giovedì 27 febbraio 2014

NUOVE IDEE PER LA SCUOLA. P. ERCOLANI, La cattiva educazione, IL MANIFESTO, 27 febbraio 2014

a misura della capa­cità che i gover­nati hanno di con­trol­lare l’operato dei gover­nanti, quindi in buona sostanza il punto cru­ciale del rap­porto fra i cit­ta­dini di una demo­cra­zia e il potere che li dirige, passa ine­vi­ta­bil­mente attra­verso lo stato in cui versa il sistema for­ma­tivo ed edu­ca­tivo di un Paese.




La costi­tu­zione di indi­vi­dui cri­tici, auto­nomi, cor­ret­ta­mente infor­mati e in grado di impe­gnarsi poli­ti­ca­mente nel con­sesso sociale in cui si tro­vano a vivere, è deter­mi­nata dalla forza e dall’efficacia con cui la scuola rie­sce a resi­stere alle enormi forze spet­ta­co­lari (mass media, mer­cato, dogmi) che invece spin­gono per l’affermazione di un pen­siero unico. In cui l’economia domina sulla poli­tica, all’interno di un sistema di potere che vede un numero sem­pre più ampio di cit­ta­dini ridotti a con­su­ma­tori pas­sivi, stru­menti senza valore per scopi che sono quelli del mer­cato e, in gene­rale, di un modello sociale in cui il pen­siero cri­tico e la cul­tura per­so­nale ven­gono visti come orpelli ana­cro­ni­stici di un tempo remoto.
Que­sto è tanto più vero oggi, nell’epoca della società in Rete, in cui la straor­di­na­ria effi­ca­cia per­va­siva dei mezzi tec­no­lo­gici con­sente al potere di attuare un «metodo nuovo», come lo chia­mava Gun­ther Anders, che con­si­ste nell’impedire la com­pren­sione da parte dei cit­ta­dini non più for­nendo loro poche noti­zie, ma troppe, ponen­doli nella con­di­zione di «venire sopraf­fatti da una tale sovrab­bon­danza di alberi per­ché risulti loro impos­si­bile vedere la foresta».
Eppure, è pro­prio in que­sta epoca di opu­lenza infor­ma­tiva che, invece, fini­sce con l’emergere la sostan­ziale indi­genza cono­sci­tiva, che deriva da decenni di poli­ti­che volte all’impoverimento e alla dege­ne­ra­zione di quello stru­mento fon­da­men­tale chia­mato scuola.
Ne abbiamo par­lato con Mas­simo Bal­dacci, ordi­na­rio di peda­go­gia gene­rale presso l’università di Urbino Carlo Bo, e autore di un volume per i tipi della Franco Angeli: Per un’idea di scuola. Istru­zione, lavoro e demo­cra­zia (pp. 152, euro 20), da lui stesso defi­nito di «peda­go­gia militante».
Cosa intende per peda­go­gia mili­tante, in grado di ela­bo­rare un’«idea di scuola»?
La «peda­go­gia mili­tante» non si pone que­stioni di teo­ria pura, ma pro­blemi for­ma­tivi storico-pratici, che richie­dono sia ela­bo­ra­zioni con­cet­tuali che prese di posi­zione. Essa – pur ser­bando la pro­pria auto­no­mia – non è neu­trale ma sem­pre schie­rata. L’elaborazione di un’idea di scuola costi­tui­sce un momento mili­tante se s’intende tale idea non in senso astratto ma storico-pratico: come il rife­ri­mento capace di orien­tare le poli­ti­che sco­la­sti­che e i con­creti per­corsi d’istruzione.
Nel libro sostiene che dob­biamo soprat­tutto all’ultimo decen­nio il pro­gres­sivo tra­monto di un’idea di scuola, che lei attri­bui­sce al governo della destra e alle poli­ti­che liberiste…
L’idea di scuola rap­pre­senta la stella polare per le poli­ti­che didat­ti­che, senza di essa la scuola rischia di andare alla deriva. Il cen­tro­de­stra aveva sosti­tuito l’elaborazione di tale idea con lo slo­gan delle tre I (impresa, inglese, inter­net), ma – col mini­stro Moratti – aveva pro­vato a darne una tra­du­zione peda­go­gica con la scuola della «per­so­na­liz­za­zione» (che rispol­ve­rava la vec­chia ideo­lo­gia delle «doti natu­rali», già con­te­sta da Don Milani). Dal mini­stro Gel­mini in poi, si è rinun­ciato a qual­siasi ela­bo­ra­zione peda­go­gica, sosti­tuita da una con­tro­ri­forma tesa a sman­tel­lare le con­qui­ste della scuola demo­cra­tica e a imporre gli idoli del neo­li­be­ri­smo: com­pe­ti­zione, meri­to­cra­zia, effi­cien­ti­smo. Le stesse forze pro­gres­si­ste sem­brano oggi pri­gio­niere del frame trac­ciato dal cen­tro­de­stra, e quindi rischiano di muo­versi secondo logi­che subal­terne. Tor­nare a riflet­tere cri­ti­ca­mente sull’idea di scuola è cru­ciale per supe­rare que­sta subal­ter­nità cul­tu­rale e reim­po­stare le poli­ti­che per l’istruzione.
