domenica 9 febbraio 2014

IDEE E TEORIE POLITICHE. P. FAVILLI, Il politico nuovo guarda al passato, IL MANIFESTO, 5 febbraio 2014

ito a memo­ria un’analisi poli­tica di Altan, ica­stica e ricca di senso. In una vignetta, pub­bli­cata a cavallo del secolo, il per­so­nag­gio prin­ci­pale, cui il con­sueto modello gra­fico dona un pla­stico atteg­gia­mento inter­ro­ga­tivo, scruta l’orizzonte con un can­noc­chiale: «Vedo il nuovo che avanza» sem­bra gri­dare. Subito dopo, più som­mes­sa­mente: «Non capi­sco bene, però, se avanza dalla parte della fac­cia o del culo». Da quale parte avan­zasse era già evi­dente da tempo, ma ora è defi­ni­ti­va­mente acclarato.


Sugli esiti ren­ziani di un per­corso «nuovo» ini­ziato più di vent’anni fa, esiti «rive­la­zione», esiti come «auto­bio­gra­fia» degli ele­menti costi­tu­tivi di quel per­corso, si è espresso su que­sto gior­nale (15 gen­naio) Alberto Asor Rosa. La linea gene­rale delle sue argo­men­ta­zioni è, a mio parere, lar­ga­mente con­di­vi­si­bile, in par­ti­co­lare per­ché per­mette rifles­sioni non schiac­ciate sull’immediatezza della cro­naca poli­tica. A pro­po­sito della cro­naca poli­tica Ilvio Dia­manti (la Repub­blica, 27 gen­naio) si è espresso così: «È dif­fi­cile rac­con­tare la poli­tica con le tra­di­zio­nali cate­go­rie dell’analisi poli­tica. (…) Rac­con­tare la poli­tica, oggi, signi­fica, infatti, par­lare delle Per­sone e dei Capi».
Credo sia oppor­tuno chie­dersi quale sia oggi il rap­porto tra il racconto della poli­tica e la com­pren­sione degli iti­ne­rari mol­te­plici che con­ver­gono nella realtà del momento attuale, com­preso quello poli­tico. Un serio stu­dioso come Dia­manti ha rac­con­tato con sin­te­tica intel­li­genza le carat­te­ri­sti­che del lea­der post-Pd, post-berlusconiano pro­prio in quanto inte­ra­mente com­pe­ne­trato dal ber­lu­sco­ni­smo (la Repub­blica, 6 gen­naio). Raris­simi bril­lanti gior­na­li­sti hanno trac­ciato un ritratto del vecchio-nuovo boss di par­ti­co­lare effi­ca­cia e verità. Solo che rac­contare il momento non ci per­mette la com­pren­sione del pre­sente nei suoi per­corsi di tra­sfor­ma­zione e quindi la for­mu­la­zione di un serio giu­di­zio. Anzi, quello che ci tra­smette il rac­conto è un senso di ine­lut­ta­bi­lità. L’immagine che emerge dal rac­conto può non pia­cere, può addi­rit­tura risul­tare orri­bile, può con­te­nere per­sino tracce di vec­chio, ma nella sostanza è il nuovo, e l’opposizione al nuovo, magari nobile, è comun­que il vec­chio. E tale uso ter­mi­no­lo­gico implica un giu­di­zio di valore deri­vato dall’ineluttabilità della suc­ces­sione temporale.
Un po’ come le rea­zioni (o meglio le non rea­zioni) ad eventi che pro­prio in que­sti giorni ci hanno dato cri­teri di misura ben più rea­li­stici del momento attuale. L’intimazione di Elec­tro­lux agli ope­rai ita­liani di tra­sfor­marsi in ope­rai polac­chi, e la delo­ca­liz­za­zione Fiat sono indi­ca­tori tali che avreb­bero meri­tato rifles­sioni di fase e pro­po­ste poli­ti­che al livello delle que­stioni fon­danti del rap­porto economia-società. La rispo­sta è stata nella sostanza: «è il mer­cato bel­lezza». Nella stessa logica, «piac­cia o non piac­cia», Renzi diventa la risul­tante neces­sa­ria della «moder­nità» politica.
