. È andato a collocarsi dove si prendevano le decisioni; ha saputo utilizzare i contatti, le relazioni, i linguaggi dei relativi circuiti di potere; ha lavorato apparentemente fuori casa ma nei fatti nell'ambiente con cui aveva più dimestichezza; ha ottenuto buoni risultati. Ed è tornato senza esibizionismi da vincitore ma con l'aura della indispensabilità; perché è chiaro a tutti che «solo lui sa come muoversi a livello internazionale». Certo non c'è italiano che non voglia tenersi stretto un così alto presidio nel circuito dei poteri internazionali.
Ma l'esperienza decennale del Mezzogiorno ci deve far riflettere sul pericolo che si possa alla fine arrivare a un impoverimento locale della cultura collettiva, della dialettica politica, della classe dirigente. I grandi della mediazione con Roma non ci sono più e al loro posto c'è il deserto della politica: nessun confronto, nessuna proposta, nessun programma; solo lotte di potere, quasi sempre rozzamente personalizzate. Nessuno conta più, in loco; e nessuno ha più la statura culturale e politica per espatriare.
C'è da temere che anche in Italia nell'auspicabilmente lontano «dopo-Monti», possa crescere un analogo deserto. Le forze politiche non ci pensano proprio a ristabilire un confronto politico e programmatico di medio periodo, sembrano sterilizzate e labili come le realtà locali del Sud. E anche le parti sociali soffrono di questa assenza della politica, oscillando fra un realistico accomodamento e una rabbiosa denuncia della mancanza di decisioni.
Si prospetta allora per i prossimi anni un periodo difficile, perché di fatto ambivalente: presidiare il fronte esterno potrebbe non bastare. Occorre «armare» (anche in termini di emozioni collettive) il fronte interno, mettendo in campo nuova vitalità di idee e di classe dirigente, nel mondo sia socioeconomico che politico. È l'unica possibilità, forse necessità, se vogliamo sfuggire a un destino di eterodirezione, sia pure abilmente contrattato.

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