Nel rife­rirsi ai grandi clas­sici, lei pre­di­lige soprat­tutto Dewey e Gram­sci, par­lando di una lezione di metodo che que­sti autori ci hanno lasciato. In che senso?
Que­sti autori, molto dif­fe­renti tra loro, con­ver­gono in alcuni punti impor­tanti per defi­nire un’idea di scuola. Per entrambi, la for­ma­zione sco­la­stica deve essere pen­sata e rea­liz­zata secondo un prin­ci­pio edu­ca­tivo uni­ta­rio; e tale prin­ci­pio non rispec­chia l’essenza perenne della scuola ma ha un carat­tere storico-relativo, e deve per­ciò essere rica­vato da una rifles­sione sul senso e sulla fun­zione della scuola in una data fase storico-sociale. Inol­tre, entrambi hanno visto la scuola in con­nes­sione col pro­blema della demo­cra­zia, que­stione que­sta quanto mai attuale.
Lei, sulla scia di Kuhn, pro­pone un vero e pro­prio cam­bio di para­digma. Dal para­digma del capi­tale umano a quello dello svi­luppo umano. Cosa significa?
Nel para­digma del capi­tale umano, attual­mente domi­nante, la scuola è vista in fun­zione del sistema eco­no­mico: il suo com­pito è quello di for­mare pro­dut­tori com­pe­tenti, a van­tag­gio della com­pe­ti­ti­vità delle imprese. Ovvia­mente, la for­ma­zione dei pro­dut­tori è uno dei com­piti del sistema d’istruzione, e sarebbe errato non porsi la que­stione del nesso scuola/economia. Tut­ta­via, ridurre a ciò il com­pito for­ma­tivo è gra­ve­mente uni­la­te­rale, e denun­cia una netta subal­ter­nità all’economicismo neo­li­be­ri­sta. Il para­digma dello svi­luppo umano, dovuto ai lavori di Sen e della Nus­sbaum, è invece cen­trato sull’espansione delle libertà per­so­nali e vede l’istruzione come fat­tore di eman­ci­pa­zione indi­vi­duale e di pro­mo­zione della demo­cra­zia. Secondo me, un’idea di scuola deve por­tare a sin­tesi que­sti due para­digmi, ma quello dello svi­luppo umano deve essere pre­mi­nente e costi­tuire la cor­nice entro la quale assi­mi­lare cri­ti­ca­mente ele­menti del para­digma del capi­tale umano.
Il suo libro lan­cia un com­pito sovrano: ripro­get­tare la scuola per la pros­sima sta­gione sto­rica. In quali direzioni?
Il prin­ci­pio for­ma­tivo della scuola deve essere con­ce­pito in rela­zione non a un’umanità astratta, ma all’uomo con­creto, defi­nito dai suoi rap­porti sociali. Si tratta di por­tare a sin­tesi la for­ma­zione del pro­dut­tore e quella del cit­ta­dino, nella con­sa­pe­vo­lezza che ciò risponde a un’esigenza non solo ideale ma anche ogget­tiva, che rende oggi neces­sa­ria la con­qui­sta di una nuova forma d’intelligenza: più astratta, fles­si­bile ed ecologica.
Nel campo del lavoro, infatti, si può cogliere un nesso tra il movi­mento delle forme d’astrazione ogget­tiva del lavoro e i pro­cessi d’astrazione cogni­tiva sem­pre più richie­sti al lavo­ra­tore, non­ché tra le con­ti­nue e impre­ve­di­bili tra­sfor­ma­zioni dei modi di pro­du­zione e la fles­si­bi­lità men­tale richie­sta dall’apprendimento con­ti­nuo. Men­tre, ai fini della par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica, la com­ples­sità dei pro­blemi sociali esige un’intelligenza siste­mica, capace di cogliere le que­stioni nella loro tota­lità. Per col­ti­vare una simile forma d’intelligenza la scuola va libe­rata da com­piti diret­ta­mente pro­fes­sio­na­liz­zanti, raf­for­zando la for­ma­zione cul­tu­rale gene­rale, la col­ti­va­zione dell’abito della ricerca e la capa­cità di pen­siero cri​tico​.La scuola, insomma, deve for­mare per­sone capaci di pen­sare con la pro­pria testa, e che abbiano il corag­gio di usarla, sia nel lavoro che nella poli­tica. Ma i pro­feti del pen­siero unico non gra­di­scono que­sta idea.

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