Se, invece, pro­viamo a col­lo­care il «ren­zi­smo», come il «ber­lu­sco­ni­smo» del resto, nell’onda lunga del regresso, cioè all’interno dell’essenza di quel ter­mi­doro pla­ne­ta­rio che carat­te­rizza da circa un tren­ten­nio l’attuale fase di accu­mu­la­zione, la suc­ces­sione di vec­chio e nuovo legata allo svol­gi­mento lineare del tempo viene com­ple­ta­mente scar­di­nata. L’attuale fase regres­siva risponde per­fet­ta­mente a quella che Wal­ter Ben­ja­min ha chia­mato «il con­cetto di inver­sione della dire­zione», di regresso delle cose e dun­que di regresso del pen­siero, in par­ti­co­lare degli aspetti legati alla comu­ni­ca­zione di massa. Di regresso, è del tutto ovvio, del ruolo e delle forme della poli­tica. Nel regresso ita­liano il nuovo, nel senso della pura suc­ces­sione tem­po­rale, diventa una variante di aspetti di ben lunga ascen­denza, di aspetti che hanno con­tras­se­gnato in nega­tivo tutte le anse cri­ti­che della sto­ria ita­liana. In par­ti­co­lare quando è man­cata una seria anti­tesi a quella sin­drome dell’8 set­tem­bre che è una delle carat­te­ri­sti­che di cui la classe diri­gente ipare impos­si­bi­li­tata a liberarsi.
Nel nuovo che avanza, inver­tendo la dire­zione (straor­di­na­ria coin­ci­denza tra un vignet­ti­sta di par­ti­co­lare acume e un grande filo­sofo), le varianti del vec­chio sono nume­ro­sis­sime ed intrec­ciate tra loro. Mi limi­terò ad indi­carne due: a) cial­tro­ni­smo, b) mitridatismo.
a) Fac­cio di mestiere lo stu­dioso di sto­ria e dif­fido natu­ral­mente dell’uso di una ter­mi­no­lo­gia a forte impatto e la parola cial­trone senza dub­bio lo è. Eppure rie­sce dav­vero dif­fi­cile tro­vare sino­nimi che pos­sano defi­nire con suf­fi­ciente appros­si­ma­zione un feno­meno così carat­te­riz­zante della gestione del potere (e non solo) in Ita­lia. Il cial­tro­ni­smo, sot­to­pelle nelle fasi pro­gres­sive, ritorna in super­fi­cie nelle fasi regressive.
Cial­trone è parola di etimo incerto. Alcuni la fanno deri­vare da ciar­lare, chiac­chie­rare a vuoto. Che è il feno­meno con cui si mani­fe­sta una pro­fonda man­canza di serietà, un’attitudine ad arran­giare un gioco truc­cato e al ribasso. L’attitudine insomma ad una reto­rica senza prova. Tutto l’arco tem­po­rale del regresso ne è con­tras­se­gnato. Bossi, Ber­lu­sconi, Grillo, Renzi, (la lista potrebbe essere lun­ghis­sima) ognuno a suo modo, sono pro­ta­go­ni­sti rin­no­va­tori della radi­cata tra­di­zione ita­liana del cial­tro­ni­smo. Pro­ta­go­ni­sti del «mer­cato poli­tico», sono gli epi­goni di una con­ce­zione per cui in tale mer­cato non esi­stono limi­ta­zioni: tutto è ven­di­bile, tutto può essere oggetto di scam­bio. I fini per­so­nali giu­sti­fi­cano qual­siasi mezzo, secondo l’insieme di machia­vel­li­smo orec­chiato e dan­nun­zia­ne­simo d’accatto che tra­sfor­mano, secondo con­so­li­dare ascen­denze ita­liane, l’«imprenditore poli­tico» schum­pe­te­riano in cacicco capo di cacic­chi. D’altra parte è impor­tante notare che, nella sud­detta tra­di­zione, mercanti-avventurieri di suc­cesso (Mus­so­lini, Craxi, Ber­lu­sconi) hanno scritto (o si sono fatti scri­vere) pre­fa­zioni al Prin­cipe. Così, in riva d’Arno, il machia­vel­li­smo dello Sten­te­rello pro­duce una gra­vis­sima ope­ra­zione poli­tica e cul­tu­rale con il solo scopo di allar­gare la pro­pria fetta di mer­cato, o meglio di diven­tare tanto mono­po­li­sta che monop­so­ni­sta in quel mer­cato. E, si badi bene, sulla base di una scom­messa, nella pre­sun­zione di vin­cerla. Che cosa rimane, in que­sto impa­sto, delle pro­messe della modernità?
