domenica 20 ottobre 2013

LA DISCUSSIONE SUL NEGAZIONISMO. P. ODIFREDDI, Che cos’è la verità?, ODIFREDDI.BLOGAUTORE., 17 ottobre 2013

Per coloro che si fossero perse le puntate precedenti, mi chiamo Piergiorgio Odifreddi, e sono un logico matematico. Il che significa che ho passato la mia vita a cercare di capire qual è la risposta alla domanda del titolo. Che secondo la leggenda, fu posta da Pilato, anche se poi lui se ne andò senza neppure aspettare che il suo interlocutore provasse a rispondere.



Le risposte però ci sono, benché ovviamente interessino più i pochi logici in circolazione, che i tanti Pilati che se ne lavano le mani di cosa sia la verità. In particolare, secoli di indagini hanno prodotto una classificazione dei suoi vari tipi.
Si parte dalle verità matematiche, che sono dimostrate in maniera logica e controllabili da chiunque abbia un’alfabetizzazione adeguata. Si passa alla verità scientifiche, che non sono mai completamente assodate, e sempre sottoposte a continue verifiche sperimentali, spesso effettuabili solo da chi abbia adeguati mezzi tecnologici. Si arriva poi alle verità storiche, che si basano su testimonianze di varia mano, relative a fatti unici e non riproducibili, e che dunque non possono mai avere il grado di affidabilità delle verità scientifiche, per non parlare di quelle matematiche.
Da un punto di vista individuale, poi, il grado di certezza che ciascuno di noi assegna alle varie verità dipende non solo dalla loro natura, ma anche dalla nostra conoscenza di esse. Il teorema di Fermat, ad esempio, è stato dimostrato da Andrew Wiles, ma anche un matematico come me non ha gli strumenti concettuali per capirne la dimostrazione: dunque, la mia certezza della verità del teorema si basa su testimonianze di seconda mano, in particolare su libri e articoli di divulgazione, e non su una conoscenza diretta.
Questo non significa che non creda al teorema di Femat, ovviamente. Significa però, altrettanto ovviamente, che ci credo in una maniera diversa da come credo al teorema di Pitagora, che invece so dimostrare in una dozzina di modi diversi (anche se uno solo già basterebbe).
Nella discussione del post del 12 ottobre ho detto esattamente le stesse cose, riferendole all’argomento di cui si parlava allora: che era Priebke in primis, e i crimini nazisti in subordine. Ma sarebbe stato lo stesso se si fosse parlato della scoperta dell’America, vista la data, o di qualunque altro argomento. Perché, come si sarà capito, il discorso è generale: dunque, si applica a tutto ciò che ha a che fare con la verità (storica in questo caso), niente escluso.
Che un giornalista come Gianni Riotta, che queste cose le sa benissimo, avendo anche lui studiato logica come me, possa aver preso spunto da esse per attivare la sua personale macchina del fango, accusandomi di negazionismo, è singolare e sconsolante.
Io non conosco i suoi motivi, che possono essere solo la leggerezza di un utente entusiasta di un mezzo banalizzante della discussione come Twitter. Ma possono anche essere la mala fede di chi, quando gli si fa notare che ha detto una stupidaggine, non si degna nemmeno di rispondere alla mail, mostrando la volontà di negarsi ai chiarimenti.
Ovviamente, il mitico “popolo della rete” l’ha seguito a ruota libera, gridando all’untore. Perché non gli interessa verificare cosa una persona possa aver detto, e meno che mai cercare di capirlo. Gli interessa solo ripetere ciò che appare nei 150 caratteri che costituiscono ormai il limite massimo dell’attenzione e dell’approfondimento.
Che sia così per i due terzi della popolazione italiana, che secondo la recente rilevazione Ocse non arrivano al livello minimo di alfabetizzazione per poter agire consapevolmente in una società sviluppata, è un fatto col quale dobbiamo convivere, per quanto spiacevolmente.
Purtroppo è così anche per molti professionisti della carta stampata. Luigi La Spina, ad esempio, che su La Stampa mi chiama “epigono nostrano del negazionismo storico “. O Massimo Adinolfi, che sul Messaggero paragona le mie opinioni a quelle di Irving. O il Giornale e il Fatto Quitidiano, che riportano entrambi con foto la notizia che questo blog e stato chiuso, scambiandola dolosamente con una di un anno fa.
Nella discussione “incriminata” osservavo banalmente che molti di noi confondono ciò che vedono nei film, o leggono nei romanzi, con la verità storica. Questi esempi dimostrano paradossalmente che alla lista dobbiamo aggiungere anche i giornali: non tutti, magari, ma certo almeno quelli che ho nominato. E, questa volta, lo so per conoscenza diretta, e non solo per sentito dire…

Nessun commento:

Posta un commento