sabato 22 febbraio 2014

DEMOCRAZIA E METODI. LE PRIMARIE. M. VILLONE, La democrazia usa e getta, IL MANIFESTO, 17 febbraio 2014

a ragione Asor Rosa quando su que­ste pagine indi­vi­dua essen­zial­mente nelle pri­ma­rie del Pd il momento di rot­tura all’origine delle tur­bo­lenze di oggi. Ritengo da sem­pre che le pri­ma­rie cosid­dette “aperte” siano ele­mento anta­go­ni­sta e incom­po­ni­bile con qual­siasi con­cetto di par­tito orga­niz­zato. E la par­te­ci­pa­zione usa e getta che si esau­ri­sce nel voto di un giorno nelle pri­ma­rie non ha niente a che fare con il “metodo demo­cra­tico” posto anche dalla Costi­tu­zione a fon­da­mento della fun­zione dei par­titi politici.



È que­sto che con­duce alla ano­mala crisi extra­par­la­men­tare di oggi. In qua­lun­que manuale di diritto costi­tu­zio­nale si legge di crisi extra­par­la­men­tare. Ma non si rico­no­sce­rebbe quella in atto. Nella sua forma clas­sica, la crisi extra­par­la­men­tare viene dalle dimis­sioni volon­ta­rie del pre­si­dente del con­si­glio — e fin qui ci tro­viamo — per il dis­sol­versi della soli­da­rietà di mag­gio­ranza. Ma nella tra­di­zione si trat­te­rebbe comun­que di una crisi all’interno del qua­dro delle forze poli­ti­che pre­senti in par­la­mento. Extra­par­la­men­tare in quanto deri­vante non da voto di sfi­du­cia, ma per il resto ben den­tro la dia­let­tica parlamentare.
Qui invece abbiamo che la lotta poli­tica interna a un par­tito si tra­duce nelle isti­tu­zioni. A vicenda con­clusa, la stra­te­gia di Renzi è chiara:
1) con­qui­stare il par­tito attra­verso le primarie;
2) con­qui­stare il governo attra­verso il par­tito “nuovo” uscito dalle pri­ma­rie, licen­ziando il pre­si­dente del con­si­glio espresso dal “vec­chio” partito;
3) con­qui­stare Palazzo Chigi come lea­der del “nuovo” par­tito, ancor­ché il par­la­mento esprima ancora il “vecchio”.
Tre mosse per lo scacco matto. Le pri­ma­rie sono l’elemento cru­ciale: con­se­gnano il par­tito a Renzi, cer­ti­fi­cano la sua novità, lo legit­ti­mano alla carica.
Erano chiare a Renzi le tre mosse e il loro obiet­tivo quando la par­tita è ini­ziata? Ne erano con­sa­pe­voli i compagni/avversari del Pd? In fondo non importa. Ma l’accaduto costrin­gerà a una rifles­sione sul se e come codi­fi­care le pri­ma­rie e il loro impatto sui par­titi e sulle isti­tu­zioni. E non si argo­menti che sono uno stru­mento utile a rigua­da­gnare per l’elettore la scelta negata con le liste bloc­cate. È solo un ingan­ne­vole gioco di specchi.
In ter­mini più ampi, e per la sto­ria, potremo dire che si chiude forse oggi una vicenda ini­ziata nel 2010. Il 12 novem­bre Fran­ce­schini pre­senta una mozione di sfi­du­cia (1–00492) a Ber­lu­sconi, dopo l’uscita di Fini e dei suoi dalla mag­gio­ranza. Napo­li­tano chiede di rin­viare il voto, per appro­vare prima la legge di sta­bi­lità. La sfi­du­cia si vota così il 14 dicem­bre, e viene respinta con 314 con­trari e 311 favo­re­voli. È il tempo degli Sci­li­poti. Il mese tra­scorso ha con­sen­tito a Ber­lu­sconi di ricon­qui­stare (??) suf­fi­cienti voti in parlamento.
Da qui, pas­sando poi per i governi Monti e Letta, ini­zia il regno di Gior­gio. Sul quale diremo solo che non c’è alcuna mate­ria di impea­ch­ment per il sem­plice motivo che ogni mossa poteva age­vol­mente essere con­tra­stata e annul­lata dalle forze poli­ti­che al momento mag­gio­ri­ta­rie, se solo aves­sero voluto. Non hanno voluto, per le pro­prie con­ve­nienze. Così, nel 2010 si poteva votare subito la sfi­du­cia. Suc­ces­si­va­mente, si poteva sce­gliere il voto piut­to­sto che strane mag­gio­ranze, o almeno evi­tare pro­getti di riforma inco­sti­tu­zio­nali. Al Pd, in spe­cie, spetta la respon­sa­bi­lità di aver bru­ciato dopo il voto del 2013 il segre­ta­rio Ber­sani con l’allora vice­se­gre­ta­rio Letta, e ora Letta con Renzi. E a Renzi, non a Napo­li­tano, spetta oggi la respon­sa­bi­lità di aver sostan­zial­mente rile­git­ti­mato il pre­giu­di­cato Ber­lu­sconi, riam­met­ten­dolo al ruolo di padre della patria. La pre­senza al Qui­ri­nale per le con­sul­ta­zioni — dif­fi­cil­mente evi­ta­bile — è ele­mento di per sé insi­gni­fi­cante per la rina­scita del cavaliere.
Ai meno gio­vani il Renzi di oggi può ricor­dare in qual­che punto il Craxi del Midas. Anche allora si parlò di rivo­lu­zione di qua­ran­tenni per una nuova lea­der­ship del Psi. Ma la somi­glianza è solo super­fi­ciale. Quella bat­ta­glia si svolse tutta den­tro gli organi diri­genti del par­tito, senza rot­ture popu­li­sti­che. E soprat­tutto Craxi por­tava un dise­gno poli­tico alter­na­tivo sul ruolo del Psi nel sistema poli­tico ita­liano. Dise­gno che può essere per alcuni o molti sba­gliato o per­sino ese­cra­bile, ma la cui esi­stenza non si può negare. Invece, oltre alla can­cel­la­zione del vec­chio gruppo diri­gente, non si vede alcuna novità ori­gi­nale nel par­tito di Renzi rispetto al pre­gresso. Quanto al governo e all’indirizzo poli­tico, a parte qual­che pic­colo lif­ting e una diver­sità di accenti, il Renzi I non sem­bra affatto diverso dal Letta I.
La vera scom­messa di Renzi è sulla capa­cità di otte­nere — più e meglio di Letta — che l’Europa allenti la stretta rigo­ri­sta e apra qual­che spi­ra­glio allo svi­luppo. Se non ci riu­scirà, si per­derà ben pre­sto di vista la ragion d’essere del suo governo. Non basterà certo l’ambizione di Renzi a evi­tarlo. Que­sto met­terà a rischio non solo Renzi — il che può non inte­res­sare — ma anche il cen­tro­si­ni­stra nelle sue pro­spet­tive di governo. Rischiamo tutti che sia una vit­to­ria non di Renzi, ma di Pirro.

Nessun commento:

Posta un commento