b) Alcuni mesi fa, su que­sto gior­nale e sem­pre su sol­le­ci­ta­zione di un arti­colo di Alberto Asor Rosa, ho cer­cato di indi­care le radici pro­fonde del mitri­da­ti­smo ita­liano, cioè del feno­meno per cui l’assunzione pro­gres­siva di veleno fini­sce per ren­dere l’organismo insen­si­bile anche a dosi letali. Nel nostro caso i diversi gradi dell’intreccio per­verso tra poli­tica e malaf­fare. La sto­ria ita­liana, malau­gu­ra­ta­mente, è una dimo­stra­zione palese di quanto le sud­dette radici abbiano affon­dato con par­ti­cola faci­lità in quell’intreccio. La comu­nione d’intenti deri­vata dalla «intesa pro­fonda» tra Renzi e Ber­lu­sconi e con­cre­tiz­za­tasi nell’accordo per la legge elet­to­rale è, appunto, la dose letale che il metodo mitri­date non rende percepibile.
Il con­ter­ra­neo di Machia­velli, che ovvia­mente non ha la minima idea delle reali que­stioni trat­tate dell’autore del Prin­cipe, ha giu­sti­fi­cato l’operazione in que­sti ter­mini: «Ber­lu­sconi ha i voti». E come sap­piamo, per i Machia­velli in sedi­ce­simo, i voti hanno fun­zioni sal­vi­fi­che. Chi prende i voti è, in qual­che modo, un con­sa­crato, e comun­que un legi­bus solu­tus.
Il fatto che abbiamo sotto gli occhi è un con­cen­trato di mostruo­sità. Un potere dello Stato ha giu­di­cato Ber­lu­sconi un cri­mi­nale con coa­zione a ripe­tere. Un per­so­nag­gio, ed un par­tito, che inten­dono can­di­darsi a diri­gere quello stesso Stato lo scel­gono come padre costi­tuente. C’è di più: l’avventura di Ber­lu­sconi (vedi le varie sen­tenze Pre­viti e Dell’Utri) ha ini­zio pro­prio come pro­gram­mata com­mi­stione di potere poli­tico e malaf­fare. Si tratta di uno degli aspetti più deva­stanti dei diversi momenti della lunga (anche se car­sica) tra­di­zione del mitri­da­ti­smo. Un veleno oggi letale e tanto più letale in quanto la pro­gres­siva assue­fa­zione impe­di­sce che sia per­ce­pito come tale.
È nuovo il decre­pito volto, l’espetto peg­giore, del tra­sfor­mi­smo ita­liano? Di fronte a tutto que­sto, il nuovo e una moder­nità diversa con­si­stono pro­prio nella fati­cosa, incerta, pro­ba­bil­mente lunga, rico­stru­zione dell’anti­tesi. Nes­sun pas­sag­gio poli­tico in quella dire­zione, anche se prov­vi­so­rio, può essere sot­to­va­lu­tato. Oggi, pur con tutti i pro­blemi che apre, l’impegno per la lista Tsi­pras, deve essere avver­tito come prio­ri­ta­rio. Asor Rosa ha ragione quando insi­ste sulla neces­sità di «ricreare una cul­tura poli­tica della sini­stra». Voglio aggiun­gere solo due corol­lari. Per vedere dav­vero all’interno del feno­meno della a-normale mostruo­sità per­ce­pita e vis­suta come nor­ma­lità, abbiamo biso­gno di uno sguardo esterno. Nes­suna cul­tura poli­tica di sini­stra può nascere den­tro lo spa­zio dell’esta­blishment.
Ricor­dia­moci, a pro­po­sito delle costru­zioni cul­tu­rali, delle parole pro­nun­ciate da Paul Klee sull’esperienza del Bau­haus, allora, (1924) al suo apice crea­tivo: «Non abbiamo il soste­gno di un popolo. Ma un popolo noi lo cerchiamo».
Nes­suna nuova cul­tura della sini­stra è pos­si­bile senza un popolo di sinistra.

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