domenica 20 ottobre 2013

LA DISCUSSIONE SUL NEGAZIONISMO. MARIO CALABRESI, Ma l’Olocausto non è un’opinione, LA STAMPA, 20 ottobre 2013

L’incapacità di fare marcia indietro, di rendersi conto degli errori, di scusarsi produce reazioni grottesche, come quella di dipingere La Stampa come una macchina del fango, quando ha solo fatto informazione accendendo una luce su una vera macchina di negazionismo e becero antisemitismo come quella scatenata da Odifreddi con un suo sciagurato post.La cui frase centrale non è chiaramente quella riportata, che da sola non giustificherebbe evidentemente lo scandalo, ma quella precedente e, siccome anch’io amo molto i contesti e detesto le estrapolazioni, vale davvero la pena rispiegare le cose dall’inizio. Non senza aver chiarito che prima di scrivere La Stampa aveva sentito il professore e aveva dato spazio alle sue spiegazioni.


Tutto nasce nel blog di Odifreddi, ospitato sul sito di Repubblica, dove in un dibattito sulla morte di Priebke un commentatore ha prima sottolineato il valore semplicemente propagandistico del processo di Norimberga ai gerarchi nazisti per poi definire le camere a gas impossibili «per motivi tecnici e logici oltre che storici». Il matematico non ha fatto una piega ma ha anzi chiarito: «Su Norimberga confesso di essere molto vicino alle sue posizioni. Il processo è stato un’opera di propaganda. I processati hanno dichiarato, con lapalissiana evidenza, che se la guerra fosse andata diversamente, a essere processati per crimini di guerra sarebbero stati gli alleati». Ma non bastasse ha aggiunto: «Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse “so” appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal “ministero della propaganda” alleato nel dopoguerra. E non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune. Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti».

Sono state queste affermazioni e non le nostre critiche a scatenare gli istinti peggiori di chi mette in dubbio l’Olocausto. Affermazioni che - userò un’immagine più delicata della sua - sono state come il miele per le api negazioniste. Il punto, caro Odifreddi, è che non si tratta di opinioni e che nessuno di noi ha avuto bisogno della macchina propagandistica americana per conoscere la verità sullo sterminio dei campi di concentramento e sulle camere a gas. Ci è bastato leggere i libri degli storici più seri (basti citare «La distruzione degli ebrei d’Europa» di Raul Hilberg) per sapere che in Germania vennero ritrovati (e anche esposti al pubblico) tutti i progetti delle camere a gas e ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti, a partire da quella tragica e definitiva di Shlomo Venezia, che fu tra coloro che dovevano tirare fuori i corpi degli uomini, delle donne e dei bambini gassati. Lo ha raccontato nel suo libro «Sonderkommando Auschwitz» pubblicato nel 2007 da Rizzoli e poi tradotto in 24 lingue e le sue parole non lasciano molto spazio ai giochetti retorici: «A volte mi hanno chiesto se qualcuno sia mai rimasto vivo nella camera a gas. Era difficilissimo, eppure una volta è successo. Era una bambina di circa due mesi. All’improvviso, dopo che hanno aperto la porta e messo in funzione i ventilatori per togliere l’odore tremendo del gas e di tutte quelle persone - perché quella morte era molto sofferta - uno di quelli che estraeva i cadaveri ha detto: “Ho sentito un rumore”. Dopo una decina di minuti lo ha sentito di nuovo. Abbiamo detto: “Tutti fermi, non vi muovete”, ma non abbiamo sentito niente e abbiamo continuato a lavorare. Quando ha sentito di nuovo, ho detto: “Possibile che senta solo lui? Allora fermiamoci un po’ di più e vediamo cosa succede”. Infatti, abbiamo sentito quasi tutti un vagito da lontano. Allora uno di noi sale sui corpi per arrivare laddove veniva il rumore e si ferma dove si sente più forte. C’era una bambina ancora viva attaccata al seno della mamma, che era morta mentre la allattava. L’abbiamo presa e portata fuori, ma ormai era condannata: c’era un SS che l’ha finita con uno sparo alla bocca. Questo è successo una volta in quella camera a gas. Ci sono tanti racconti, ma io non racconto mai cose che hanno visto gli altri e non io».

C’era un’Europa ebraica, che andava da Varsavia a Parigi, dalla Amsterdam di Anna Frank al Ghetto di Roma. Pochissimi sono tornati, la gran parte di quei villaggi, di quelle comunità e di quei ghetti sono cancellati, l’Europa ebraica non esiste più e questo non ce lo ha raccontato Hollywood e non è un frutto della propaganda americana.
Quando il professor Odifreddi avrà terminato il suo ultimo libro, un dialogo con il vecchio Papa tedesco, potrebbe andare alla lapide del Portico d’Ottavia a Roma dove si ricorda che in quel luogo il 16 ottobre del 1943 vennero deportate più di mille persone, 200 erano bambini. L’ottanta per cento di loro venne immediatamente portato agli impianti di Birkenau dove vennero eliminati con il gas, altri 200 morirono di stenti e di fatica nei campi di lavoro. Sopravvissero 15 uomini e una donna. E questa è storia, non un frutto avvelenato del ministero della propaganda alleato.

Caro Odifreddi, lasci perdere le macchine del fango che non appartengono all’identità di questo giornale, e lei lo sa benissimo: prenda le misure del suo discorso pubblico e si renda conto che noi abbiamo semplicemente espresso preoccupazione e dispiacere per la deriva scatenata dalle sue affermazioni.

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